Scuola
Maxiemendamento sulla buona scuola: solo passi indietro?
Dopo le proteste che hanno interessato alcuni docenti sindacalizzati, e che hanno avuto luogo durante gli scrutini finali, con scioperi di un’ora per poterli bloccare (strana norma che concede a un solo docente di boicottare il lavoro degli altri), il governo concede qualcosa a sindacati populisti e docenti ideologizzati. Se non siete d’accordo con l’uso dei termini “populista” e “ideologizzato” spiegherò, ragioni alla mano perché li ritengo appropriati. L’obiettivo di questo intervento è di informare su alcune modifiche apportate. Per una visione d’insieme, si veda l’intervento della nostra redazione.
Partiamo dalla valutazione dei docenti, elemento centrale per qualsiasi sistema dell’istruzione, senza il quale non possiamo sapere chi aiuta gli studenti a migliorarsi e chi li rende peggiori (almeno, peggiori dei coetanei che hanno docenti più competenti).
È chiaro che, se si mira a premiare i (pochi) docenti migliori, quelli peggiori o mediocri (la maggioranza), possono “democraticamente” opporsi ai criteri di valutazione (cosa che hanno fatto, vanificando le mie residue speranze in un miglioramento salariale, visto che, come tutti i docenti, anch’io sono convinto di essere il migliore in assoluto). Il vero problema potrebbe allora consistere, lo si è sottolineato anche sugli Stati Generali, nel riuscire a distribuire i (pochi) peggiori. Ma in ogni caso la valutazione resterebbe centrale.
Chi, però, deve valutarli? La versione attuale prevede che, all’interno del comitato di valutazione (7 membri), ci siano tre docenti (prima erano due, e si è corso il rischio che diventassero quattro ). Due di loro sarebbero comunque scelti dal collegio dei docenti, il terzo dal consiglio d’istituto, insieme al preside, a due rappresentanti dei genitori (o uno solo, più un rappresentante degli studenti) e a un “membro esterno”, che, però, potrebbe anche essere un altro docente (oltre che un dirigente scolastico, o tecnico-amministrativo). Il problema, se questa è la procedura di valutazione, si può illustrare con un’ipotetica analogia: per valutare l’efficacia di un sindacalista, anziché chiedere ai lavoratori, chiediamo ai suoi colleghi. Be’, credo che possiate ben immaginare come andrebbe a finire.
Ancora mancano criteri di valutazione validi per tutti (troppo aleatoria e anarchica l’ipotesi di affidarne l’elaborazione al “membro esterno”), oltre a valutatori competenti ed esterni. Dovrebbero essere anonimi sia loro che il valutato – ne vedremmo delle belle (ma so che non le vedremo mai). Queste sono le condizioni necessarie, tolte le quali cade la serietà della valutazione. Ecco perché ci sono commentatori che rifiutano tout court l’idea di misurare il merito (ma per una problematizzazione del concetto vedi qui).
Sempre in riferimento ai docenti (alla loro assunzione), si era precedentemente ipotizzata la chiamata diretta dei presidi (in realtà, tale chiamata diretta era ridotta a pochissimi casi). Non se ne parla più: tale facoltà si limiterà ai casi in cui non siano presenti altri docenti abilitati nella classe di concorso in cui ci sarebbe un posto vacante (la classe di concorso è quella che permette di insegnare una o più discipline, per chi non lo sapesse). Quindi, niente da fare. Si può essere o non essere d’accordo sulla chiamata diretta (io sarei d’accordo, sulla base di alcuni criteri, e cioè quelli della competenza disciplinare e didattica del chiamato, della funzione che deve svolgere nel progetto didattico della scuola, della forma anonima della candidatura), ma è chiaro che le modifiche vanno nella direzione opposta.
La stabilizzazione dei precari, per la quale si prevedeva l’immissione in ruolo di 100.701 docenti (e che rappresentava la parte finanziariamente più impegnativa della “Buona scuola”), avverrà in due tempi. Qui il cambiamento non è particolarmente decisivo. Saranno comunque assunti tutti coloro che si trovano in graduatoria e che hanno ottenuto l’idoneità durante l’ultimo concorso dell’“era Profumo”. Chi ha un’abilitazione TFA (tirocinio formativo attivo) e PAS (percorsi abilitanti speciali) – se non conoscete questi due percorsi sappiate che concernono gli unici seri tentativi (insieme al precedente della SISS o SILSIS) di formare gli insegnanti, anche attraverso un tirocinio nelle scuole, prima della loro immissione in ruolo – potrà, con un punteggio aggiuntivo, partecipare a un nuovo concorso per la seconda tranche di assunzioni. Ahinoi, siamo tornati a Luigi Berlinguer (e all’epoca della SILSIS-SISS), che aveva voluto l’immissione in ruolo tramite percorsi di formazione biennali con tirocinio anch’esso biennale per poi veder trasformato il tutto dal sindacalismo più deleterio per gli interessi del paese: prima i precari, poi, eventualmente, con un punteggio aggiuntivo per i loro sforzi, gli abilitati ai corsi di formazione per insegnanti (ma il punteggio è man mano calato, finendo col non essere sovrapponibile alle supplenze. Su questo punto, il governo dovrebbe fare ammenda e correggere l’emendamento. Confesso i miei interessi personali prima che lo faccia qualcun altro: ho avuto specializzandi SILSIS e TFA, e so come hanno lavorato. Poi, vedete voi. Ma le decisioni sono puro autolesionismo sindacale: i giovani (preparati) che da quasi un decennio sono boicottati e discriminati, prima o poi, si vendicheranno non iscrivendosi ad alcun sindacato (e i vostri precari sono quasi pensionati). Ancora una volta, vedete voi se è proprio il caso di continuare così.
Altro punto da chiarire. È vero che c’è chi asserisce che insegnanti si nasce, ma noi siamo di un’altra idea: altrimenti mandiamo i bambini a fare lezione di medicina e a operare al cuore, tanto non si impara mai nulla… Siamo molto empiristi, ci dispiace: l’insegnamento è una pratica che permette di imparare attraverso gli errori e i risultati positivi. Chi se ne renderà conto, se avrà almeno un po’ di umiltà, se anche non è il miglior docente del mondo, visto che tanto non abbiamo ancora chiarito i criteri di valutazione, potrà almeno risalire dall’ultimo posto. Accantonato l’innatismo didattico, resta però il problema di come formare i docenti, anche se attualmente si prevede che se ne debbano occupare le scuole. Ma se al momento sono le università, con corsi dedicati, anche se “didatticamente” poco efficaci, a essere criticate (in quanto si è solo presupposto, ma non dimostrato, che all’università si sappia insegnare a insegnare), chi ci garantisce che sapranno farlo le scuole? E quali scuole, con quali docenti formatori? E, ancora, perché non riflettiamo sui criteri di scelta di queste scuole e di questi formatori?
Per quanto riguarda il ruolo dei privati, la possibilità resta, anche se si pone un tetto massimo al contributo erogabile (100.000 euro) e si impone una perequazione: le scuole meno gettonate (traduci: quelle più scadenti) riceveranno un finanziamento tolto a queste erogazioni liberali. Ma le scuole scadenti avrebbero bisogno di essere rivoltate da cima a fondo. Usiamo un argomento basato sull’esperienza. In Svezia, un esperimento didattico ha permesso di verificare il ruolo degli insegnanti: quelli bravi aiutano gli studenti a diventare bravi. Così, una delle peggiori scuole del paese, dove gli studenti non frequentavano quasi mai le lezioni e uscivano per lo più senza un titolo di studio – lo so che faticate a crederci, ma sono pregiudizi: all’estero l’istruzione non è necessariamente migliore – ha ricevuto in dotazione i migliori docenti del paese. Bene, gli studenti sono improvvisamente passati tra i migliori. Più di così! Chiamiamolo effetto Pigmalione, se volete.
Infine, non poteva mancare un passo indietro sul ruolo del Dirigente scolastico. Non solo per la questione della chiamata diretta. I pochi colleghi che hanno scioperato contro l’aziendalizzazione della scuola, a parte quelli che l’hanno fatto contro le erogazioni liberali (perché “i soldi deve pagarli lo Stato”, con la S maiuscola, cioè noi contribuenti), non volevano un “preside padrone”. Non lo sarebbe comunque stato, ma ora si introduce la co-decisione: preside, collegio docenti e consiglio di istituto sono corresponsabili del successo e dell’insuccesso dell’offerta didattica. Ma come misuriamo il successo? Ancora una volta, con test oggettivi e anonimi, uguali per tutti, che si chiamano INVALSI e OCSE-PISA. Ci piacerebbe un preside valutato sulla base dei risultati (ma risultati valutati esternamente). Se in un’azienda il risultato sono i profitti, in una scuola dovrebbe misurarsi in cultura e competenze degli studenti. E presidi e insegnanti dovrebbero prenderne atto e lavorare sodo per migliorare.
Ma, come dicono alcune (pochissime) colleghe, non sia mai! Nessuno ci può giudicare. E allora, il rischio è che anche qui si cada nell’autovalutazione. Tranne che per i presidi, però, che rischiano grosso senza poter decidere in autonomia: chissà come la prenderanno…
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