Scuola
Lottare per il successo degli altri, ma come?
Prenderò qui spunto da un intervento di Nicolò Ammendola per qualche riflessione sulla buona scuola. Un ottimo intervento. Proporrò però alcune alternative, che potrebbero illustrare meglio il problema:
1) gli studenti non sono interessati a imparare, vogliono solo la sufficienza;
2) i docenti non sono interessati a far andare meglio i loro studenti (al loro successo), quindi, li promuovono anche se non hanno imparato nulla (per motivi legali non posso citare i vari scrutini a cui ho partecipato in tanti anni, ma il problema è quello: non siamo capaci e non vogliamo sforzarci troppo affinché recuperino davvero, quindi promuoviamo o ammettiamo agli esami studenti che hanno 3, 4, 5 insufficienze, semplicemente cambiando i voti tramite il Consiglio, cioè a maggioranza, perché la legge prevede che, con un’insufficienza si possa bocciare e non ammettere agli esami di maturità);
3) i presidi non sono interessati a verificare le competenze e le conoscenze degli studenti, perché basta che i numeri delle promozioni e i voti alti siano lì a testimoniare del loro buon operato (il controllo è interno, i voti li mettono i loro professori, e loro esercitano pressioni e votano durante gli scrutini).
Il quadro, così come lo rappresento, dovrebbe bastare a rendere disperata la situazione, eppure sono quasi tutti contenti così. Poca fatica, voti alti, posto sicuro, ci si mette in mostra perché si dirige una scuola dove sono tutti promossi (e non posso citare casi perché temo la querela).
Però i testi INVALSI e gli OCSE-PISA, cioè confronti oggettivi dove i valutatori sono esterni sono ahinoi impietosi. Le scuole che danno i voti più alti hanno risultati disastrosi, quando ci si confronta con altri istituti su prove identiche, e l’Italia occupa il posto che si merita, cioè abbastanza basso, a livello internazionale.
Ciò non toglie che, nel dettaglio, le buone scuole ci siano, e che ci siano anche regioni, in Italia, che potrebbero competere a livello internazionale con i migliori Stati (i quali, ovviamente, potrebbero benissimo sottolineare che anche loro hanno regioni migliori di altre, come, tempo addietro, si era soliti sottolineare qui in Lombardia…)
Ecco. Questo è il punto. I confronti con valutatori esterni, i confronti basati sulle competenze (e anche sulle conoscenze, fermo restando il fatto che si dovrebbe stabilire un programma comune sul quale comunque si viene esaminati, mentre ora, a parte la matematica, gli esami di maturità sono svolti su quello che presentano i docenti) permetterebbero di capire chi lavora bene e chi male.
Per licenziare i docenti? Non sia mai! Non vogliamo certo attirarci le ire dei colleghi (pochissimi, nemmeno uno per classe) che in questi giorni hanno scioperato durante gli scrutini per dare fastidio solo ai loro colleghi che non erano d’accordo sullo sciopero (e adducendo come motivo il rifiuto della legge sulla buona scuola).
No, vogliamo dire che questi colleghi, come Ammendola suggeriva nel suo intervento, avrebbero bisogno di aiuto e consulenza tecnica (tecnica maieutica, ovviamente) per superare le loro difficoltà, così come i loro studenti e, solo in casi estremi, dovrebbero essere licenziati.
E invece?
E invece si manifesta e si sciopera contro la buona scuola.
Non si vuole l’assunzione di oltre 100.000 precari, perché poi non sarebbero più il bacino privilegiato dei sindacati.
Non si vogliono presidi responsabilizzati (e quindi, licenziabili se non svolgono il loro lavoro). La scuola non è un’azienda, si urla.
Non si vogliono scuole che si organizzino sulla base delle esigenze del territorio, attivando cioè discipline non necessariamente curricolari, magari opzionali, per una durata triennale (dopo approvazione del piano dell’offerta formativa da parte delle autorità competenti territoriali), con chiamata da parte del preside sulla base delle competenze e del curriculum vitae (dove il preside, si suppone, dovrebbe chiamare i migliori, che garantirebbero risultati certi, pena la rescissione del contratto).
Non si vuole che aziende private sostengano, anche economicamente, importanti progetti formativi e culturali nelle scuole (no ai privati a scuola).
Non si vuole che il problema della formazione dei docenti sia affrontato in modo adeguato.
Infine, ma potremmo continuare, non si vuole che il preside possa confermare o meno l’immissione in ruolo dopo l’anno di prova e la valutazione di un consiglio didattico.
Be’ ammetto che forse ho esagerato nei toni, e ammetto di aver semplificato un po’ (ma solo un po’), però, contro questi no, vorrei dire almeno quanto segue:
1) sulle assunzioni a tempo determinato per le materie opzionali stabilite di comune accordo con collegio docenti, consiglio di istituto e territorio, che dipenderebbero dal Preside sulla base di un progetto approvato dalle istituzioni locali si deve aggiungere che anche ora è possibile vincolare le richieste di supplenze e utilizzi provvisori sulla base dei progetti (con maggiori difficoltà, tanto è vero che un anno era stato nominato un docente che non sapeva il francese in una scuola dove si insegnava la storia in francese, e sono stato chiamato per tre anni come esperto, retribuito dalla scuola, per aiutarlo e fare lezione agli studenti: imbarazzante e costoso, benché per me redditizio);
2) sulla formazione docenti e l’immissione in ruolo, che dipende da una valutazione del preside, coadiuvato da altri docenti (che dovrebbero essere esperti delle discipline), replico che questo si fa già così (anch’io ho fatto, nel 2000, il mio anno di prova), quindi non capisco lo scalpore suscitato su questo problema (si farebbe un po’ di ordine nella procedura, tutto qui)
3) semmai, manca un serio tentativo di precisare come debba essere pensata la formazione dei docenti prima del tirocinio a scuola: su questo ci sarebbe da lavorare un po’, perché non possiamo permetterci degli ignoranti che poi vanno a fare lezione;
4) sulle assunzioni aggiungo solo che, oltre a quelle, obbligatorie, dei precari (che, etimologicamente, sono coloro che ogni anno devono pregare di avere un posto), si prevede anche che la metà dei posti sia riservata ai vincitori di concorsi: non vedo obiezioni, se non che si preferisce il precario sessantenne – no, non esagero – a un giovane vincitore di concorso;
5) il ruolo dello sponsor: ma che male c’è se qualcuno fa donazioni detraibili e finanzia progetti legati alla formazione degli studenti che, in questo modo, saranno preparati ancora meglio al lavoro in un determinato territorio? Le scuole possono già sfruttare una percentuale del 20% di autonomia pressoché totale, poche però l’hanno fatto, e molti collegi docenti nemmeno lo sanno. Così, in qualche scuola si inserisce il cinese per madrelingua, o l’italiano per gli stranieri, o una seconda lingua dopo che il Ministero ha tagliato il bilinguismo ecc. ecc. E già ora si possono effettuare donazioni.
Insomma, in attesa che sulla buona scuola si faccia chiarezza, e che il destino della legge sia deciso in parlamento e durante gli scioperi, concordiamo sulla necessità di un cambiamento, ma noi lo vorremmo in realtà ben più radicale di quello della buona scuola, che è un punto (timido) da cui partire. Invece, non avremo probabilmente neanche questo.
A essere in gioco è il futuro di tutti, ma per ora predominano le posizioni dei miei (rivoluzionari) colleghi ex sessantottini… e non mi sembra che le tanto decantate riforme di allora abbiano avuto esiti positivi, per ora.
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