Scuola
Lettera ai ‘ragazzini di oggi’, ricordando Elsa Morante
Oggi 18 agosto è l’anniversario della nascita (1912) di Elsa Morante – secondo alcuni critici non certo minori, il più grande scrittore del Novecento italiano e (per quanto antipatici siano questi confronti) superiore a suo marito Alberto Moravia.
Nel 1968 aveva pubblicato un libro straordinario, inconsueto anche nella forma grafica (stampato in parte verticalmente): poemetto, pièce teatrale, balletto, fumetto, canzoni. Si intitolava Il mondo salvato dai ragazzini, e conteneva una distinzione illuminante: da un lato ci sono i Felici Pochi (F.P.), dall’altro gli Infelici Molti (I.M.).
Gli F.P. sono “accidenti fatali dei Moti Perpetui / semi originari del Cosmo, che volano fra poli fantastici, portati dal / capriccio dei venti, e germogliano in ogni terreno. Ma assai più spesso tornano in certi orienti (barbari) e oscure zone (depresse) / dove non s’ha il vizio d’assassinare i profeti / né di sterminare i poeti. …Ogni tipo F.P., per sua natura, quando non è sorvegliato, è sospetto alle Autorità”. In altre parole, gli F.P. sono coloro che riconoscono e frequentano la realtà. Alcuni nomi (scelti da Elsa Morante): ARTURO Rimbaud, BENEDICTUS Spinoza, SIMONA Weil – tutte persone che hanno saputo mantenere anche da adulti i sentimenti le passioni lo sguardo di quand’erano ragazzini.
E gli I.M., chi sono? Beh, “sono TUTTI gli altri”, “la maggioranza normale”, cioè la maggioranza degli adulti “contaminati più o meno dall’irrealtà”, quelli che hanno smesso di combattere il “Drago”, quelli che accettano il mondo così com’è o dicono di volerlo cambiare, per lasciarlo in verità tale e quale. In questa maggioranza vi sono i potenti, i cinici e gli indifferenti che governano il mondo: “Sono negli alti gradi della burocrazia, alle diverse incombenze d’autorità ufficiale”.
Dalla pubblicazione di questo libro profetico sono passati quasi cinquant’anni, e il mondo non è stato salvato dai ragazzini di allora. Anzi: i ragazzini di allora sono tutti (beh, la maggioranza) diventati degli I.M., e alcuni di loro si sono installati e sono ben saldi al potere, totalmente dimentichi del “bambino” (Umberto Saba) e del “ragazzino” (Elsa Morante) che erano stati, che era nella loro anima e che hanno perduto, perdendo con ciò la grazia e la capacità quindi di capire (e trasformare) il mondo. Elsa Morante vedeva infatti nell’esercizio del potere un “vizio degradante, un vizio che rende ciechi alla realtà. Questa persuasione avrebbe dovuto fare della rivolta dei ragazzini una svolta, mentre così non è stato”, dice Goffredo Fofi.
Bene, questa è la storia, così com’è andata: non c’è stata una rivolta né una rivoluzione; la profezia della Morante non si è realizzata. Ma oggi? I “ragazzini” di oggi? I Felici Pochi di oggi? – Perché ci saranno, no? Mica saranno tutti scomparsi come i dinosauri? – Chi sono? Che cosa pensano? Che cosa dicono? Che cosa intendono fare?
Da solo, io certo non ho le capacità di saper rispondere a domande così grandi e impegnative. Però, qualche riflessione e quindi anche una proposta ‘pratica’ sono in grado di fare, dal mio punto di osservazione, cioè da quello di uno che studia per mestiere la società e insegna a centinaia di giovani ogni anno da mezzo secolo.
Da un paio di settimane c’è, qui in Italia, una abbastanza accesa discussione sul cosiddetto “liceo breve”. Valeria Fedeli, la ministra della Pubblica Istruzione (lei, a differenza della Morante, nota antifemminista, ci tiene al genere femminile della sua carica), ha deciso che ci dovrà essere una sperimentazione, per stabilire se sia una buona cosa ridurre da cinque a quattro anni la durata del liceo. Non entro, qui e adesso, nel merito della questione.
Ma una cosa mi ha colpito (non mi hanno invece sorpreso le gravi inesattezze espresse nel merito da esimi colleghi, perfino ordinari di università, sui diversi sistemi educativi esistenti in Europa): il silenzio, l’assordante silenzio come si usa dire, degli studenti. Saranno tutti in vacanza, in Grecia o in Spagna, come raccontano le cronache giornalistiche? Di più, tuttavia, e più seriamente, mi ha colpito la decretazione per legge senza alcuna consultazione o partecipazione o ascolto degli studenti: il Potere, il Ministro, il Governo decide per decreto, e gli “utenti”, come è ormai invalso chiamare ora gli studenti, non vengono neppure ascoltati? O sono io che, distratto, non ho letto di questo attento dialogo, di queste ampie e pubbliche discussioni, di questo coinvolgimento delle parti ‘interessate’ (anche gli insegnanti, magari, no?) su un tema di così grande rilevanza nazionale?
Non si continua forse a ripetere – come un mantra – che esiste una questione generazionale, che tra i giovani e gli adulti non c’è comunicazione? Che i genitori non conoscono i figli? Gli insegnanti gli studenti, e viceversa? Ma se così è, e in parte è vero, è questo il modo per colmare tale divario? È questo il metodo migliore per capire i bisogni, i desideri, le passioni dei giovani, le loro difficoltà, e trovare pertanto le soluzioni migliori?
Che in verità, nonostante la retorica, ci sia scarsa volontà e capacità di ascolto da parte degli adulti e della classe dirigente e politica (anche da parte dei ragazzini, ma è una cosa diversa, e c’è una responsabilità ben diversa) mi è stato confermato dalla mia partecipazione, proprio in questi ultimi mesi, a una autorevole Commissione nazionale il cui compito e obiettivo era quello di cambiare, migliorare, e adeguare alle esigenze dei nostri tempi – “il mondo è tutto cambiato” (altro mantra) – i vecchi (di dieci anni: pertanto non poi così vecchi) curricula dei licei.
La Commissione era composta da eccellenti docenti di liceo, bravissimi presidi, illustri professori d’università. Tutta gente di grande esperienza, non v’è dubbio, e con le necessarie capacità di comunicazione e di relazione col Ministero della Pubblica Istruzione e coi suoi massimi dirigenti – “gli alti gradi della burocrazia”, come li avrebbe chiamati la Morante.
Molte e vivaci sono state le discussioni e le proposte su che cosa e come insegnare ai “ragazzini” (dai 14 ai 18 anni).
Tuttavia, fin dall’inizio, ma sempre più animatamente a mano a mano che i lavori della Commissione procedevano, io rilevavo e facevo presente una questione secondo me fondamentale: possiamo noi, per quanto bravi ed esperti, discutere, e decidere, di queste cose così importanti senza mai ascoltare quelli che ormai vengono considerati gli utenti, cioé gli studenti? Perché, chiedevo, nella nostra Commissione, così qualificata, non c’era anche qualche studente? Qualcuno che aveva studiato sui vecchi “consolidati” programmi, conseguita la maturità l’anno prima, e oggi studente di università, lavoratore o disoccupato? Non avremmo dovuti ascoltarli questi giovani? Non avremmo dovuto sentire le loro opinioni, le loro critiche e le loro proposte? Non si diventa cittadini elettori a diciotto anni?
No. Niente di niente. Nessuno dei colleghi ha preso sul serio la questione da me posta, e le mie domande. Un muro assoluto di gomma, come si suol dire: sul punto e nel merito, nessuno si è degnato di rispondermi. A dire il vero, qualcuno mi ha fatto, cortesemente peraltro, notare che il mio era un atteggiamento socratico, elitario, fuori luogo e fuori tempo: c’erano delle urgenze “politiche”, ben più importanti dei miei scrupoli utopistici: bisognava fare in fretta, cambiare le cose, il Miur, la scuola italiana, la società italiana mica potevano aspettare o dar retta ai miei dubbi e alle mie ubbie! Ma se cosi stanno davvero le cose (e io non lo credo affatto: il cambiamento può ben essere un modo per non voler affrontare i problemi), allora, in che senso, in che modo, quando e dove, si ascoltano, – come tutti continuano a dire come un mantra, ripeto, che si debba fare – i giovani? Li si asolteranno mai?
Come tutti gli anni, anche in questo luglio 2017 ci sono stati gli esami di maturità. Come tutti gli anni, i giornali non si sono sprecati nel commentare i temi d’esame e di scrivere pezzi più o meno ‘di colore’ sugli studenti e, in particolare, su quelli che hanno riportato 100 e 100 e lode, i più bravi: quest’anno un numero eccezionalmente alto. Eppure da questi articoli poco si è capito, con quel minimo di profondità che anche su un quotidiano è possibile raggiungere, su chi siano questi giovani, quali siano le loro idee, quali le loro letture, quali le loro opinioni sulla scuola, perché hanno scelto quei temi per le loro tesine di maturità, anziché altri?
Uscito da quell’esperienza nella Commissione, insoddisfatto di quello che leggevo sui giornali, curioso di capire qualcosa di più su questi maturati 2017 che, a settembre, tra pochissime settimane, arriveranno all’università e che magari potranno anche diventare miei studenti, d’impulso, una mattina ho preso il telefono e ho chiamato il primo preside di liceo di cui ho trovato il numero, del tutto a caso (un educatore che non avevo mai conosciuto prima). Sono stato fortunato: ho trovato un preside intelligente, che ha perfettamente compreso la mia intenzione, e mi ha subito messo in contatto coi suoi studenti. Ne è nata un’esperienza per me straordinaria, che mai avrei immaginato (e, come ho detto, insegno da cinquant’anni!).
Ho potuto infatti incontrare, e conoscere un poco (ma ho voluto leggere anche le loro tesine e anche altri loro scritti), ragazze e ragazzi eccezionali. Questo era del tutto ovvio: incontravo gli studenti 100 e 100 e lode di uno dei migliori licei di Milano. Ma non è di questo che desidero parlare ora e qui. Voglio invece riprendere il discorso e la questione da cui sono partito, cioè da Il Mondo salvato dai ragazzini di Elsa Morante, e fare una prima proposta concreta, rivolta agli studenti.
Loro, questi giovani studenti liceali e i miei studenti universitari, sono i “ragazzini” della Morante, gli F.P. Oggi, è a loro che ‘compete’ di salvare il mondo. Io non chiedo loro questo, un compito immane a cui la generazione del Sessantotto, quella dei loro padri, quella dell’attuale ministra della Pubblica Istruzione (nata nel 1949), si è rivelata inadeguata – questa è una cosa che sta alle loro coscienze e alle loro volontà e alle loro capacità. Ma chiedo una cosa più semplice, che tuttavia, mi pare, nessun ministro o ministra ha mai loro chiesto. (E perché no?)
Ai giovani studenti di oggi chiedo dunque di rispondere a questa domanda: Come dovrebbe essere, secondo voi, il liceo? Per esempio: di quattro o di cinque anni, e perché? Quali materie si dovrebbero studiare? Quali modalità e metodi di insegnamento e di studio si dovrebbero adottare? Altre domande e le relative risposte, arriveranno da voi.
Io mi impegno a scrivere il primo pezzo, cercando di far risvegliare in me quel ‘ragazzino’ che ero quando Elsa Morante pubblicò il suo libro. Nello spirito di quel giornalismo partecipativo che caratterizzata Gli Stati Generali, si potrebbero poi pubblicare qui le risposte dei ‘ragazzini’ morantiani di oggi. Suggerisco di attenersi a una lunghezza di circa 600 parole, e io per primo cercherò di attenermi a questo standard.
Chi volesse accogliere questo invito può inviare i testi a info@glistatigenerali.com.
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P.S. Desidero ringraziare qui pubblicamente il Preside del liceo milanese che mi ha permesso di incontrare i suoi straordinari studenti. Ringrazio ovviamente anche loro, per la fiducia, la disponibilità e il tempo che mi hanno dedicato e le cose che mi hanno insegnato.
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