Scuola

La vera riforma della scuola? Uno stato severo che dà i voti a tutte le scuole

27 Aprile 2015

Fanno una certa impressione i (reciproci) toni che hanno animato il match ministro Giannini vs. prof. precari/studenti/fancazzistisenzafissadimora, perché danno il segno della confusione neppure tanto organizzata che regna sulla nostra scuola. Un ministro che dà degli «squadristi» a chi non la lascia parlare e per questo viene persino redarguita da Fassina, il quale non perde occasione per stare contro il “suo” governo, è un ministro dimezzato, perché nella circostanza ha certamente ragione eppure batte in ritirata, come mai dovrebbe fare il massimo rappresentante di quella istituzione. È allora sospettabile, il ministro, di qualche vago senso di colpa per una riforma che presenta più di un’ombra? (Essendo il tutto andato in onda a una Festa nazionale dell’Unità, si potrebbe tirare anche l’ovvia (e affrettata?) conclusione che uno dei due – il governo o la Festa dell’Unità, per come l’abbiamo sempre conosciuta e cioè il vecchio Pd, è di troppo).

Una delle questioni più delicate è come valutare, da parte di un esecutivo di centro-sinistra, le scuole paritarie. Non è solo una questione di denari che partono in questa direzione – per il 2015 saranno 471,9 milioni, ventidue milioni in meno rispetto all’anno scorso – ma proprio di livello di considerazione culturale e intellettuale.  Su questo, in un lunghissimo editoriale, è intervenuto sul Corriere della Sera il professor Antiseri, filosofo certamente di prim’ordine, e il titolo in qualche misura offriva già il senso dello scritto: «Ma chi ha paura (e perché) degli istituti confessionali?». Ecco, appunto, confessiamo che da uno come Antiseri ci saremmo aspettati qualcosa di più del solito pistolotto, secondo cui “le diverse visioni del mondo sono l’essenza di ogni società aperta” oppure “negare la presenza di scuole non statali negherebbe l’esistenza di pezzi della nostra scuola migliore” o ancora “un sistema formativo che al suo interno non favorisce l’istituzione di scuole a orientamento religioso è frutto di menti indottrinate e dogmatiche, cariche di clericalismo rovesciato”. Tutto bene e tutto giusto, ma siamo nell’ordine delle pre-condizione formative di una società liberale. Che la nostra, in realtà, non lo sia poi così tanto, liberale, non giustifica il fatto che si debbano ripetere in eterno le solite banalità.

Dal momento che abbiamo sempre identificato la scuola pubblica come autentica rappresentante del sentimento collettivo, attribuendole negli anni una primazia formativa, oggi che una certa visione monopolista, per come l’abbiamo conosciuta, è certamente finita, lo stato italiano avrebbe il dovere primario, che in realtà non assolve, di tranquillizzare i cittadini sulla bontà della scuola paritaria, sul fatto cioè il livello complessivo dell’offerta didattico/formativa può ampiamente competere con le scuole pubbliche, di più, che proprio da una concorrenza virtuosa può nascere un soggetto culturale e complessivo decisamente più alto e soddisfacente per l’intera popolazione.

E invece questo coraggio manca. Ecco perché i difensori strenui del blocco statalista, alcuni certamente intelligenti altri sufficientemente sciocchi da giustificare ampiamente le critiche di Antiseri, oggi hanno comunque buon gioco nel fare fronte comune contro il completo riconoscimento culturale (e anche economico) del “nemico”. Hanno buon gioco perché il governo (ma si dovrebbe dire lo Stato) non fa il suo dovere, non sente “sue” le scuole private, in un’espressione sentimentale “non le ama”. Non ne riconosce pienamente il titolo formativo, non a livello delle statali, per intenderci, e questo capirete che fa a pugni con il concetto di «paritarie». In questa condizione culturale e psicologica, perché allora muovere fondi in quella direzione e immaginare un bonus fiscale da quattro/cinquemila euro, solo per il politicamente corretto?

Per amare la scuola privata, bisogna avere consapevolezza del suo livello formativo. E questo lo Stato non lo fa, non seleziona gli istituti, non li controlla, non stila classifiche di merito, in buona sostanza non trasferisce ai suoi cittadini tutti gli elementi necessari per poter scegliere in assoluta serenità. Ma  questo lo Stato non lo fa neppure con le scuole pubbliche, fidando sul fatto che ormai è passato il concetto che “scuola pubblica è meglio” e questo, in linea teorico/ideale, ovviamente non può mai essere vero.

Quindi da questo Stato, e dunque da questo governo, ci aspettiamo la vera riforma delle riforme. La classificazione serena e severa di tutti gli istituti – pubblici e privati – che hanno la straordinaria pretesa di formare coscienza e conoscenza dei nostri ragazzi.

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