Infrastrutture
La Scuola Mattei: una classe dirigente globale per contare nel mondo
Eni era una pulce rispetto alle grandi compagnie che all’inizio del secondo dopoguerra dominavano il mercato dell’energia. Un dominio quello delle compagnie inglesi, americane e francesi nato dalle macerie del colonialismo e quindi totalmente centrato attorno ad una visione imperialista che vedeva da sempre i paesi produttori quali succubi di compagnie che erano vere e proprie emanazioni del potere e del prestigio delle nazioni di origine. In questo quadro Enrico Mattei intravide un varco possibile, uno spazio dettato da una visione che fosse democratica per quanto legata a stretto filo con le esigenze di crescita economica dell’Italia e ovviamente dell’Eni quale vera e propria impresa libera e capace di sfidare il mercato.
Democrazia quindi come elemento d’innovazione nei rapporti con i paesi produttori. Più spazio di crescita fosse stato permesso ai paesi produttori, più Eni avrebbe ottenuto margini di manovra all’interno del mercato e tutto questo sarebbe stato permesso non solo da una contrattazione economica a tratti anche aspra che contraddistingue gli affari e tanto più rapporti economici determinanti fortemente anche sul lungo periodo, ma anche da una costruzione di relazione, ossia di uno spazio di condivisione in cui Eni potesse farsi quasi da acceleratore per quelle economie ancora antiquate.
Enrico Mattei proponeva così ai propri partner la possibilità di abitare il mondo accogliendo in Eni le potenzialità infinite della diversità culturale. In questo modo Eni allargava i propri orizzonti generando uno scambio culturale paritetico a quello economico. Uno dei mezzi più efficaci per compiere questo intreccio fu la creazione della Scuola di Studi Superiori sugli Idrocarburi (oggi intitolata Scuola Enrico Mattei) a San Donato Milanese. La scuola fu infatti il terreno ideale per far maturare una classe dirigente in grado di raccogliere la sfida globale energetica che Eni si poneva.
Allora in Italia non esistevano corsi universitari che contemplassero le esigenze utili ad un’azienda dinamica e innovativa come Eni che parlava di “mondo” come oggi pare ovvio, ma allora certamente no. Una sorta di master post universitario dunque attraverso il quale i cosiddetti “ragazzi di Mattei” hanno affilato le loro competenze di ingegneri, economisti e anche umanisti in un percorso interdisciplinare e di forma internazionale.
Mattei non credeva in uno Stato benevolente e ancor meno in una forma di azienda di para-Stato, ma credeva fortemente nell’essenzialità di un’azienda che fosse di Stato per la visione anche politica che sapeva portare con le proprie competenze nel mondo e quindi capace di generare con i “propri affari” lavoro, democrazia e forma di comunità: una socialità quindi di dovere e non assistenziale in cui l’intreccio Stato e Impresa si fa virtuoso, in caso contrario semplicemente non è, snaturando l’uno e l’altra in maniera letale.
Alla Scuola di Studi Superiori sugli Idrocarburi venivano accolti anche gli studenti dei paesi produttori con cui Eni intratteneva relazioni. Questo scambio rientrava nell’ottica di un’Eni che si faceva agente di sviluppo generando competenza diffusa nella convinzione che la crescita reciproca favorisse le relazioni stesse. Mentore della scuola fu Giovanni Boldrini, vicepresidente di Eni e braccio destro di Mattei. Statistico di fama internazione Boldrini impresse la propria visione teorica alla scuola in un’ottica di condivisione dei contenuti e delle stesse modalità d’insegnamento allora realmente rivoluzionaria. La decolonizzazione passava anche dalla scuola Eni, ossia attraverso una visione che si facesse carico di uno sguardo aperto e capace di accogliere la diversità con risultati fortemente innovativi rispetto anche solo alla scuola italiana dell’epoca.
Il percorso di studi era scelto dagli studenti, le classi erano miste (siamo nel 1957) e il rapporto con i docenti era aperto a discussioni e dibattiti che superassero la formalità degli esami tradizionali. La scuola puntava infatti ad un’eccellenza formativa capace di attrarre nelle proprie aule i migliori studenti a livello internazionale provenienti dai paesi produttori, ma ma non solo. Tra i docenti si possono ricordare figure come quella di Ludovico Geymonat o Giulio Natta (premio Nobel per la chimica nel 1963).
Eccellenza e scambio di competenze per un’azienda capace di essere trasparente per garantire sviluppo e crescita attraverso un uso della conoscenza non proprietario, ma aperto, capace per l’appunto di abitare il mondo con coraggio e innovazione.
Enrico Mattei si muoveva in un doppio binario che potrebbe definire la sua figura come quella di un provinciale internazionale, una sorta di visione glocale ante litteram; aveva infatti la capacità di cogliere il particolare e inserirlo con la sua eccezionale diversità nel sistema globale arricchendolo e rinnovandolo. Un lavoro assiduo in cui competenze e biografie si integrano sviluppando percorsi inediti di crescita intellettuale, sociale e certamente anche economica. Una base essenziale e necessaria anche oggi per uno sviluppo che sappia da un lato cogliere i piccoli movimenti carsici che attraversano le società e dall’altro dare loro il respiro giusto, il passo adatto ad affrontare sfide globali. Le origini diventano così radici e sensori utili per perlustrare il mondo, senza dimenticare da dove si viene e proprio per questo capaci di muoversi lontano.
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