Scuola

La scuola che sogniamo è apprendimento educativo

10 Dicembre 2022

“I pesci non ci fanno tenerezza, ci riesce difficile immaginare che siano intelligenti, che sentano: in alcune parti d’Italia, di persona non troppo brillante, si dice che è un tonno, un pesce lesso o una tinca”

Al tempo del social gli smanettoni delle tastiere sono diventati i nuovi idoli, la battono come si batterebbe una donna per strada che ha necessità di guadagnarsi da vivere perché un lavoro onesto non lo trova. Prima gli italiani, lei è di colore, non ha la cittadinanza, forse neppure documenti in regola.

Un rapporto di lavoro non può essere una costrizione, il lavoro nobilita l’uomo se questo lavoro rispecchia le nostre caratteristiche, le nostre peculiarità, se in esso possiamo esprimere le nostre capacità e i valori in cui siamo stati formati e secondo i quali formiamo. Il lavoro è il prolungamento di una casa, a casa stai bene se ti senti a tuo agio, quando ti liberi dalla costrizione degli indumenti che ti fasciano e puoi indossare quelli che ti consentono un movimento più agevole, più fluido. Perché ciò accada è necessario che agiamo secondo quanto sentiamo, lavorare non è sfilata a piazza di Spagna, è sapere creare affiatamento, gruppo, lavoro di squadra. Solitamente una squadra condivide ideali ed obiettivi comuni, la capacità di comunicare, di condividere un progetto, di impegnarsi seriamente per un fine che non è puramente economico o commerciale. È vincolante ciò che per noi costituisce un movente, una penna si muove non perché è pagata meglio, non perché è al servizio di un potere che cerca di zittire le donne in nome di una supposta superiorità e arrogante presunzione di reputare se stessi capaci di confondere, intorbidire, zittire sottoponendo l’altro a continua umiliazione.

La scuola è una comunità in cui le vecchie gerarchie fondate sulla presunta superiorità del docente sono ormai superate, non esiste una struttura piramidale al cui vertice è posto l’insegnante come autorità indiscussa ed assoluta, la scuola è una comunità dialogante, dove la conoscenza è costruita con l’apporto del contributo di ciascuno.

La scuola non fa differenza: differenzia percorsi, li adatta, li adegua alle capacità di ciascuno. Ciascuno nella scuola è qualcuno, non un qualcuno qualsiasi ma un qualcuno singolare, con le sue specificità, abilità, dove l’anelito a far meglio nasce dall’ammirazione che si nutre verso una persona, dalla passione che un professore col suo esempio sa infondere.

A scuola non si insegna come ottenere una brillante carriera diventando dei bravi arrampicatori sociali, si insegna a collaborare, a esprimersi in modo conforme a quanto si sente, a soppesare le parole, a centellinarle, vagliarle perché il modo in cui ci esprimiamo è la cartina al tornasole del nostro sistema di pensiero. La gentilezza non è pura forma, non è rivestimento, minuzia, impreziosimento ornamentale, è sostanza del sentire, dell’agire, è lo stile del nostro pensiero, praticarla significa considerare l’altro non inferiore, non sottomesso, non subalterno rispetto all’immagine che abbiamo di noi.

A scuola si impara a scegliere ciò che non rappresenta una forzatura perché snaturarsi implica una diminuzione della propria natura e una contraffazione dei propri ideali che mortificano, sviliscono. A scuola si impara il coraggio di vivere le proprie scelte, di non forzare andature, di non correre per afferrare un simulacro di successo che implicherebbe una svendita di se stessi come persona per diventare una donna oggetto. In una comunità si è soggetti pensanti, senzienti, capaci di provare emozioni che sfuggono a pure logiche speculative perché l’unicità non può essere isolamento ma è frutto dell’apporto di altre e diverse specificità.
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Foto: Claude Monet, Nature morte: le quartier de viande

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