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Scuola

La scuola che ha dimenticato la vita

Non è la scuola a essere in crisi. È il mondo degli adulti che si è frantumato. E la scuola ne è solo lo specchio più fedele

30 Aprile 2025

“Come vai a scuola?”. Non come va la scuola. Le domande che ogni ragazzo si sente ripetere sono il segno più chiaro di una cecità profonda. Una cecità adulta, sistemica, che si ostina a misurare il rendimento senza mai interrogarsi sulla sostanza. La scuola oggi è un mausoleo senza radici. Un apparato burocratico che produce certificati invece di formare vite. Un mondo stanco che recita a memoria liturgie svuotate, come in un culto che nessuno crede più di dover salvare.

Dentro gli edifici scolastici tutto appare immobile. Fuori, la realtà cambia con una velocità che la scuola non riesce nemmeno a intuire. I libri di testo sono la caricatura di ciò che un tempo si chiamava sapere. Manuali scritti per occupare spazio più che per educare. Venduti come prodotti industriali, rimpastati ogni anno per spremere altri soldi da genitori attoniti. Nessuno li legge. Nessuno li ama. Nessuno li ricorda. Si studiano come si ingoiano medicine cattive, contando i giorni che separano dall’ultima interrogazione.

La scuola ha fallito perché non ha saputo rispondere al mondo che cambiava. Non ha avuto il coraggio di scegliere. Di decidere se restare custode del passato o farsi avamposto del futuro. Ha preteso di essere entrambe le cose. Ed è rimasta prigioniera del niente. Oggi la scuola offre due illusioni. Un accumulo di nozioni senza esperienza e una digitalizzazione ridotta a rendiconto amministrativo. I registri elettronici sono l’unica vera innovazione. Sapere in tempo reale il voto di un figlio è più importante che sapere se ha capito qualcosa.

Il debito scolastico è l’immagine perfetta del tempo in cui viviamo. Un linguaggio finanziario applicato alla formazione. Paga. Compensa. Pareggia. Non importa cosa hai imparato. Importa se hai saldato il conto. La scuola che dovrebbe liberare, in realtà introietta la logica più perversa del sistema. Non pensare, esegui. Non riflettere, accumula. Non crescere, certifica.

E poi c’è la separazione più dolorosa. Quella tra insegnanti e studenti. Frustrazione contro apatia. Rassegnazione contro cinismo. I docenti che tentano di mantenere vivo il fuoco sono ogni anno più soli. Gli studenti che vorrebbero essere scossi devono nascondere il desiderio per non sembrare ingenui. È un patto di rassegnazione reciproca. Un’alleanza triste firmata nella polvere delle aule e nella freddezza delle circolari.

La scuola non è solo in crisi. La scuola è diventata lo specchio di una società che non sa più cosa trasmettere. Una società che vive nella frenesia della soddisfazione immediata e nell’alienazione della competizione infinita. Non ci sono più nemici visibili da combattere. Non ci sono più padroni da sfidare. C’è solo un’autosfruttamento quotidiano travestito da libertà. Una libertà che ci consuma senza che nemmeno ce ne accorgiamo.

In questo mondo sterile, la scuola continua a insegnare come se il Novecento non fosse mai finito. Continua a pretendere che la somma delle informazioni sia cultura. Continua a confondere il diploma con la formazione. Non si accorge che i suoi rituali non producono conoscenza. Producono alienazione.

La scuola dovrebbe essere il luogo della sorpresa, dell’imprevisto, della ricerca autentica. E invece è diventata un immenso laboratorio di passioni tristi. Chiusi nelle loro aule, studenti e professori condividono la stessa solitudine. La stessa nostalgia di un mondo che non hanno mai vissuto. La stessa intuizione che nulla di quello che si fa lì dentro basterà per vivere davvero.

La scuola va male perché la vita fuori va male. Non per la mancanza di soldi. Non per la cattiva gestione. Non per la pigrizia degli studenti. Va male perché abbiamo perso il coraggio di educare. E senza coraggio, ogni insegnamento è vuoto.

Non serve una riforma. Serve una rivoluzione dell’anima. Serve la follia di chi è disposto a insegnare e a imparare insieme. Serve la fiducia di chi sa che l’educazione non è mai un prodotto da vendere, ma una relazione da custodire.

Serve qualcuno che abbia il coraggio di chiedere, finalmente, senza paura: come va davvero la scuola?

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