Scuola
La pace è un esercizio praticato quotidianamente
“Nemmeno le nubi assolate possono fare stamane
gonne così.
Né la donna in ambulanza,
il cui rosso cuore sboccia prodigioso dal mantello”
Nostalgia deriva dal greco “ritorno” e “algia”, dolore. Algos è secondo la mitologia greca il dio del dolore. Nasce, come racconta Esiodo nella sua “Teogonia”, da Eris, divinità della discordia, figlia di Zeus ed Era.
La nostalgia è un sentimento deformante, nel senso che ci riporta alla mente ciò che è stato vissuto nel passato sfrondandolo di episodi negativi. Tutti ricordiamo ad esempio con piacere gli anni della scuola, alla memoria si affacciano solo i momenti gioiosi, le risate con gli amici, lo sberleffo ai professori, ma dimentichiamo ad esempio quanto è stato duro il nostro lavoro di studente, che avremmo desiderato avere un po’ più di libertà di cui lo studio ci privava imponendoci pomeriggi interi trascorsi in una stanza a studiare con l’unica compagnia di un libro.
Quanto di brutto è accaduto viene rimosso, vuoi perché il tempo ha agito levigando le asperità che intossicherebbero la nostra vita, vuoi perché ciascuno di noi ha bisogno di avere un’idea edificante di se stesso. Quello che non siamo o non siamo stati lo rimuoviamo, abbiamo bisogno di pensarci sempre all’altezza delle situazioni poichè diversamente l’immagine di noi stessi ai nostri occhi, prima che a quelli altrui, ne uscirebbe minata.
Per non essere schiavi dei nostri ricordi, e delle deformazioni necessarie che essi comportano, la soluzione è vivere il presente. Il passato è un luogo che non ci appartiene più, un luogo in cui siamo stati, quello che non si è realizzato in quel tempo non doveva realizzarsi perché non corrispondeva ai nostri bisogni, ai nostri ideali. Il presente è il luogo in cui siamo, è quell’ora del giorno in cui, camminando, le ombre allungate della nostra figura non ci accompagnano. Il presente è il luogo della pace, quella tanta agognata da tutti, ma che pochi riescono veramente a raggiungere perché corriamo sempre dietro a qualcosa, un qualcosa che vogliamo afferrare per cupidigia, competizione, per riconfermare l’idea del vincente che ci siamo costruiti.
Le guerre nascono dall’incapacità di riconoscere i diritti degli altri, dal voler cooptare nella propria sfera d’azione il più debole, dall’incapacità di vivere lasciando spazio alla diversità altrui, studiando strategie per boicottare libertà, cooperazione, solidarietà.
In tempi di sopraffazione sembra anacronistico parlare di pace. Alla pace ci si educa, si educa l’istinto, si educa mortificando la propria natura che tenderebbe a fare scelte egoistiche, ad agire d’impulso.
Se vi trovaste in una classe in cui un alunno trasgredisce ad una regola, o vi rende la vita insopportabile, non potete mollargli un ceffone anche se la vostra natura tenderebbe a farlo. Puoi alzare il tono della voce e rimproverarlo, il più delle volte tendi a spiegare il perché la sua condotta è sbagliata. Essere educatori significa scegliere sempre la strada lunga e tortuosa della spiegazione, del consenso, dell’elasticità nel comprendere le ragioni dell’altro. La pace è un analgesico, praticarla implica un esercizio costante e doveroso.
In foto: Marcello Dudovich
Ritratto di Emma Gramatica
su copertina di rivista
Collezione privata, Trieste
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