Scuola
La controversa questione del ritorno a scuola
“Tutto il male che si dice della scuola fa dimenticare il numero di bambini che ha salvato dai pregiudizi, dall’ottusità, dall’ignoranza, dalla stupidità, dalla cupidigia, dall’immobilità o dalle famiglie”
Leggevo ieri un post di Enrico Mentana in cui lamentava la chiusura delle scuole superiori costrette alla didattica a distanza. Il post recitava:
“Abbiamo avuto più vittime di ogni altro paese d’Europa. Abbiamo così poco imparato la lezione della prima ondata che i numeri della seconda sono stati addirittura peggiori. Eppure siamo stati l’unico paese ad aver chiuso ermeticamente le scuole, con la foglia di fico della didattica a distanza, pur essendo i meno digitalizzati del continente. Gli studenti universitari non entrano in ateneo da dieci mesi, come buona parte dei liceali. Tra quattro giorni infine i portoni dovrebbero riaprire, come annunciato solennemente da più di un mese: ma già esperti sanitari, presidi e regioni dicono che si rischia, per i nebulosi orari a scacchiera e per il caos dei trasporti locali. Pensateci: quella dell’istruzione è la principale “industria” del paese. Tutte le altre nel corso dei mesi sono state riaperte e messe in condizione di produrre. La scuola no. Stiamo facendo centinaia di miliardi di debito che i giovani di oggi dovranno restituire; non un capitolo del progetto di Recovery Fund riguarda il sostegno all’occupazione giovanile; la lesione plateale del diritto allo studio e della sua dignità costituisce il terzo indizio, e per dirla con Agatha Christie fa prova. Un paese che non si cura del futuro non ha futuro”
Se nell’ultima parte in cui critica i mancati investimenti nella scuola mi vede daccordo, non condivido per niente alcune affermazioni.
La verità di chi pensa di conoscere la verità é giudicare senza reale cognizione. Non sono fautrice della scuola a distanza. Tutt’altro. Ma dire che la scuola é improduttiva con la DaD significa mentire spudoratamente, significa pensare che dietro quello schermo gli insegnanti pettinano le bambole invece che fare didattica, cercando di adattarla alle mutate modalità. Significa non percepire gli sforzi degli insegnanti nel tener vivo l’interesse degli alunni, negare un lavoro il cui carico é raddoppiato. Mentana ha mai provato a lavorare a distanza con le classi?
Mi pare azzardato il paragone con la fabbrica, perché gli alunni sono materiale umano non merci, e anche la metafora della foglia di fico mi pare poco consona. La scuola non copre per pudicizia nessuna magagna, mette in luce le pecche, fa venir fuori i problemi, molti insegnanti fanno del loro meglio per essere sempre presenti ed efficienti nello svolgimento del proprio compito, per passione prima che per dovere, fanno autocritica, si confrontano, cercano di organizzarsi come comunità per risolverli i problemi! E poiché, inoltre, i luoghi deputati alla formazione non sono solo le aule, lo stesso principio di apertura dovrebbe valere per musei, cinema e teatri.
Sicuramente, quello che pesa di più nel fare scuola a distanza, è l’aspetto relazionale. L’isolamento ha creato ansia, stress, depressioni, alterato ritmo sonno veglia. Ovviamente ciò si ripercuote sul ritmo di apprendimento.
Credo che al di là dell’interesse intorno alla scuola divenuto ormai una questione politica, bisognerebbe chiedersi cosa insegnare.
Un tempo tutte le conoscenze provenivano dalla scuola che anno dopo anno venivano svelate agli alunni. Oggi la priorità della scuola non è quella di informare, internet e mette a disposizione tanto materiale, a volte anche spazzatura, un labirinto in cui rischia di perdersi e in cui bisogna selezionare contenuti validi. La scuola deve orientare, in primis a distinguere la verità dalla menzogna, la serietà dalla frivolezza, la qualità delle informazioni a cui si ha accesso, perché internet è un contenitore che propina di tutto e sarebbe una lotta persa in partenza proteggere gli alunni da un habitat a loro congeniale e convincerli ad ascoltare i consigli della nonna. La scuola deve educare alla realtà, e la realtà è che esiste un flusso di informazioni. La scoperta è oggi, grazie alla rete, facilmente accessibile, il compito di un insegnante è anche quello di dare ordine e senso alle informazioni.
Il problema principale della scuola, in questi tempi di chiusura, è solo parzialmente quello di una didattica a distanza, il problema della scuola è il modo di fare scuola, è la somministrazione di esami tipo test a discapito di prove che privilegiano la capacità di argomentare, ragionare, disquisire. Affinché Power Point sia efficace, deve affiancare non sostituire l’argomentazione che altrimenti svuoterebbe il sapere del suo contenuto.
La fortuna di alcuni politici è legata all’uso del twitt, che, appunto, riassume in una frase o in uno slogan, abitua all’insolenza, all’insulto poiché esclude la capacità di argomentazione che rappresenta il nucleo del pensiero.
La questione sulla validità della didattica a distanza è, forse, da rilevare nel fatto che radica parzialmente la conoscenza, la questione del facile accesso alle informazioni è che restino informazioni. L’unica conoscenza che mette radici è quella che passa attraverso l’esperienza e trasforma la persona.
Altro problema che va al di là della didattica a distanza è quello dell’attenzione. Per cambiare la realtà, la politica, la società, è necessario concentrarsi. Senza attenzione adeguata non c’è progresso, non c’è civilizzazione, non c’è sviluppo umano. Se accedere ad un contenuto è diventato facile, riflettere sulla qualità o l’etica del contenuto è divenuto estremamente più difficile perché il bombardamento di informazioni ha avuto come implicazione quello dell’attenzione fluttuante. Questo è il compito arduo a cui si accinge oggi l’insegnante, è questa la grande sfida dell’istruzione.
C’è una chiara consapevolezza nella scelta di reintrodurre l’insegnamento all’educazione civica: è necessario che episodi come quelli della pastora etiope assassinata in casa e violentata, o il massacro di una giovane vita che si trovava in Egitto per descrivere la difficile situazione sindacale dopo la rivoluzione egiziana del 2011, non ci appaiono remoti come un film alla pulp fiction. La sfida dell’educazione è quella di interpretare fatti muovendo coscienze e sensibilità, quella di educare al rispetto, all’integrazione, alla giustizia; è ancora quella di canalizzare la rabbia, la sfiducia di una società in cui le aspettative di progresso e di sviluppo vengono frustrate, in cui l’ascensore sociale è fermo e il futuro appare privo di prospettiva.
Un’opinione che trova seguito, ad esempio è che i detenuti nelle carceri americane sono in maggioranza neri rispetto ai bianchi o altre etnie. Spiegare che è il disagio e l’emarginazione, cause sociali, quindi, non genetiche determinano maggiore concentrazione di delittuosità fra la popolazione americana, è necessario per non attribuire credito a pregiudizi falsi e pericolosi.
Non è un’opera facile perché i tempi ci mettono dinanzi a grandi sfide, ma l’evoluzione è nata dal superamento degli ostacoli passati. Del resto le epoche successive hanno sempre guardato quelle precedenti come migliori, presupposto che costituisce il motore del film Midnight in Paris per dirla alla Woody Allen, in cui tutti i personaggi sostengono che l’epoca migliore per gustare la Parigi più autentica fosse quella immediatamente precedente.
Quando si parla di didattica si cammina sempre su un terreno sdrucciolevole perché non ci sono soluzioni preconfezionate, praticare l’arte del dubbio è lo strumento fondamentale del pensiero critico.
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