Scuola
“L’ ora di ricevimento”: riflessioni su una scuola che cambia
Chi sono i nostri studenti, il ragazzo timido e solitario o il bullo che diventa un capobanda quando mette il piede fuori casa, l’allievo invisibile, quello rassegnato. Quanto conosciamo i nostri figli?
Domanda che un educatore dovrebbe porsi sempre e su cui faccio una ulteriore riflessione dopo aver assistito a “L’ora di ricevimento”, opera della brillante penna di Stefano Massini e di cui Placido ha curato superbamente la regia.
Sebbene lontani dall’incontro-scontro culturale, sociale e religioso che caratterizza il crogiuolo di razze che formano una classe di bambini in una banlieu ai margini dell’area metropolitana di Tolosa, simile è la disillusione di tanti insegnanti che mettono in discussione il modello educativo in un tempo segnato da cambiamenti epocali.
Il sempre difficile mestiere del genitore e di conseguenza dell’insegnante è diventato ancora più oneroso: deve districarsi tra la giungla di pericoli in cui un ragazzo potrebbe incorrere e richieste a cui spesso non si sa come rispondere. Concedere troppo è deleterio, lo è altrettanto negare ciò che tutti posseggono o fanno. Virtus in medio stat, certo. Più facile a dirsi che a farsi, a volte la saggezza latina non aiuta.
La verità è che i piccoli mondi privati fatti di relazioni che neppure conosciamo e alla cui costruzione consentono le nuove tecnologie, sfuggono a qualsiasi forma di controllo.
Non si può vivere, però, di passato e anche la pratica didattica fatta di lavagne elettroniche o la possibilità di tenere lezioni a distanza, sono la riprova che chiudere gli occhi al mondo che cambia è contro natura.
Certo, il ruolo dell’insegnante e della scuola vanno ripensati e riformati, ma non destrutturati e sottoposti ad un processo riduzionista di chiara ispirazione a modelli produttivistici e asfissianti visioni economicistiche- efficientiste.
In realtà ciò che è mutato non è tanto lo strumento didattico, quanto la modalità di fare scuola, la sua natura formativa.
Un tempo la scuola tendeva ad informare mentre formava, le discipline svelavano i loro segreti man mano che si iniziava a studiarle. La mappa delle conoscenze procedeva per gradi pervenendo così alla scoperta su argomenti diversi. Oggi ciò non accade più. Internet e l’ accesso immediato alle informazioni hanno tolto al docente quel ruolo di dispensatore del sapere; documentarsi sui diversi argomenti è diventato più semplice, si reperisce in rete ciò che ci interessa.
Proprio questa facile accessibilità alle notizie ha modificato la funzione e il ruolo del docente che orienta mentre forma. Aiuta i ragazzi a districarsi nel labirinto di informazioni che ci piovono addosso, a considerare attendibile una notizia, a trovare riscontro su quanto viene messo in rete, a distinguere una notizia da una fake news, a scindere ciò che è rilevante da ciò che è accessorio.
Il docente non può fare da scudo contro tutto ciò che circola su internet così come un genitore non può relegare la vita del figlio sotto una campana; bisogna, invece, adoperarsi nel miglior modo possibile affinché l’accesso a internet sia usato in funzione educativa.
In realtà, sia che si tratti di un genitore o di un insegnante, il ruolo dell’educatore ha subito ormai una metamorfosi. Perché venga riconosciuto come tale, non può più raccontare ad un bambino che i fratellini nascono sotto un cavolo, la rete e la televisione non lo consentono e allora deve trovare il modo giusto per spiegare come avviene la procreazione. Come ai bambini bisogna narrare racconti più verosimili ai quali non si sottrarranno essendo curiosi e i primi filosofi, così accogliere la giusta dose d’ informazione, dopo averla selezionata, vagliata, comparata, significa insegnare a pensare liberamente senza inculcare il modo di pensare.
Non è un compito facile, purtroppo la nostra generazione è stata travolta da un profondo cambiamento che ci ha richiesto in primo luogo di saper utilizzare nuovi strumenti informatici e in un secondo momento di arginare le conseguenze dell’uso degli stessi sul piano educativo.
Lamentarsi, intanto, non serve a nulla, rassegnarsi alle difficoltà che ci pone dinanzi la nostra epoca neppure, si rischierebbe di calcare le orme di Amleto che deluso dalla madre, dallo zio e dalla politica del suo regno, si rammarica di essere nato in un’epoca per cambiarla quando il cambiamento sarebbe potuto essere stato realizzato da altri prima di lui.
Forse oggi più che mai, dinanzi ad un mondo che lancia sfide sempre più complicate, l’educatore deve formare persone autonome ed indipendenti avvicinandosi al mondo dei giovani prima che lo facciano i “cattivi maestri” in cui oggi più che mai è facile incappare. Deve avvalersi d tecnologie che sappiano valorizzare la creatività, l’immaginazione, l’intercultura
Nell’era di twitter, instangram e del’e-learning, il pilastro del processo educativo, però, resta ancora la convivenza, è l’interazione che sviluppa il nostro potenziale umano, lo sanno bene coloro che hanno vissuto l’abbandono o la morte dei genitori crescendo in totale isolamento. Mowgli nel “Libro della Giungla”, non potrà sviluppare il linguaggio, primo strumento di contatto vero con l’altro, in quanto cresciuto dalle scimmie. In quanto esseri sociali siamo soggetti a condizionamenti, ma è la convivenza e il confronto che ci rende umani. Le relazioni interpersonali sono lo stimolo propulsore che consentono di far emergere il potenziale di ciascuno, si inizia ad imparare imitando, gli altri possono essere anche fonte di ispirazione. Ecco perché ottenere informazioni da un computer è un modo di acquisire solo contenuti, il confronto, nonostante i limiti di ciascuno, educatori compresi, è un processo necessario e insostituibile.
L’educazione implica flessibilità e abbatte tutto ciò che è rigido, è salvaguardia contro la persistenza dello status quo. Se l’educazione non fosse sovversiva il destino di ciascuno sarebbe stabilito dal contesto familiare e dal suo background: i figli dei poveri o degli analfabeti sarebbero rimasti tali.
L’innovazione metodologica e l’uso di tecnologie digitali sono sicuramente un possibile strumento di ampliamento e accesso ai contenuti, ma non devono essere un diktat proposto da un modello culturale preconfezionato, figlio di un’ ideologia indiscussa.
Fondamentale, poi, è da considerare che più che informazioni e documenti ricercati in rete, le discipline, tutte, nella loro declinazione, sono la chiave di lettura del mondo. Se il fulcro dell’educazione è l’autonomia di pensiero, è pur vero che bisogna avvalersi di una serie di contenuti a cui ciascuno in modo del tutto personale dà ordine e forma.
Questa capacità di rielaborazione autonoma, distante dal semplice riempire il cervello di nozioni, e che si traduce in possibilità di conoscere i fatti, argomentare, formulare ipotesi, compito a cui si dedica l’educatore, significa aver acquisito competenze, in primis quella di pensare autonomamente
Le molteplici riforme educative investono molto poco nell’istruzione, nonostante la riconosciuta importanza di un’educazione che si faccia carico di sempre nuovi problemi emergenti e faccia fronte alla complessità di un mondo che spesso spinge verso soluzioni più facili e considera sempre più l’altro come strumento di divertimento non persona con cui costruire divertendosi.
In una società dove sono richieste conoscenze nuove e sempre più aggiornate, bisognerebbe investire su una formazione continua che ovviamente implicherebbe costi elevati, ma su un lungo periodo sarebbe sicuramente meno cara di un’ educazione di cattiva qualità.
La miopia della politica, invece, porta a scelte i cui effetti siano visibili a corto raggio, mentre l ’ istruzione è una soluzione a lungo termine.
Le disuguaglianze, perciò, tenderanno sempre più ad aumentare le disparità tra le opportunità offerte a coloro che nonostante il merito appartengono a famiglie svantaggiate, opportunità che saranno sempre minori così come peggiori saranno le loro prospettive di lavoro. Una disuguaglianza permanente che non si traduce solo nella produzione di reddito, ma anche nell’ accesso alla sanità, alla giustizia.
Davvero “il dio denaro è un dio speciale fatto di carta e presunto potere” che consente l’ istruzione ?
La scuola dovrebbe ancora avere come cardini riferimenti costituzionali (art.3, 33, 34)
Purtroppo la politica è poco sintonizzata su investimenti che richiedono tempo, più interessata a salvaguardare interessi particolari che pubblici, l’ istruzione non va d’ accordo col il potere che tende a controllare il cittadino laddove l’ intento dell’istruzione è quello di liberare. Il politico è attaccato alla propria poltrona, i bravi genitori e i bravi insegnanti educano i ragazzi al distacco, a fare a meno di loro rendendoli indipendenti.
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