Scuola

Il tempo della scuola, una replica

12 Febbraio 2021

Ho letto con attenzione l’articolo di Antonio Vigilante su Gli Stati Generali intitolato “Il tempo della scuola” e ne sono rimasto sinceramente sorpreso. Mi è parsa una difesa d’ufficio della categoria degli insegnanti dalla quale, peraltro, lui si distingue e si è sempre distinto per l’acume pedagogico emerso in tanti contributi su Gli Stati Generali e altrove. Oltre all’insensatezza di quella che io chiamo SSID (Spiego, Studi, Interrogo, Dimentichi), non di rado si assiste alla “pedagogia della punizione” che pervade molte dinamiche interne alle classi. Violenze psicologiche gratuite che troppo spesso sono il cascame indiscusso della lezione frontale, cavallo di battaglia della didattica trasmissiva. Paradossalmente la DaD ne è troppo spesso l’apoteosi: il docente fa lezione, i discenti spengono la telecamera. L’apprendimento, come mi ha confidato Francesco Rocchi, insegnante del gruppo Condorcet, avviene quindi per irraggiamento e se lo studente non impara è colpa sua: evidentemente è fatto di piombo. Se noi guardiamo, ancora oggi, la scena dello scrutinio in “La scuola” (film del 1995 di Lucchetti, con Silvio Orlando), difficilmente troviamo differenze con quelli ai quali mi è capitato fino a ieri di assistere come docente e oggi come dirigente.

Se si analizzano i miei scritti, certamente nell’arco della vita se ne troveranno di demagogici perché ciascuno di noi si è trovato in condizioni sociali, psicologiche o di necessità entro le quali abbiamo ritenuto utile “essere popolari”, ma più che essere preoccupato di questo, cosa che comprendo essendone stato affetto, oggi mi colpiscono le più di quattromila condivisioni del suo articolo che trovo sintomatiche di una scarsa voglia di mettere in discussione una modalità didattica e contrattuale che è unica al mondo e che, oggettivamente, produce effetti molto negativi, denunciati da Vigilante stesso nei suoi lavori.

Naturalmente di fronte all’affermazione “questa proposta, che sembra nascere da una reale preoccupazione per il bene dei nostri studenti, rivela invece inconsapevolezza pedagogica e disprezzo per i docenti”, in quanto co-autore dell’appello di Condorcet, non può che indurmi alla riflessione per darmi modo di argomentare sulla sua infondatezza.

Vale la pena premettere il fatto che, in merito all’allungamento dell’anno scolastico proposto da Draghi (noi preferiamo parlare di rimodulazione), si tratta molto semplicemente di un’indiscrezione legata al “telefono senza fili” delle dichiarazioni di un deputato a margine delle consultazioni. Ben poca cosa, ma è comprensibile che, essendoci rarissime dichiarazioni, ciascuna di queste provochi reazioni e catene di deduzioni. Per quel che riguarda la locuzione “allungamento dell’anno scolastico” occorre parimenti osservare che ci sono molti modi diversi di implementarlo, ciascuno incarna visioni diverse. Ad esempio, lo scrivente immagina che dichiarare “anno scolastico ordinario” quello che comincia dal primo di settembre fino al 30 di giugno, in modo tale da poter disporre, ciascuno per il proprio orario, dei docenti anche dopo gli scrutini e prima dell’avvio dell’anno scolastico, sarebbe un’ottima cosa per supportare studenti negli apprendimenti che, senza la scuola, sarebbero lasciati soli quando più ne avrebbero bisogno e cioè quando devono essere sostenuti. Questo, almeno, per quest’anno, perché per il prosieguo una diversa alternanza di frequenza, sospensione delle attività didattiche, come in Francia, è l’obiettivo da perseguire. Naturalmente, nel contingente, è lapalissiano il caso delle scuole superiori, con la sospensione dei giudizi, dove i recuperi sono spesso degli affidamenti alle risorse familiari, ma progettualità pedagogica può essere sviluppata sapientemente nel primo ciclo, in particolare da chi abbia frequentato le facoltà di Scienze della Formazione, o nella scuola secondaria di primo grado, tra chi ha frequentato Scuole di Specializzazione, Tirocini Formativi Attivi o i tanti Master pedagogici ai quali sono state costrette intere generazioni di precari.

Una modifica, contrattuale e legislativa, a mio parere è premessa necessaria se lo scopo è quello di restituire prestigio alla classe insegnante.

Ho trovato alcune affermazioni ingenue. Vigilante afferma che “Gli scrutini del primo quadrimestre sono stati appena conclusi, è possibile verificare se ci sono stati e quanto sono stati importanti i danni della didattica a distanza”. C’è un modo nobile e uno prosaico per confutare questo argomento. Il primo emerge tramite le ricerche sulla perdita di apprendimenti che non sono state ancora effettuate in Italia ma che, come ci informa Andrea Gavosto di Fondazione Agnelli, sono state fatte altrove. In settore più specifico, quello della disabilità, Dario Ianes offre numeri spaventosi. Attendiamo con fiducia le rilevazioni INVALSI per sciogliere ogni riserva, già tuttavia sappiamo proprio dalle rilevazioni, ormai consolidate, che i voti degli insegnanti (e non potrebbe essere diversamente) sono significativi di classificazioni eque all’interno della singola classe, ma non lo sono tra classi diverse. Il 7 della professoressa X vale un 9 del professor Y, cosa di cui tutti abbiamo esperienza diretta. Il modo prosaico di affrontare questa questione è legato ad osservazioni empiriche emerse chiaramente con l’istituzione dei PIA e dei PAI. Appena si è sparsa la voce che i corsi di recupero sarebbero stati erogati senza un compenso aggiuntivo, sono fioccate le sufficienze. Il fenomeno non è nuovo, purtroppo.

Questa questione dei compensi aggiuntivi sulle singole voci che appena appena escono dall’ordinario è comprensibile quanto deleteria. È comprensibile perché non tutte le materie sono coinvolte nei corsi di recupero o negli esami finali, non tutti sono coordinatori di classe, non tutti si rendono disponibili a gestire l’alternanza scuola-lavoro (mi rifiuto di chiamarla PCTO) e molto diversi sono di fatto gli impegni degli/lle insegnanti nelle diverse discipline. Peraltro una stessa disciplina è diversamente rilevante, e conseguentemente pesante, nei diversi indirizzi, quindi abbiamo grande varietà nei carichi di lavoro dai quali è anche possibile tenersi alla larga. Tutto questo rende difficile schematizzazioni a priori. Naturalmente, lasciare discrezionalità ai dirigenti scolastici sulla valutazione di questi effetti ha prodotto reazioni note a tutti e sarebbe interessante ragionarci sopra, ma andrei fuori tema. Il sistema ha trovato questo modo di compensare gli squilibri nei carichi di lavoro: il cottimo. Fai questo, quindi vieni pagato per questo, fai quell’altro, vieni pagato per quell’altro. Poco, naturalmente. Infatti c’è chi non vuole fare nulla. Legittimamente. Tutto ciò che eccede la mera lezione nell’orario di servizio è soggetto a questa distorsione. C’è un’altra soluzione che sarebbe quella dell’istituzione delle carriere perché una scuola con il 95% di docenti che fuggono al suono della campanella alla stessa velocità degli studenti, la lascia abitata da quel 5% di volontari laici che ben conosciamo. Peraltro, sono persino spesso bistrattati perché facilmente etichettabili come “i leccaculo del preside”. La piaggeria verso il capo è comune a tutti i contesti, in alcuni dei quali si chiama “intraprendenza”. Peraltro, spesso ci sono docenti che accettano lavori rifiutati dagli altri perché non tutti hanno due stipendi a casa. In qualche caso, anche avendoli, c’è un mutuo.

Occorrerebbe che un 30% di docenti restasse a scuola tutto il giorno, per darle vita nelle attività che già oggi ci sono, ma come dicevo, spesso sono pagate a cottimo secondo una logica lontana da quella dell’autentica costruzione di una comunità educante e di una professionalità autoevidente che sarebbe apprezzata dall’utenza e dalla società esterna.

L’altra obiezione di Vigilante è quella che la proposta di allungamento dell’anno scolastico “considera nulla il lavoro, spesso enorme, che è stato fatto in questi mesi di didattica a distanza”. Invero non è così. Tutti riconoscono il lavoro enorme che è stato fatto dai/lle docenti, ma nessuno può essere così ingenuo da pensare che sia stato così dappertutto. Io ho visto il lavoro dei docenti della mia scuola, ho visto quello dei docenti della classe di mia figlia, ho sentito, come tutti, testimonianze di scuole che hanno erogato due ore di lezioni al giorno durante il lockdown e se, alla fine dell’anno, tutto si è tradotto in una promozione, non possiamo non nasconderci che in troppi casi si sia trattato di mera compilazione di carte. Ci sono docenti che si sono persino rifiutati di fare didattica a distanza, invocando i vincoli contrattuali, e ben pochi sono stati gli strumenti per intervenire. A mero titolo di esempio, in una importante testata giornalistica scolastica, uno dei suoi principali contributori, sindacalista, ha “dimostrato” (secondo lui, beninteso) che i dirigenti scolastici non possono assistere alle lezioni a distanza. Cito questo caso per testimoniare il fatto che nella categoria ci sono naturalmente infinite sfumature, ma alcune di queste, certamente non maggioritarie, hanno danneggiato esse stesse la categoria. Sono questo tipo di insegnanti, minoritari altrimenti le scuole non funzionerebbero, ad essere il più grave insulto ai colleghi, come spesso gli stessi insegnanti lamentano, non volendo esservi paragonati. Non è quindi chi denuncia queste situazioni ad aggredire la categoria dei docenti, ma sono i docenti stessi ad essere danneggiati dall’esistenza di queste minoranze.

Sul fronte dell’inconsapevolezza pedagogica, Vigilante esplicita il caso di quella tipologia di studenti che la scuola non vuole, addentrandosi nella sfera dell’esclusione sociale nella quale i maestri di strada hanno dimostrato che l’approccio frontale è inefficace. Siamo quindi d’accordo sulla necessità di cambiare approcci per rendere l’insegnamento efficace, ma non dovremmo abbandonare il campo perché c’è chi nega il valore della scuola. Perché lo fa? Spesso è una naturale reazione, comprensibile e legittima, al senso di inadeguatezza che la scuola riversa sugli studenti, anche per la differenza sociale che c’è tra docenti e studenti. Quante volte i primi insultano i mestieri dei genitori dei secondi? La scuola di tipo SSID, per questo genere di utenza, a valle di questo impegno resterà a mani vuote perché è davvero un tipo di scuola inutile. Ma perché gli Insegnanti Tecnico Pratici di molti istituti tecnici e professionali sono venerati? Perché spesso “parlano la stessa lingua” sia dal punto di vista del registro linguistico che da quello sociale. Ci sono gravi differenze nella visione del mondo tra alcuni ceti e quello tipico degli insegnanti. A volte, di questa distanza, chi dovrebbe esserne consapevole non lo è, trasformandosi in (inconsapevole) torturatore. Sociologia, pedagogia, demografia, psicologia dell’età evolutiva o dell’infanzia, dinamiche di gruppo e competenze sui conflitti, sull’inclusione e l’intercultura, solidi approfondimenti nelle didattiche disciplinari sono gli antidoti possibili.

Vigilante conclude con la necessità di assicurare alla scuola un vasto sostegno sociale entro il quale ragionare di qualità e non di quantità. Sono naturalmente d’accordo, ma temo che se ogni volta che si parla (ingiustamente) di tre mesi di ferie si elencano compiti assolti in quel periodo che solo una decina di persone assolve davvero, mentre alla spiaggia tutti vedono il restante 90%, la distanza tra quello che si chiede dichiarando di essere e quello che la società è disponibile a riconoscere alla luce di esperienze diffuse resterà ampia e continuerà ad esserlo fino a quando il contratto di lavoro ammetterà una zona grigia che non si chiama “ferie” ma che lo è nella sostanza.

Per tutto questo io credo che occorra perseguire diverse strade che elenco sinteticamente e che sono molto più importanti della ridefinizione dei tempi di un anno scolastico.

  • Formazione e selezione iniziale dei docenti (per fare in modo che gli insegnanti arrivino minimamente preparati e vengano filtrate le “persone inadeguate” di cui tutti hanno esperienza come collega o come genitore di studenti);
  • formazione in itinere (che deve essere cucita su misura e sui bisogni formativi del docente che non se li può auto-riconoscere, anche se c’è chi è bravo a farlo);
  • carriere degli insegnanti (perché l’anzianità di servizio non può essere l’unico modo di avanzare nello stipendio e se questa resta l’unica opzione, la conseguenza è ovvia e diffusa: frustrazione e disaffezione);
  • riformulazione dell’anno scolastico (più pause diffuse, cosa che darebbe respiro e opzioni turistiche anche agli stessi insegnanti durante tutto l’anno);
  • personalizzazione degli apprendimenti (non solo rigidi curricula che, pur vari tra gli istituti, sono quello che sono in ciascuno di questi);
  • inclusione scolastica vera e non solo formale (nessuna scuola deve poter fare orientamento implicito vantando bassi tassi di disabili, o nessuno);
  • tornare all’alternanza scuola-lavoro (perché il lavoro è nel primo articolo della Costituzione).
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