Scuola
“Il preside è un leader educativo”: ma voi del governo come parlate?
Confesso che mi era chiarissimo prima cosa dovesse fare un preside e cosa fosse un preside. Adesso che ci ha messo le zampe il governo, tutto si è ingarbugliato, sino al massimo dell’oscurità nel momento in cui la ministra Giannini ne ha dato la solenne definizione: «Leader educativo». Se il terribile preside dei miei tempi avesse girato per le classi con questa carica istituzional-onorifica, lo avremmo preso a pernacchie da tutti i corridoi della scuola facendolo battere in ritirata eterna. La ministra ha anche spiegato più diffusamente il ruolo del conducator scolastico: «Si vuole dare al preside la responsabilità funzionale che ha e che deve avere in maniera formale e in maniera riconoscibile e valutabile». Ditemi voi che cosa significa (in più e in meglio rispetto al passato).
Partiamo da quel che immaginavamo fosse già il preside che abbiamo conosciuto sino a ora. Noi lo pensavamo come un grande Ascoltatore e non vi sorprenda la maiuscola riferita a una condizione apparentemente terza e non protagonista com’è quella dell’ascolto. Ma il preside migliore è sempre stato quello che non si vedeva. Si percepiva (eccome se si percepiva) ma non si vedeva. Era il dirigente al quale toccava la sintesi, sperabilmente alta, di una serie di istanze e l’insieme di quei sentimenti diversi si poteva catturare soltanto attraverso una certosina attenzione alle sfumature, ai caratteri psicologici, alle dinamiche studentesche, al clima che via via si creava all’interno della scuola, al confronto con i professori, allo scontro – quando serviva – con i professori, all’esigenza di comprendere gli sconfinamenti educativi dei ragazzi, mostrandosi duro e al tempo stesso consapevolmente moderno del momento vissuto. Tutto questo era sempre in perenne evoluzione, per cui al preside toccava un continuo aggiornamento. Ma non sui programmi scolastici, che paradossalmente costituivano l’anello finale, ma sull’evoluzione della società.
«Leader educativo» è un’espressione molto infelice. Soprattutto perchè una parola, delle due, già comprende l’altra, il leader (di un istituto scolastico) avrebbe già nella sua missione il dovere della visione educativa, nell’accezione più larga che rappresenta. E infatti, un tempo nemmeno tanto lontano, la stessa persona, lo stesso ruolo, si comprendevano in un’unica espressione, un’unica parola: “educatore”. L’espressione leader educativo intende invece sforare i confini stretti della scuola comunemente intesa per entrare nell’accezione più aziendale, in cui leader assume una connotazione più performativa, in cui trovare un felice punto di sintesi tra conti da tenere in ordine, valutazioni scolastiche molto più dirette e trasparenti, con conseguenti premi di produzione. Per carità, in linea teorica niente che non sia augurabile in una scuola, ma, di grazia, non doveva già essere così da un mezzo secolo almeno? E cosa è cambiato, nel frattempo, per credere che così possa diventare?
Andrea Ichino, che di scuola sa, ha scritto sul Corriere che sarebbe stato utile sentire soprattutto le famiglie. Il governo risponderà che è stata aperta al proposito una mail in cui ognuno poteva dire la sua. Una sorte di corner-sfogatoio, ma questo non è l’ascolto delle famiglie. Ichino aggiunge che è una riforma troppo centralista, in cui l’elemento autonomia scolastica – ogni istituto cioè ha margini di vero e proprio movimento – viene invece ricompreso dall’istituzione ministeriale che detta regole e tempi. Tornando al preside, che è il ruolo che ci preme. Si raccontano, nella riforma, tutte quelle cose che potrebbe pregevolmente fare, come scegliere i prof che gli piacciono, dare premi ai meritevoli, in sostanza creare finalmente una spaccatura nel cementificato meccanismo statalista, in quel blocco terribile di protezione sociale costruito negli anni dai sindacati degli insegnanti. Benissimo. Ma nelle riforma, guarda un po’, non si parla della riforma stessa del ruolo di preside, che invece non sarebbe in discussione. Si dice: partiamo con la riforma, ma la prima casella non la esaminiamo. E tutti quegli istituti che hanno un preside non all’altezza cosa fanno?
Ora, dopo la mega-manifestazione dell’altro giorno, il governo vuole un po’ annacquare il potere assoluto di questo preside. Lo si comprenderebbe in una collegialità più virtuosa, in cui le decisioni verrebbero prese allargando lo spettro dei pareri e dei consensi a professori e anche a rappresentanti dei genitori (si dice persino ai rappresentanti degli studenti). Le paure ovviamente generano sempre più confusione. Si proceda, se ci si crede davvero, nell’idea di un preside importante come la riforma aveva immaginato, al quale, nella solitudine della sua coscienza, tocchino scelte delicate e laceranti. Ma si proceda solo dopo aver proceduto a una “messa in sicurezza” di quel ruolo fondamentale, attraverso rigorosissime selezioni, test attitudinali di primissimo livello, capacità acclarate, modernità tecnologica e sociale inevitabile, disposizione al sorriso, all’ironia e all’autoironia (sì, sì, facciamo test in questo senso, ne vedremo delle belle). E solo dopo questo percorso di guerra, che un tempo era la vita, dire all’interessato: complimenti professore, lei è un Preside.
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