Scuola
Il Piano Colao per la scuola
La situazione in cui versa la scuola sembra essere davvero confusa, e non solo per colpa del Covid-19. Certo, la pandemia ha acuito problemi preesistenti, ha messo a nudo le falle di un intero sistema e le soluzioni proposte dal Ministero – tra proclami, ritrattazioni e ondivaghe indecisioni – non sembrano all’altezza del momento critico che stiamo attraversando: lezioni all’aperto, Plexiglas, tensostrutture, “bolle” didattiche, mascherine sì, mascherine no, distanziamento ampio, poi distanziamento ridotto a 1 metro compreso tra le “rime buccali” (termine inutilmente aulico per dire “labbra”), fantasiose ricerche di spazi extrascolastici, infine, la pubblicazione delle linee guida da parte del Comitato Tecnico-Scientifico. Conclusione: si fa strada la realistica constatazione dell’irrealizzabilità della maggior parte delle ipotesi. Una certezza: l’enorme carico delle decisioni e delle responsabilità ricadrà sui dirigenti scolastici.
Ma forse non è questa confusione che costituisce il dato più allarmante dell’intera vicenda: esitazioni e errori sono parte del nostro fragile stato umano e, comunque, i dubbi possono consentire utili ricerche e miglioramenti, gli eventuali sbagli si possono correggere, anche perché la situazione epidemiologica è ancora in fieri e rende perciò ogni soluzione relativa e riadattabile in considerazione dei futuri sviluppi dell’emergenza sanitaria legata al Coronavirus. Forse la sola norma da tenere seriamente in considerazione, a prescindere dalla contingenza pandemica, è quella del necessario distanziamento fra gli studenti, peraltro sancito dal D.M. del 18.12.1975 – ancora in vigore e richiamato esplicitamente dall’art.5, comma 3 della L.23/96 – che prevede un rapporto superficie/alunno (per esempio, nei licei scientifici) pari a 1,96 mq: si formerebbero così classi a misura umana, con vantaggi non solo a livello igienico-sanitario, ma anche didattico: lavorare con piccoli gruppi di studenti, e non in classi sovraffollate, davvero consentirebbe l’attenzione necessaria per la crescita di ognuno. Invece le linee guida ministeriali vanno nell’ordine di una riduzione (1 metro tra bocche), fin quasi all’annullamento, dell’opportuna misura di distanziamento tra gli alunni: questo, nei fatti, significa negare la pericolosità dei contagi per nascondere la difficoltà (e forse l’impossibilità, considerati i tempi stretti) di reperire spazi adeguati all’accoglienza di classi dimezzate. Si sa, il distanziamento di almeno 1,96 mq previsto dalla normativa comporta lo smembramento delle classi in più gruppi, con la conseguente necessità di trovare luoghi alternativi e personale docente aggiuntivo. Negare il problema (ridurre la distanza equivale a dire, infatti, che l’epidemia non ci sarà, ma se è così andrebbe detto e certificato) o individuare discutibili soluzioni (ipotizzare un distanziamento minino è ipocrisia) sono scelte rischiose, che peraltro non risolvono i problemi legati all’emergenza sanitaria: senza distanziamento, va detto, nel caso di una recrudescenza dell’epidemia, le scuole diventerebbero rapidissimi veicoli di infezione.
Quindi la scuola comincerà come ogni anno, con lo stesso numero di alunni in classe: magicamente, ridotto il distanziamento, i conti tornano. La scuola riprenderà, forse insieme al virus, chissà.
Una proposta possibile: dividere ciascuna classe in due gruppi, a turni alternati, uno segue in classe con mascherina secondo un utile distanziamento e un altro gruppo si connette su piattaforma online. Si tratta di una soluzione semplice ed economica, quasi ovvia. Ma viene scartata, inspiegabilmente.
Ciò che, inoltre, desta preoccupazione è il progetto delineato dal filoanglofono documento Colao, che cambia completamente i connotati alla scuola, trasformandone la sua tradizionale impalcatura di istituzione pubblica. Il principio che informa il Piano Colao è una commistione di finanziamenti pubblici e privati. Precisamente, si intende procedere secondo un “progetto di iniziative di upskilling (co-finanziate da pubblico e privato), facendo leva sul settore privato per supportare insegnanti, cultura, ricerca e scuola”. Ad un’attenta lettura non si comprende perché si debba preferire il temine “upskilling” al corrispettivo italiano “riqualificazione”, ma, soprattutto, appare discutibile che la riqualificazione passi attraverso interventi economici da parte di privati: tutti comprenderanno che questo processo di (semi)privatizzazione del settore culturale e scolastico determinerebbe forti condizionamenti – se non vere e proprie forme di controllo – da parte degli investitori, con la conseguente progressiva perdita di libertà di insegnamento e di ricerca. In breve, andremmo incontro ad una palese violazione di principi e diritti vitali, costituzionalmente sanciti e garantiti dall’art.33: “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sulla istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi”. La cultura non può essere condizionata da chi elargisce fondi, la didattica non può essere subordinata alle scelte di chi la finanzia, la scuola – dice la Costituzione – è espressione dello Stato, non emanazione dei privati. Perdere di vista questi punti di riferimento, significa sgretolare l’idea stessa di scuola, di ricerca, di cultura. Il problema era stato posto – certo, in termini molto più complessi e in un contesto storico più tragico – dal Galileo di Brecht: “così stando le cose, il massimo in cui si può sperare è una progenie di gnomi inventivi pronti a farsi assoldare per qualsiasi scopo”. La subordinazione della cultura e della scuola all’economia è un dato che da anni stiamo sperimentando: aziendalizzazione della gestione scolastica, sovrapproduzione di progetti dalla dubbia valenza formativa, ma veicolo di denaro, trasformazione dei presidi in dirigenti, metamorfosi degli studenti in stakeholders e dei collaboratori del dirigente/manager in uno staff costituito da varie figure intermedie (collaboratori, direttori di dipartimento, tutor del PCTO, coordinatori delle classi) assimilabili nel complesso al middle management delle imprese. In quest’ottica il Piano Colao, cioè, un progetto di riqualificazione affidata all’iniziativa economica e alle risorse finanziarie dei privati, costituisce ora l’atto finale dello smantellamento della scuola pubblica che diventerebbe così eterodiretta nei metodi, negli scopi, persino nei contenuti da proporre come oggetto di studio ai giovani: le conseguenze sulla mentalità delle nuove generazioni e sul futuro che ci attende sarebbero di enorme portata.
Più nel dettaglio, il Piano Colao elabora le seguenti “azioni specifiche” volte a tradurre in atto le misure di cofinanziamento tra pubblico e privato:
– “Adotta una classe”: campagna di crowdfunding e donazioni per potenziamento delle strutture “educational”, con la quale infrastrutturare digitalmente e tecnologicamente classi di diverso ordine e grado in modo da contribuire a creare un sistema “equal opportunity” nell’istruzione (ad es. dotare di streaming , PC e supporti informatici le classi per didattica a distanza). Contribuzione “cash”.
– “Impara dai migliori”: programma nazionale coordinato di “aggiornamento degli educatori” per il quale 20 sabati all’anno grandi aziende high tech, enti di ricerca e università fanno corsi di aggiornamento su temi innovativi agli insegnanti di liceo e medie. Le lezioni possono essere frontali o a distanza. I contenuti vanno sincronizzati e resi omogenei a livello nazionale. L’iniziativa è gratuita. La formazione va riconosciuta dal MUR . Contribuzione “in kind”.
– “Gara dei talenti”: aziende e donatori organizzano una serie di concorsi tipo Hackathon per giovani studiosi (scuole superiori) su temi di grande rilievo tecnologico, sociale e culturale. I concorsi premiano gli studenti e le scuole (e casomai li mettono in contatto con investitori). Contribuzione “cash/in kind”.
Appare superfluo commentare espressioni come “equal opportunuty” e cash/in kind: si tratta di strategie linguistiche che giocando con l’incisività “smart” dell’inglese, adottano una comunicazione manipolativa e propagandistica e sviano l’attenzione del destinatario verso lo scopo che l’emittente si propone di raggiungere, come acutamente spiega E. Lombardi Vallauri nel saggio La lingua disonesta.
Gli elementi che accomunano le iniziative presentate nel Piano Colao sono riassumibili in due punti cardine: la digitalizzazione accelerata, radicale, della scuola e la spinta incondizionata alla competizione. Termini come “high tech” e “gara” sono le parole chiave che traducono questa prospettiva e esprimono l’ideologia neoliberistica che la sottende, quella che riduce arbitrariamente il talento a merito e che riabilita la religione positivistica della corsa al successo: niente di più lontano dalla scuola come luogo di apprendimento disinteressato e di amore per la cultura, dimensione comunitaria volta alla ricerca di senso per generazioni ormai gettate in un mondo cui sono davvero stati strappati tutti i significati e i valori ad eccezione di quelli stabiliti dal mercato.
Ian Mc Ewan nel suo recente romanzo Lo scarafaggio ha coniato un neologismo che spiega bene la strada oggi intrapresa dalle classi dirigenti e spesso supinamente accettata da chi è governato: l’Inversionismo, la tendenza, cioè, a scegliere sempre ciò che va a proprio danno, contro ogni logica. Lo stiamo facendo anche noi che non ci sforziamo di impedire il dissolvimento della scuola pubblica: accettiamo passivamente che i nostri figli siano trasformati in piccoli “gnomi inventivi” rinunciando così alla possibilità che diventino attori di un nuovo umanesimo.
Non c’è da chiedersi perché ciò stia accadendo. Mc Ewan nota che la sola risposta possibile è “perché sì”, visto che il principio ormai prevalente in chi governa, a tutti i livelli, è “lo puoi fare, ne hai il potere”: e una politica blattoide – per usare la metafora cui ricorre Mc Ewan – sa come approfittarne.
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