Scuola
Il merito a scuola (visto da uno studente)
Con un po’ di ritardo rispetto alla mail con il suggerimento, formuliamo oggi una proposta di riforma della pubblica istruzione improntata al merito.
Si è già discusso (anche troppo) degli aumenti di stipendio per i docenti “più meritevoli”, termine piuttosto ambiguo, perché non si capisce se si riferisce a quelli che danno voti più alti (e fingono che i loro studenti siano bravissimi) o a quelli che, sulla base di criteri di valutazione condivisi (sì, si può, lo diciamo sin dall’inizio a chi sostiene che sia impossibile: basta provarci e non boicottare i tentativi altrui), aiutano i loro studenti a ottenere migliori risultati.
Comunque sia, la scelta del ministero dell’Istruzione è un compromesso tra anzianità di servizio (1/3) e merito (2/3). Staremo a vedere quali saranno gli effetti di qui a qualche anno, sperando che i futuro non porti, come al solito, a passi indietro e pasticci.
Ma come la mettiamo con le persone con le quali gli insegnanti lavorano, con gli studenti, con i destinatari di tutti i nostri sforzi? Ce ne eravamo effettivamente dimenticati. Per fortuna ci ha pensato Giuseppe Mazzeo, che qui ringraziamo.
La proposta è semplice e, per la sua semplicità, quasi sorprendente: garantire a ogni studente uno stipendio sulla base dell’andamento scolastico. Niente a chi se la cava per il rotto della cuffia (il sei “striminzito”, l’appena sufficiente che dovrebbe essere un cinque ma per un eccesso di pietà si trasforma in modo miracoloso), ovviamente, e un reddito crescente a seconda dei risultati, che devono essere perseguiti con tenacia, con un impegno progressivo e una crescita di consapevolezza. Possiamo anche quantificare, se vogliamo, ma l’essenziale è già dato. E a chi è insufficiente? Be’, potremmo comunque garantire l’istruzione, ma dovrebbe pagare una sanzione pecuniaria. Siccome non voglio però essere crocifisso in effigie, preciso subito che, di fronte a casi di questo tipo, specialmente se numerosi, anche l’insegnante dovrebbe farsi qualche domanda di metodo e motivazione (ma ne riparleremo in un’altra occasione).
Per chiudere, cito l’originale, da cui tolgo solo le parti un po’ troppo personali:
«Cos’è la realtà scolastica? Che cosa forma quella grossa struttura fatta non solo di muri chiamata scuola? Da chi o da cosa sono lubrificati quegli ingranaggi che la fanno girare sempre nel “miglior modo possibile”? Che cosa spinge ogni componente di questa struttura a dare sempre il meglio?
«Le risposte a queste domande possono essere molte: c’è chi parlerebbe di passione, c’è chi parlerebbe di parlerebbe di soldi, o addirittura di interessi personali, e (purtroppo) nessuno dei tre avrebbe torto.
«All’interno della scuola si possono osservare diverse tipologie di persone che svolgono il lavoro in maniera differente, e a volte quasi contrastante. Molti direbbero che è una situazione normale, una situazione ricorrente negli ambienti lavorativi ed è qui che sbaglierebbero. La scuola non è un ambiente lavorativo come tutti gli altri.
«La scuola è il luogo dove i ragazzi formeranno la loro mente, dove capiranno cosa dovranno scegliere quando saranno messi davanti alla scelta che condizionerà la loro vita; la scuola è quel posto che per molti farà la differenza.
«E invece, come si è detto, molti la considerano un semplice ufficio statale, dove ci sono dei dipendenti che svolgono un servizio che può essere paragonabile all’incollare francobolli per il modo in cui è svolto e ci sono dei clienti che entrano, ricevono un servizio, non possono lamentarsi della qualità, e poi escono, indipendentemente da come questo servizio sia.
«Il problema più grande però che questo mal funzionamento del sistema porta a un’autodistruzione del sistema che porta ogni singolo gruppo della realtà scolastica ad additare qualcuno dandogli tutta la colpa per il malcontento generale. Gli studenti dicono che gli insegnanti svolgono male il proprio lavoro, gli insegnanti dicono che non vengono pagati abbastanza per quello che fanno o che gli studenti non riconoscono la fatica che loro fanno per loro (e spesso è anche vero), lo stato fa finta che vada tutto bene e il risultato finale sono degli insegnanti che svolgono male il loro lavoro perché scontenti e degli studenti che perdono la voglia di svolgere il loro compito, cioè crescere.
«Quindi che cosa si può fare per superare questa impasse? Io propongo di iniziare a pagare gli studenti dato che ormai questo è l’unico mezzo per spingere qualcuno a fare bene. Propongo uno stipendio meritocratico pagato a ogni studente a seconda dei suoi risultati, spingendolo a dare sempre il massimo, e nel contempo però propongo pure uno stipendio meritocratico anche agli stessi insegnanti che, se svolgeranno egregiamente il loro lavoro, saranno pagati con una cifra adatta a quello che fanno, ma se si limiteranno a fare sempre il minimo indispensabile propongo di pagarli con un bel debito, non a settembre, però, un bel debito che dovranno ripagare a tutti quegli studenti che per colpa dell’ignoranza e della frustrazione di certi insegnanti hanno perso la voglia di studiare e si sono magari ritrovati ad accontentarsi di una vita da loro considerata mediocre rispetto a quello che avevano sognato.»
Il dibattito è aperto.
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