Scuola

Il lavoro non è più un diritto di moda

24 Gennaio 2022

“Nella casa dei nonni, a Campi Salentina, c’era una teca piena di medaglie, bottoni, nastri, fascette. Quando da bambina passavo le vacanze in Salento, vedevo la teca ogni volta che, giocando a nascondino, scomparivo in uno dei saloni della casa… La teca era appesa alla parete del salone rosso”.

La tragedia sul posto di lavoro di Lorenzo Parelli, in un’impresa metalmeccanica mentre svolgeva il suo ultimo giorno di alternanza scuola lavoro, è rappresentativa di quanto gli investimenti in comparti essenziali, la scuola e il lavoro appunto, siano irrilevanti. Nonostante si enfatizzi l’importanza fondamentale della scuola nell’istruire e formare un cittadino che possiede competenze necessarie all’immissione nel mondo del lavoro, le spietate logiche economiche che privilegiano il risparmio, il pressapochismo, sottraendo tutele al lavoratore, lo espongono al pericolo di edifici fatiscenti, a macchinari che lo risucchiano come se il corpo fosse carne da macello.

La scuola cerca di formare un uomo secondo dei criteri che edificano il significato di essere cittadini al servizio di uno Stato, capace di realizzare il suo progetto di vita al servizio di valori comunitari. L’alternanza dovrebbe significare la messa in pratica di questi valori complementari e trasversali che delineano e completano il volto di una persona che serve se stesso nel quadro di riferimento più ampio: la società.

I corpi ci invadono, la televisione ci propone silhouette perfette, gambe slanciate, niente smagliature, pance piatte. La pubblicità accosta corpi di donne a prodotti il cui uso non c’entra nulla col corpo, l’imperfetto è un tempo passato, oggi va di moda la perfezione. Una donna sposata con figli non può permettersi di portare in giro un corpo consunto dalla fatica, deve mostrarsi ancora piacente. Creme, ritocchi estetici, filler, riempiono il vuoto di visi che hanno perso la freschezza e l’elasticità della gioventù. Riempiono quella parvenza di esistenza che è l’estetica, volti corrotti da interventi che ci fanno perdere le sembianze umane, siamo simili a bambole gonfiate. Una bambola molto in voga quando ero piccola era il “cicciobello”; ebbe un successo tale, probabilmente per le sembianze così vicine ad un bambino in carne ed ossa, che ne riproposero diverse versioni. Giocare con le bambole consentiva alle bambine di imparare attraverso il gioco a prendere confidenza con il ruolo di genitore.

Oggi i genitori competono in giovinezza con i figli, e non importa che le labbra assomigliano ad un canotto, la moda detta che devono essere gonfie, lo zigomo non deve mostrare segno di cedevolezza, deve essere tirato all’insù, sacrificando un sorriso naturale. I volti rifatti assomigliano a quelli di gatti. La proverbiale agilità, lo sprezzo per il pericolo, la facilità di cadere sempre in piedi e quel pizzico di mistero, che da sempre li caratterizza, hanno fatto ritenere ai più che i gatti abbiano tante vite da poter utilizzare alla bisogna. Sette, o nove secondo la tradizione britannica.

Nel nascondere le imperfezioni, nel vuoto riempito artificialmente, nelle pieghe naturali rimosse, dove si nasconde la vita? Quella che ci scalfisce e ci sbuccia la pelle dopo una caduta?

In “Stirpe e Vergogna”, Michela Marzano sconvolta dal ritrovamento del certificato del padre al cui nome Ferruccio si accompagnano altri tra cui Benito, inizia una ricerca febbrile e devastante che spieghi la presenza del nome del duce. Devastante perché il padre era un socialista che aveva sempre creduto nella giustizia sociale, mentre il nonno aveva la tessera del partito fascista, e sebbene non avesse partecipato a San Sepolcro, terminata la guerra, aderisce al partito di Mussolini, diventa uno squadrista, partecipa alla marcia su Roma ed è insignito di medaglie al valore.

Sono colpita dal fatto che nel titolo “Stirpe e vergogna” non ci sia l’articolo, la cui funzione grammaticale è quella di definire, determinare. Questa omissione, credo, sia dovuta all’intento dell’autrice di spiegare che una ricostruzione storica fedele necessita di indagare ragioni, motivazioni, sentimenti, diversamente senza una chiarezza e conoscenza approfondita, ci si limita a definire, fissare, secondo un punto di vista che nasce dalle nostre categorie mentali, dal mondo secondo il nostro percepito. La fissità è dei cimiteri, i vivi sono esseri umani poliedrici, i cui vari aspetti vanno conosciuti, non giudicati.

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