Scuola
I professori di sinistra e la teoria dei sistemi
E’ un po’ che rifletto sulla frammentazione della sinistra, capace di scontrarsi su diecimila parole d’ordine. Sembra una maledizione biblica come quella della mitica “torre di babele”.
In particolare in questi giorni sto discutendo con alcuni colleghi, politicamente della mia area, sparsi per tutta Italia, e ci accapigliamo (in senso metaforico, e sempre nella reciproca stima) su concetti come competenze e conoscenze, esame di stato, cittadinanza e costituzione, autonomia scolastica e via discorrendo.
Il disaccordo non nasce certo da una differenza nelle finalità che attribuiamo al nostro essere docenti. Noi tutti vogliamo sviluppare negli studenti, ciascuno nel proprio ambito disciplinare, buone capacità di analisi, di riflessione, di critica, innestandole su solide basi di contenuti, quelli propri delle discipline che ciascuno di noi insegna. Insomma, vogliamo studenti preparati e capaci di ragionare non solo su ciò che può essere immediatamente spendibile per il mondo del lavoro, ma vogliamo anche (e direi soprattutto) preparare cittadini capaci di leggere il mondo e ragionare con la propria testa, alla luce dei valori del nostro ordinamento democratico.
Il disaccordo nasce dal giudizio sugli strumenti per raggiungere tali fini e dalla valutazione che diamo ai diversi “fatti” che accadono, ad esempio l’introduzione, nell’esame di Stato, di un non ancora ben definito oggetto denominato “percorsi di Cittadinanza e Costituzione”.
Questo disaccordo è frutto dello stesso comportamento (dal mio punto di vista di tratta di un errore di approccio alla politica) che ha spaccato la sinistra in mille entità irrilevanti.
Ecco quindi che ho pensato di scrivere delle riflessioni proprio per ragionare su cosa ci spinge a partecipare alla vita sociale e politica del paese, come giudichiamo i fatti, su cosa ci scontriamo e ci dividiamo malgrado diciamo di volere tutti una società libera, solidale, equa.
Ho voluto farlo utilizzando le categorie di analisi della disciplina che insegno (Sistemi e reti di telecomunicazione in un IT ad indirizzo informatico). Ho evitato formalismi da addetti ai lavori, e cercato di rendere il tutto discorsivo e semplice.
Lo schema di ragionamento
Immaginiamo la società come una scatola nera, un oggetto misterioso di cui non conosciamo perfettamente i suoi meccanismi interni di funzionamento, ma possiamo provare a dedurli osservando le manifestazioni esteriori che essa ci dà (chiamiamole “uscite”) sulla base degli stimoli che noi le forniamo (chiamiamoli “ingressi”).
La nostra scatola nera è caratterizzata da regole di comportamento (che non conosciamo molto bene ma sulle quali possiamo ragionare e fare ipotesi), da alcuni parametri di funzionamento che invece sono noti e che possono essere considerati relativamente stabili entro un ragionevole periodo di tempo, da alcuni elementi di disturbo esterno che bisogna accettare e prendere così come sono, semmai cercando di capire che effetto possono avere.
Chiamiamo questa “scatola nera” col nome di “sistema-società”.
Le uscite del sistema-società sono gli individui, i loro comportamenti e le loro scelte. Ce ne sarebbero altre ma qui non ci interessa elencarle.
I parametri sono gli ordinamenti del sistema-società, in senso sia giuridico che economico che storico. In altre parole l’essere una repubblica parlamentare, con un sistema capitalistico, in Europa, facente parte della NATO e avente la Costituzione entrata in vigore il 1° gennaio 48, è l’insieme dei parametri che caratterizzano il sistema-società che si chiama Italia.
Gli ingressi sono ciò che viene fornito per far sì che gli individui si comportino in un modo o nell’altro. Sicuramente ci sono tanti elementi, fra questi rientrano le informazioni che ogni individuo riceve e quindi si capisce come la Cultura (e perciò la Scuola che un tempo ne aveva l’esclusiva e oggi ne è comunque un importante fattore) sia un elemento determinante per il comportamento degli individui.
Questo sistema riceve in ingresso anche informazioni che gli stessi individui (le uscite) forniscono. Una specie di segnale di conferma (feedback) che ritorna indietro dalle uscite e rientra nel sistema. Possiamo dire che il sistema-società in un certo senso alimenta se stesso e si condiziona nel tempo, si crea cioè, almeno in parte, la propria Storia e la propria Cultura e cerca di mantenere una strada, autoregolarsi. Noi docenti di “Sistemi e reti” li chiamiamo “sistemi con controllo in retroazione“.
Ovviamente ci sono anche altri ingressi: le condizioni materiali di vita delle persone, i fatti economici… (secondo me le condizioni di sviluppo delle forze produttive determinano in modo molto forte le relazioni economico sociali).
Infine se immaginiamo di fotografare in un certo istante di tempo, con un apparecchio per le radiografie, la nostra scatola nera, potremmo vedere che in un certo istante ci sono tante grandezze interne al sistema-società che hanno determinati valori, proprio in quel momento. Ad esempio il numero di disoccupati, il salario medio, il numero di pensionati, il grado di felicità, la percezione del pericolo, le aliquote fiscali…. Si tratta di una infinità di grandezze, alcune neanche facilmente misurabili, ma che esistono, il ché rende molto difficile studiare il sistema-società, se non isolandone dei pezzi e studiandone solo alcuni aspetti. Ma per gli scopi di questo scritto non è importante. Chiamiamo questo insieme di valori “stato” del sistema-società ad un certo istante di tempo.
Il meccanismo di funzionamento del sistema-società è regolato da leggi interne, che noi possiamo indagare e studiare. Queste leggi, a partire da un certo istante ed un certo stato, e fornendo certi ingressi, determinano sia le uscite che anche lo stato in cui il sistema-società viene a trovarsi dopo che i suoi meccanismi hanno agito. In sostanza il sistema-società evolve nel tempo. E’ dinamico. Questo, in fondo, visto dal punto della teoria dei sistemi, non è niente altro che la definizione di Storia. Credo che su questo possiamo essere tutti d’accordo.
Se potessimo individuare con precisione questi meccanismi potremmo definire “legge di transizione“, quella che descrive come una società si evolve (transita) da uno stato all’altro, e “legge di trasformazione” quella che descrive come una società produce effetti visibili (uscite) in funzione dello stato in cui si trova e degli ingressi che riceve.
Il sistema-società appartiene ad una categoria di sistemi piuttosto rognosi (vengono definiti “varianti“) perché nel corso del tempo cambia anche le proprie leggi interne, cioè si comporta differentemente a parità di ingressi. Questo lo possiamo capire facilmente: nel 1930 un marito che ammazzava la moglie infedele, in preda alla gelosia, veniva assolto e socialmente giustificato perché “aveva agito per difendere il proprio onore” Negli anni 80 del 900 questa cosa veniva considerata una intollerabile barbarie, tant’è che il legislatore nel 1981 ha abrogato anche le ultime leggi sul delitto d’onore.
I sistemi-società si possono poi scomporre, per poterli studiare e comprendere meglio, in tanti elementi dotati di una certa autonomia ma comunque sempre collegati fra loro.
Ad esempio potremmo parlare di “sistema-scuola” come di uno dei tanti sistemi che costituiscono la società.
Descriviamo il sistema scuola:
Input: discipline, insegnanti, altri contenuti al di fuori delle singole discipline.
Parametri: ordinamento legislativo, Costituzione Italiana, grandezze economiche e demografiche, tessuto socioeconomico del paese e altri dati di contesto.
Uscite: gli studenti.
Leggi di transizione e trasformazione: sono il meccanismo con il quale si formano gli studenti, attraverso una complessa interazione fra docenti, discipline, studenti, metodologie didattiche… cioè tutti gli ingressi e i parametri che,mediante queste leggi interne, agiscono e fanno in modo che dalla scuola escano fuori degli studenti. Queste misteriose leggi modificano anche la scuola stessa, anno dopo anno, come ben sappiamo noi che ci lavoriamo.
Gli esperti di scuola, teorici dell’educazione, pedagogisti, psicologi, valutatori e chi più ne ha più ne metta, studiano proprio queste leggi, che non sono per nulla facili da trovare, e spesso gli esperti sono in contraddizione fra loro e seguono mode del momento. Questo è dovuto proprio alla caratteristica della scuola di essere un sistema variante. Gli studenti del 2019 non sono assolutamente quelli di quando io iniziai a frequentare il liceo, nel 1976. Non sono solo cambiati in modo incredibile i parametri (leggi, società esterna etc. etc.) ma molto probabilmente è anche cambiato qualcosa che non percepiamo ancora circa il meccanismo con cui il mix di ingredienti ha cambiato il modo della scuola di “formare” gli individui che vi entrano. Potrebbe essere cambiato il modo in cui un 14enne ascolta e interpreta il messaggio che il docente gli vuole trasmettere. Se pensiamo ai nostri 14 anni, quando giocavamo per strada, leggevamo libri e fumetti e non esistevano Internet e il telefono, potremmo pensare che, forse, qualche differenza ci sia!
Ragionando per sistemi sui comportamenti delle persone di sinistra
Fatta questa premessa adesso mi chiedo: in che modo può servirmi la teoria dei sistemi a capire la divisione fra noi disperati della sinistra, sempre pronti a litigare su tutto?
Fare politica significa avere una idea di come dovrebbe andare il mondo e cercare di agire nella direzione che la nostra idea ci suggerisce.
E’ chiaro che io ed un tagliagole dello stato islamico abbiamo idee diverse su come dovrebbe essere il mondo e sicuramente non potremo mai fare politica dalla stessa parte della barricata. Quindi se voglio agire politicamente mi cercherò persone che condividono i miei stessi obiettivi e cercherò di lavorare insieme a loro.
Un socialista, come me, ha una visione del mondo secondo cui la scuola, la cultura, devono servire a rendere liberi, emanciparsi, sia nel senso che devono dare la possibilità di trovare un lavoro e vivere da uomo libero dal bisogno, sia nel senso che devono rendere un cittadino consapevole dei suoi diritti e del suo ruolo nel mondo e nella storia dell’Umanità.
Detta dal punto di vista della “teoria dei sistemi” questo è l’obiettivo di uscita che io pongo al mio sistema. Un po’ come quando regolo il termostato del riscaldamento sui 20 gradi e il mio “sistema-caldaia” si accende e si spegne per mantenere la temperatura sui 20 gradi.
Anche per un sistema-società ci si può porre degli obiettivi. Ovviamente gli obiettivi dipendono moltissimo da chi se li pone. Ad esempio un imprenditore poco illuminato e insensibile al benessere delle persone intorno a lui, uno di quelli che sposta le fabbriche nel sudest asiatico, dove i bambini lavorano per due euro al giorno, non è interessato ad una scuola che prepara individui critici e pensanti. Se potesse costui sostituirebbe tutti gli insegnanti con una serie di video Youtube e manuali di istruzione e la scuola la utilizzerebbe per produrre delle scimmie ammaestrate, così le farebbe lavorare con due banane al giorno. Poi manderebbe i propri figli nelle migliori scuole private, a pagamento.
Sia ben chiaro: non sto affatto dicendo che tutti gli imprenditori siano così, anzi, se io potessi esprimere un desiderio vorrei che Adriano Olivetti resuscitasse e diventasse capo del governo a vita. Sto solo dicendo che, in una società, ci sono interessi diversi rispetto agli obiettivi, proprio perché ci sono diverse visioni del mondo, e questi interessi possono portare alcuni a voler risparmiare e impoverire la scuola perché magari pensano che sia più importante avere altri obiettivi.
In questi ultimi 20 anni il sistema-scuola non funziona più come una volta. Noi che ci poniamo l’obiettivo di preparare cittadini capaci, critici, istruiti ci accorgiamo che ormai nella Scuola Italiana dilaga l’analfabetismo funzionale, lo studio non è più un valore, la società considera i docenti degli incapaci, le famiglie rivendicano il “successo formativo” per i loro figli.
Secondo la teoria dei sistemi potremmo dire che le uscite sono cambiate.
Cos’altro è cambiato? Sicuramente molte condizioni di contesto. Ad esempio tagli drastici ai finanziamenti. Su questo siamo tutti d’accordo.
Ma è cambiata anche qualche altra cosa: c’è stato un turbinio di interventi sul modo di lavorare dei docenti che ha avuto impatto su programmi, metodi, organizzazione del lavoro. L’ultimo in ordine di tempo è il nuovo esame di stato per il 2019.
I docenti come me sentono quindi la necessità di agire per mantenere la rotta verso l’obiettivo prefisso. Ragionando in ottica sistemica, l’unica cosa che si può fare è agire sugli input e sui parametri. Le leggi di transizione e trasformazione sono invece fuori dal controllo diretto degli attori del sistema. Per spiegare questo facciamo un paragone con un semplicissimo sistema fisico:
Spazio = Velocità x tempo.
La legge di trasformazione del sistema mi dice che se vado ad una certa velocità, ad esempio 10km/h per un tempo di 2 ore, mi sarò spostato di 20 km. Se il mio obiettivo fosse quello di spostarmi di 100 km, sarei folle a pensare di cambiare la legge di funzionamento del sistema e pretendere che diventi:
Spazio = Velocità(tempo)
Le leggi fisiche le ha stabilite la natura e non le possiamo cambiare a nostro piacimento. Se vogliamo spostarci di 100 km possiamo fare solo due cose: o aumentiamo il tempo e lo portiamo a 10 ore, oppure aumentiamo la velocità oppure un mix delle due cose, ma sempre nel rispetto della legge fisica che regola il comportamento del sistema.
Per la scuola, e in generale per il sistema-società, è la stessa cosa: i parametri spesso sono definiti da leggi scritte in parlamento o, spesso, anche fuori dal nostro Stato nazionale, così come i finanziamenti disponibili e tutta la maggior parte degli elementi di contesto (ad esempio noi insegnanti possiamo incidere poco sulla stampa e sull’opinione pubblica).
Noi insegnanti possiamo solo agire con il nostro lavoro, e cercare di tararlo in funzione di ciò che accade.
Questo significa che non possiamo assolutamente rimpiangere una scuola che fu e non sarà più, ma occorre capire come si è evoluto il mondo, cogliere nei mutamenti intervenuti tutti i possibili elementi su cui agire per avvicinare il sistema all’obiettivo. Ciò non è semplice: implica una capacità di agire che sappia tenere ben fermo l’obiettivo e nel contempo adattare continuamente i metodi e le tattiche.
E questo vale per il sistema-scuola così come più in generale per il sistema-società. Certo, la Storia ci insegna che nel tempo le cose possono cambiare. A furia di agire nel sistema, da parte di tutte le forze, anche quelle contrarie a noi, il sistema subisce quei mutamenti nel suo funzionamento di cui parlavo prima. Ma non è una azione diretta ed immediata. Occorrono anni di lavoro costante, di persone organizzate, capaci di muoversi insieme, senza individualismi, e non esistono scorciatoie.
Nel frattempo quindi occorre realismo, tenere fermo l’obiettivo, lavorare in funzione di ciò che vogliamo succeda, e guardare con realismo ciò che è concretamente possibile fare per migliorare ogni giorno un poco.
E’ su questo che la sinistra si divide. Lo vedo, ad esempio, nella scuola: ci si accapiglia sulle “competenze” contrapposte alle “conoscenze”, quando poi è evidente che le prime non possono esistere senza le seconde. Semmai interroghiamoci su quali competenze cerchiamo di sviluppare (il famoso “obiettivo del sistema”) ma non possiamo reagire ad una offensiva che vuole dequalificare la scuola puntando solo sulle competenze immediatamente spendibili sul mercato del lavoro, sostenendo che noi non puntiamo alle competenze ma lavoriamo sui contenuti. Semmai cerchiamo di modificare il nostro agire nella scuola per fare in modo che si sviluppino altre competenze, senza ovviamente abbassare la guardia sulla qualità delle lezioni e dei contenuti.
E ancora: le nuove tecnologie e la didattica. Da un lato abbiamo l’ubriacatura ideologica insita nella legge 107/2015 secondo la quale le tecnologie digitali avrebbero risolto tutti i problemi della scuola. Un evidente tentativo di svuotare il ruolo degli insegnanti e svilire il sacrificio e l’impegno che ogni studente deve mettere nello studio. Dall’altro abbiamo colleghi che rifiutano il computer come fosse il demonio.
Vogliamo invece accettare il fatto che questi sono parametri del sistema su cui possiamo agire poco e quindi regolarci di conseguenza? Sicuramente possiamo fare qualcosa. Innanzitutto imparare ad utilizzare nuovi strumenti per trasmettere bene il nostro messaggio, poi magari contenere e regolamentare gli usi sbagliati (il telefonino in classe, ad esempio, non credo sia assolutamente da permettere, ma se qualcuno riesce a trarne profitto nel suo lavoro non sarò certo io a violare l’articolo 33 della Costituzione). Magari potremmo mettere a disposizione un pomeriggio alla settimana, a turno, per vedere con gli studenti una puntata di Report: non toglierebbe nulla allo studio delle discipline e farebbe scattare qualche scintilla motivazionale. Magari una esperienza di laboratorio in più potrebbe rendere più chiaro un concetto che altrimenti resterebbe astratto, e farebbe appassionare allo studio di una materia scientifica. Tutto questo, sottolineo, senza sostituire lo specifico delle singole discipline con momenti esperienziali estemporanei e poco significativi.
Ovviamente se si entra in quest’ottica di idee si comprende subito una cosa che forse è spiacevole dire, soprattutto ai miei compagni “di sinistra”. Non basta dire “io la penso così, il mondo no, allora il mondo è sbagliato e io mi oppongo”. Occorre lavorare con le persone che abbiamo intorno, in primis i colleghi e gli studenti, indagarsi e indagare la realtà, capire come trasmettere certi ideali e valori in contesti che mutano.
Se gli studenti “non vogliono più studiare”, occorre sviluppare insieme strategie per motivarli, pensare ad offrire anche di più di quanto le singole discipline possono, e devono, dare. E per far questo possono essere veramente utili innovazioni tecnologiche, organizzative, metodologiche, didattiche. Occorre però saperle, e volerle, utilizzare. Io ne sono convinto, lo vedo tutti i giorni con i colleghi del mio consiglio di classe.
Certo, non è sempre facile: se ogni anno cambi tutti i colleghi, se si riducono le ore e le compresenze (Gelmini, Tremonti), se salta la continuità didattica sulla classe (Moratti), se il tuo stipendio ti basta appena per vivere e ti senti demotivato, allora diventa tutto molto più difficile, ma queste sono, appunto, le battaglie sensate che occorre condurre, con la politica e con il sindacato.
Scagliarsi invece contro “le LIM e le competenze” rischia di essere solo una battaglia di principio e per giunta di retroguardia.
Eppure è proprio su queste cose che la sinistra si spacca: sul niente. Forse perché per tutti è più facile pontificare soluzioni in astratto che cercare di rispondere ai colpi concreti che ogni giorno, sul campo, ci vengono sferrati.
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