Scuola
Eduscopio e il mito della scuola migliore
La scuola italiana non riesce a incidere in modo significativo sul contesto sociale e culturale. Ed è questo contesto che riflettono i risultati di Eduscopio.
I promossi e i bocciati. Quelli che salgono e quelli che scendono. E le solite scuole modello: il Volta di Milano, il Righi di Roma, eccetera. Novembre è il tempo delle classifiche delle scuole italiane secondi i dati di Eduscopio della Fondazione Agnelli. E benché chiunque si intenda di scuola avverta ogni anno che non ha proprio alcun senso fare le classifiche e parlare di scuole peggiori e migliori, la tentazione è irresistibile.
Il ragionamento – la filosofia, la chiamano – dietro Eduscopio è semplice: se uno ha avuto una buona formazione alla scuola secondaria, poi si iscriverà all’Università e avrà buoni voti; o, per gli Istituti tecnici, troverà più facilmemnte lavoro. L’indice FGA di Eduscopio valuta, riguardo ai Licei, due aspetti, dando loro lo stesso peso: il superamento degli esami nei tempi previsti e i voti conseguiti agli esami. Un Liceo modello dunque manda all’Università moltissimi studenti che proseguono gli studi regolarmente, danno gli esami nei tempi previsti e prendono buoni voti. Se invece questo non succede, la scuola finirà nel fondo della classifica e saremo autorizzati a ritenere che non sia una buona scuola.
Non è proprio così, e provo a spiegare perché.
Questi sono i dati Eduscopio di un Liceo Economico-Sociale di una città della Toscana.
Si direbbe una buona scuola: la percentuale delle studentesse che non si immatricolano è nettamente inferiore alla media della regione, così come è nettamente superiore la percentuale di quelle che superano il primo anno d’Università.
Consideriamo ora un Liceo Economico-Sociale di una città pugliese.
La differenza è impressionante. In questo caso le studentesse che non proseguono gli studi sono addirittura il 57%. Più del doppio di quelle del Liceo toscano. Chi considerasse questi dati dovrebbe dedurne che questa seconda scuola è una pessima scuola, con docenti che non sono in grado di fare il loro lavoro.
Non è proprio così. Conosco molto bene le due scuole che sto confrontando. La prima è la scuola nella quale insegno da dieci anni. La seconda è una scuola nella quale ho insegnato per dieci anni. La prima è un’ottima scuola. La seconda anche. La preparazione, la passione, la motivazione dei docenti delle sue scuole sono assolutamente simili, e anche la dotazione tecnologica è dello stesso livello. Cosa cambia? Il contesto.
La provenienza delle studentesse del Liceo toscano è varia: molte dalla classe media, qualcuna più povera, qualcuna più ricca. Le studentesse del Liceo pugliese sono invece nettamente più povere: spesso figlie di pescatori o di braccianti agricoli. Parlo di studentesse, perché il Liceo Economico-Sociale è ancora una scuola a prevalenza femminile. Lo è, per una delle caratteristiche del sistema scolastico italiano: la fedeltà al passato. Il Liceo delle Scienze Umane e il Liceo Economico-Sociale raccolgono l’eredità del Magistrale, che formava i maestri – per lo più, appunto, la maestre. E se il Magistrale era femminile, femminile sarà anche il Liceo Economico-Sociale, che col Magistrale ha ben poco in comune (la Pedagogia non si studia affatto, ad esempio).
La città toscana del primo Liceo ha una altissima qualità della vita. Nella classifica 2024 delle città del Ben Vivere risulta addirittura seconda in Italia. La città pugliese ha invece enormi problemi, legati soprattutto alla presenza asfissiante della mafia (il consiglio comunale è stato sciolto per infiltrazioni mafiose).
Dieci anni di insegnamento vuol dire centinaia di studenti. Centinaia di volti, centinaia di storie. Nella città pugliese erano in qualche caso storie tragiche. Pochi mesi dopo il mio arrivo in quel Liceo scomparve una studentessa di quindici anni. La trovarono morta dopo qualche giorno: uccisa dal cugino con cui aveva una relazione. Ascoltanto le studentesse – nei corridoi, perché nella scuola italiana gli studenti tocca ascoltarli nei corridoi – emergevano spaccati dolorosissimi di esistenze devastate dalla povertà, dall’abbandono, dall’ignoranza. Ed era spesso un’impresa già convincerle a giungere al diploma: perché la scuola non rientrava nel loro progetto di vita. Molte ambivano a sposarsi il prima possibile o a frequentare un corso da estetiste e parrucchiere.
Di qui quel dato di Eduscopio. Che a dire il vero è positivo, perché fino allo scorso anno per quel Liceo Economico-Sociale non erano disponibili dati, a causa del numero troppo esiguo di studentesse mandate all’Università. C’è dunque qualcosa che si muove. Ma resta un 57% di studentesse che non proseguono. Che fanno? Le estetiste e le parrucchiere, appunto. O le mogli e le madri. Sbagliano? Non sta a me dirlo. Non sono sicuro che una parrucchiera sia meno felice di una laureata in Filosofia, né che guadagni meno. Nessuna delle mie studentesse toscane, però, medita di iscriversi a un corso da estetista dopo il diploma, né tanto meno di sposarsi. Ho provato a chiederlo più volte e le reazioni sono state di meraviglia quando non di indignazione.
Eduscopio non ci dice quali sono le scuole migliori e quali quelle peggiori, e dunque quali sono i professori migliori e quelli che forse farebbero meglio a cambiare lavoro. Ci dice invece che il nostro è un Paese che ha spaventose disuguaglianze territoriali che si sommano alle differenze di classe. E ci mostra un sistema scolastico che riproduce, replica e conferma le caratteristiche sociali e culturale, con le sue disuguaglianze, i suoi pregiudizi, le sue chiusure; che, in altri termini, non riesce a fare la differenza, ad aprire percorsi di vita diversi rispetto a quelle che sono imposti dal contesto sociale. I successi degli uni e gli insuccessi degli altri si iscrivono in uno medesimo quadro di fallimento istituzionale.
In copertina: Immagine creata da Midjourney su prompt di Antonio Vigilante.
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