Scuola
E se festeggiassimo i bambini?
Alla scuola dell’infanzia Ugo Bartolomei, a Roma, hanno deciso di ripensare la festa del papà come una più generica festa della famiglia. I genitori contrari all’iniziativa hanno protestato con l’amministrazione comunale, chiedendo “che tipo di pedagogia sia quella portata avanti, che si basa sul nascondimento di un principio naturale e di una verità meravigliosa e profonda, quale quella che ogni bambino nasce dall’amore e dall’unione di una mamma ed un papà”. A dire il vero, leggendo le motivazioni delle maestre pare che si tratti d’altro: non (o almeno: non tanto) una iniziativa che rientra tra le tante discusse iniziative per diffondere una diversa visione della famiglia presso gli studenti, aperta anche all’omogenitorialità, ma soprattutto un modo per difendere quei bambini che un padre, per qualsiasi ragione, non l’hanno, o che vivono con la madre ed il suo nuovo compagno, confusi tra la sua presenza e quella del padre naturale. Chi festeggiare? A chi portare i famosi lavoretti? Sicuramente queste famiglie avranno accolto con un sospiro di sollievo la decisione della scuola; ed il fatto che si tratti di minoranze nulla rileva, poiché la democrazia si riconosce proprio per il rispetto delle minoranze, e la scuola ha la missione di personalizzare quanto più possibile i suoi interventi e di tener conto nel modo più ampio di ogni differenza.
Commentando la cosa sulle colonne de Il Fatto Quotidiano, Alex Corlazzoli ampia il discorso, prendendosela proprio con i lavoretti. Plaude cioè all’abolizione della festa del papà non per le ragioni appena spiegate, ma per le pratiche consuetamente legate alla festa del papà nella scuola pubblica:
L’errore di questa iniziativa presa dalla scuola dell’infanzia di Roma sta nelle motivazioni della delibera. A scuola non si va per fare i lavoretti per la mamma e i papà. Non è tra i compiti della scuola festeggiare le tradizioni. In classe si imparano l’italiano, la matematica, l’educazione civica, si diventa cittadini digitali, si impara la bellezza di una regione, la straordinaria civiltà romana o greca, l’arte ma non si va in aula per festeggiare la mamma e i papà.
Corlazzoli è un maestro elementare, e dunque sa di cosa parla. E tuttavia l’affermazione appena citata pare difficile da digerire dal punto di vista pedagogico. Parlo più in generale, perché può essere che in effetti la festa del papà si traduca nella vita scolastica in attività prive di spontaneità e dal valore formativo discutibile. Ciò che mi sembra poco accettabile è l’idea che la scuola debba essere centrata sullo studio disciplinare, e rinunciare ad attività come la celebrazione di qualcosa, a partire dalle relazioni umane. A me pare che, al contrario, uno dei problemi della scuola italiana sia proprio l’eccessiva centralità dello studio disciplinare, che lascia poco spazio ad altro, a cominciare dalla discussione e dalla riflessione comune. Il problema, mi pare, non è nel festeggiare o celebrare in sé, in ambito scolastico, ma nel fatto che dietro iniziative come la festa della mamma o del papà c’è una visione tutta italiana, ossia tutta ipocrita, della famiglia; e questa ipocrisia inevitabilmente finisce per segnare il lavoro scolastico. Il bambino, chiamato a festeggiare ora la mamma, ora il papà, ora i nonni, ed a farlo ogni volta con lavoretti proposti o imposti dalla scuola o imparando poesie a memoria, conferma il suo status inferiore in una società nella quale lo schiaffo è ancora ritenuto da moltissimi genitori un metodo educativo accettabile. In questo senso sono d’accordo con Corlazzoli: eliminerei la festa del papà, ma anche quella della mamma. Non eliminerei, però, il festeggiare, che mi sembra un momento importante dello stare insieme a scuola.
In Albania non esistono né la festa del papà né quella della mamma. Ci sono due feste che riguardano però la scuola. La prima è il 7 marzo, la festa dell’insegnante, in memoria di Petro Nini Luarasi, un maestro ucciso dai Giovani Turchi per la sua attività patriottica. L’altra è il 1 giugno, la festa dei bambini. Durante la festa degli insegnanti i bambini portano fiori ai loro maestri, mentre nella festa dei bambini i bambini sono protagonisti con recitando, giocando, facendo volare gli aquiloni (in Giappone per una festa analoga il 5 maggio i bambini fanno volare i koi, enormi carpe di carta). Sono le feste di una società che da un lato si inchina davanti alle nuove generazioni e dall’altro riconosce l’importanza degli educatori ed il ruolo della scuola. Un riconoscimento che manca sempre più in una società come quella italiana, in cui si avanza con sempre maggiore protervia la pretesa che quello che devono e possono fare o non fare gli insegnanti a scuola sia deciso dalle famiglie o, peggio, da qualche politicante alla ricerca di facili consensi.
Fonte dell’immagine: http://study.gaijinpot.com/lesson/holidays/childrens-day/
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