Scuola

Distorsioni valutative: perchè i voti a scuola sono spesso frutto di pregiudizi

1 Ottobre 2024

LA VALUTAZIONE SCOLASTICA: DEGLI ALUNNI O DEI PROFESSORI?
Riflessioni di un genitore su come dovrebbe cambiare la valutazione nella scuola italiana.


DUE

La convinzione diffusa tra gli insegnanti, come ho già raccontato negli articoli precedenti, è che i loro giudizi sugli studenti siano oggettivi, ovvero scevri da ogni tipo di pregiudizio che potrebbero essersi formati sugli allievi, come se i docenti fossero imparziali: macchine valutative prive di sentimenti e di opinioni.
In realtà, le scienze sociali hanno scoperto che esistono quelle che vengono definite distorsioni valutative e comprendono tutta una serie di elementi che possono inficiare la valutazione. Abbiamo già citato la stereotipia, ma ce n’è un’altra, ancora più famosa, che prende il nome di effetto Pigmalione, scoperto nel 1965, questa volta in America, da due studiosi di scienze sociali, Rosenthal e Jacobson (1).

Il loro esperimento consistette nel comunicare agli insegnanti partecipi all’esperimento che vi erano alcuni bambini della loro classe dotati di un QI (quoziente di intelligenza) altissimo. In realtà, anche se a tutti i bambini era stato somministrato un test di intelligenza, i nomi degli “intelligentissimi” erano stati scelti a caso dai due studiosi. Qualcuno degli intelligentissimi “ufficiali” aveva effettivamente un buon QI, qualcun altro invece no.

Rosenthal e Jacobson effettuarono quindi nei due anni successivi una serie di test su tutti gli studenti delle classi che facevano parte dell’esperimento, per scoprire che i bambini ai quali era stato assegnato un “finto” punteggio alto nei test di intelligenza superavano per davvero i loro compagni nei test somministrati dai due studiosi per scoprire qual era stato il profitto scolastico degli allievi coinvolti nell’esperimento.

La conclusione è che se, per qualche motivo, comprese delle false informazioni loro fornite, gli insegnanti si fanno subito una buona opinione di qualcuno dei loro alunni, saranno proprio questi ultimi ad andare bene a scuola, perché gli insegnanti avranno nei loro confronti un atteggiamento che potremmo definire di rinforzo positivo: “Ma come sei bravo, complimenti!”. E giù con i bei voti…

Siccome sono una mamma, traduco in italiano semplice questo concetto: il primo della classe rimane il primo della classe per tutti gli anni del ciclo scolastico, adorato pubblicamente dagli insegnanti, senza il rischio che il suo posto di primo della classe possa essere minacciato dagli altri studenti che non ricevono le stesse attenzioni benevolenti riservate a chi è considerato il migliore. In questo caso si può usare l’espressione “Vivere di rendita”.

Ma vi è anche un altro effetto distorsivo scoperto dagli psicologi sociali: l’effetto Golem, il contrario di quello Pigmalione, che si verifica quando un insegnante ha delle aspettative così basse su uno studente da provocare di fatto una performance peggiore di quella che l’allievo potrebbe avere in un contesto di giudizi più neutrali, ammettendo che la neutralità esista per davvero o sia quanto meno perseguibile.

L’autore dell’articolo “Pygmalion in Reverse”, Elisha Y. Babad, dell’Università Ebraica di Gerusalemme (2), studiò nel 1977 il comportamento di un gruppo di studenti appartenenti a classi speciali (per ragazzi con un ritardo mentale), scoprendo che le basse aspettative nei loro confronti ne influenzavano negativamente il rendimento. In altre parole, se un docente si convince all’inizio dell’anno che uno dei suoi studenti non è bravo, il ragazzo riceverà solo “rinforzi negativi”, e finirà l’anno con un paio di orecchie da asino ben piantate sulla testa.
Direi, a questo punto, che uno dei rischi di una diagnosi di dislessia, come nel caso di mio figlio, sia proprio quello di portarsi dietro una specie di effetto Golem, nel senso che gli insegnanti non si aspettano una grande performance dallo studente in questione, che viaggia tra il cinque e il sei, per non dire tra il tre e il quattro per tutto l’anno, senza che vi sia mai un’apertura di credito nei confronti dello studente che ha una simile diagnosi.

Anche in questo caso voglio raccontare un fatto personale che riguarda la vicenda di mio figlio, che aveva preso un brutto voto in una verifica di fisica. Solo dopo una lunga discussione con il professore di fisica, a mio figlio venne concessa la cosiddetta interrogazione di recupero, durante la quale il docente si rivelò in grado di valutare le risposte di mio figlio senza lasciarsi influenzare dal voto precedente. Il docente aveva quindi deciso di dargli un voto più che positivo nell’interrogazione orale, scrivendomi una nota in cui raccontava di aver scoperto che mio figlio aveva una comprensione profonda dei principi della fisica, ma che aveva un problema: non si ricordava le formule (come succede sempre con i dislessici). Era bastato interrogarlo lasciandogli la possibilità di consultare un formulario, per constatare che mio figlio capiva la fisica con un livello di profondità che lui stesso aveva definito “sorprendente”.

Ecco perché ritengo che la valutazione scolastica non sia altro che un’opinione, e in quanto tale possa essere viziata da una serie vastissima di fattori. Le scienze sociali hanno in realtà scoperto l’acqua calda: sappiamo tutti molto bene che giudicare uno studente non è come pesare un chilo di rape al mercato: un chilo è un chilo. Valutare uno studente è ben altra cosa, e forse i docenti dovrebbero fare quantomeno un lavoro di autocoscienza: “Io non sono un giudice imparziale, ma un essere umano che vive nel mondo e può essere influenzato da una serie infinita di elementi, molto più di quanto non creda, soprattutto quando esprimo un giudizio”.

Già l’ammissione della non infallibilità del docente “giudicante” sarebbe un enorme passo avanti.

 

 

(1) Rosenthal, R.; Jacobson, L., Pygmalion in the classroom: Teacher expectation and pupils’ intellectual development, Holt, Rinehart & Winston, New York, 1968.

(2) Elisha Y. Babad, Pygmalion in Reverse, Sage Journal, Volume 11, Issue 1, Spring 1977.

 

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