Scuola
Diego Fusaro e la cultura umanistica
Intervistato da IntelligoNews a proposito della scuola di Renzi, Diego Fusaro dà espressione al più trito pregiudizio umanistico, affermando che le humanae litterae (il latino, il greco, la filosofia, la storia dell’arte) sono fondamentali perché hanno a che fare con “le nostre radici” e “per formare uomini in senso pieno”, e stigmatizzando il fatto che la scuola sia diventata “un’azienda dove il latino e il greco sono sostituiti dall’inglese e dall’informatica”. “Il problema è che così non si producono più teste pensanti”, conclude.
Ragioniamoci un attimo.
Cos’è, realmente, umanistico? Ciò che ha a che fare con la formazione dell’uomo in senso pieno, dice Fusaro. Ma il concetto di “uomo in senso pieno” è quanto di più relativo si possa immaginare. Qualcuno, come Fusaro, può ritenere che uomo in senso pieno sia l’intellettuale occhialuto che passa la sua giornata a studiare testi greci e latini; qualche altro può considerare, invece, sprecata una vita del genere, ed esaltare il significato formativo del lavoro della terra; qualche altro ancora, con ottime ragioni, vedrà più pienezza nello studio scientifico, nella ricerca della cura di una malattia, nella soluzione di un problema ingegneristico. Scriveva John Dewey in Democrazia e educazione: “se si adotta un’idea della scienza appropriata al suo metodo sperimentale e alla dinamica di una società democratica e industriale, è facile dimostrare che la scienza naturale è più umanistica di un preteso umanesimo che basa i suoi piani educativi sugli interessi specializzati della classe agiata”. La scienza dunque è umanistica non meno del greco, del latino e della filosofia. Ma è umanistico anche il lavoro dell’operaio, senza il quale non esisterebbero nemmeno i libri (quelli di carta, almeno) e la scrivania del nostro occhialuto filologo.
Fino a non molto tempo fa, dice Fusaro, questo sapere umanistico, “che caratterizza la tradizione occidentale”, “era al centro dei programmi dell’istruzione”. Vero. Il compito della scuola, per secoli, è stato esattamente questo: lavorare per far sì che questo sapere, che non è che uno dei saperi possibili, diventasse il sapere per eccellenza; fare dell’ideale umano del filologo occhialuto l’ideale umano tout court. E al tempo stesso, naturalmente, squalificare qualsiasi altro ideale umano. Grazie all’opera della scuola, il sapere intellettuale diventa l’unico sapere degno dell’essere umano, ed ogni attività pratica viene squalificata come indegna di un uomo libero. E’ il riflesso, naturalmente, di una società diseguale. Per Aristotele l’attività più degna di un essere umano è la contemplazione, mentre la techne, l’attività che costruisce qualcosa, è inferiore; e gli schiavi è giusto che siano tali. E’ il pensiero di un filosofo che vive in una società in cui alcuni sono liberi ed altri schiavi, e la schiavitù dei secondi rende possibile l’agio – anche di filosofare – dei primi. La cultura umanistica di Fusaro è questa secolare giustificazione ideologica della disuguaglianza e del privilegio, questa secolare calunnia del lavoro manuale, che ancora oggi giustifica le differenze di status, se non di condizione economica, tra l’operaio e l’intellettuale.
E’ almeno dai tempi di Rousseau che la pedagogia, scrollandosi di dosso il pregiudizio umanistico, ha affermato il valore formativo del lavoro. Per Pestalozzi un uomo completo è tale se sviluppa tre dimensioni: cuore, mente, mano. Che vuol dire: formazione morale, intellettuale e manuale. Gandhi, che con ogni probabilità ignorava Pestalozzi, diceva più o meno le stesse cose. E nelle sue scuole il lavoro aveva molta più importanza dello studio intellettuale. La mano per la pedagogia moderna e contemporanea non è contrapposta alla mente. Lo sviluppo delle abilità manuali, la concentrazione del lavoro, lo sforzo necessario per costruire qualcosa hanno un valore formativo per nulla inferiore allo studio di un passo di Seneca.
Una buona scuola reale metterebbe al centro entrambe le cose: la formazione intellettuale e quella manuale. Purtroppo grazie al pregiudizio di cui le parole di Fusaro sono espressione, abbiamo in Italia una separazione rigida tra scuole nelle quali si fa formazione intellettuale e scuole nelle quali si fa formazione professionale. Una separazione che è naturalmente di classe: le prime sono per la borghesia, le seconde per il proletariato. Ed è noto il lamentevole stato delle scuole professionali in Italia.
Dalle parole di Fusaro traspare anche un certo orgoglio per la “tradizione occidentale”. Quella tradizione, è bene ricordarlo, che ha portato violenza, distruzione e morte in tutti i continenti. Quella tradizione che, in nome della sua pretesa superiorità culturale e religiosa, ha sterminato gli indiani d’America e ridotto in schiavitù gli africani. Quella tradizione che non è riuscita ad evitare, all’Europa ed al mondo, l’orrore dei campi di sterminio.
Possiamo ancora permetterci di chiuderci nella “nostra tradizione”? Al latino ed al greco della nostra cara tradizione umanistica non dovremo aggiungere almeno il sanscrito – del resto le radici vanno indagate fino in fondo – ed il cinese? Le nostre aule scolastiche sono abitate da studenti che vengono in ogni parte del mondo. Ognuno di loro porta con sé una sua visione dell’uomo (e della donna), una sua concezione dell’umanesimo. Lo studente cinese ha alle spalle millenni di riflessione sui problemi della società umana, così come lo studente indiano e quello africano. Cosa facciamo? Li mettiamo tutti ad imparare le superiori virtù dell’umanesimo occidentale – i manuali di filosofia tacciono sulle filosofie non occidentali -, o facciamo finalmente della scuola il luogo d’incontro di visioni del mondo diverse?
Nell’immagine: Raffaello, La scuola dei filosofi.
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