Scuola

Dalla parte di Poletti

25 Marzo 2015

Lo dico chiaramente fin da subito: le barricate contro la proposta/provocazione del Ministro del Lavoro Giuliano Poletti non mi trovano d’accordo e non le condivido. Le sue parole, “Un mese di vacanza va bene. Ma non c’è un obbligo di farne tre. Magari uno potrebbe essere passato a fare formazione. Una discussione che va affrontata” avrebbero dovuto stimolare un dibattito, non servire l’ennesima chiusura a riccio in difesa dello status quo. Prima di bocciare categoricamente qualcosa si dovrebbe quantomeno discuterne.

Invece il Movimento 5 Stelle parla di “retorica da bar sport, ha perso una buona occasione per rimanere in silenzio. Alberto Irone, portavoce nazionale della Rete degli Studenti Medi afferma categorico che “il Ministro Poletti con le sue affermazioni dimostra di non avere la minima percezione della realtà: più della metà degli studenti italiani già lavora d’estate. Semmai è necessario regolamentare ed inserire percorsi formativi diversi da quelli didattici all’interno del percorso scolastico. La priorità è ridistribuire le pause in modo più equilibrato all’interno dell’anno e non legalizzare lo sfruttamento degli studenti”.

E poi Chiara Daina, su Il Fatto Quotidiano dice al ministro che “Le sue idee, semplicemente, levano la dignità ai ragazzi. Quasi come se Poletti avesse proposto di farli lavorare per tutti e tre i mesi come fossero schiavi. E anche Elisabetta Ambrosi, sempre su Il Fatto Quotidiano, dice che “Una provocazione di questo tipo può arrivare da un imprenditore, un rappresentante della società civile, un cantante, un attore, che so. Ma non da un ministro. Perché se sei un ministro ti devi porre il problema delle carenze strutturali della scuola pubblica in Italia. E la prima carenza sta proprio nel rapporto tra le ore di studio e le ore di attività alternative”.

Ora, alcune osservazioni sono sensate, tipo prevedere attività post scolastiche nel periodo estivo, ma tutte si basano su un errore: ovvero che Poletti voglia obbligare i ragazzi a lavorare in estate, mentre ha detto che potrebbero farlo, e che se ne dovrebbe discutere. Niente obblighi, solo la volontà di un dibattito che valuti l’introduzione di un’opportunità in più magari affiancata proprio dalla possibilità delle citate attività post scolastiche. Una possibilità non esclude l’altra, si potrebbe dare la scelta ai ragazzi sul cosa voler fare durante le loro vacanze estive. Però si dovrebbe discuterne, confrontarsi, non respingere tutto subito.

Così come la redistribuzione dei giorni di vacanza: in questo pezzo de Linkiesta c’è un bello specchietto della distribuzione delle vacanze negli altri Stati, e l’Italia potrebbe rivedere la sua organizzazione prendendo spunto dagli altri. Ma anche questa opportunità non esclude quelle precedenti. Perché non provare a rendere la nostra scuola più simile a quelle europee? Una comunità forte, come non è ora quella europea, si costruisce dall’istruzione, dalla formazione, dalla cultura. Perché non provare a discutere di ferie estive leggermente più corte, con un periodo da dedicare a lavoretti o attività extracurricolari e coi giorni di vacanza decurtati in estate redistribuiti durante l’anno? Siamo così abituati a far polemica da non provare nemmeno a trovare possibili accordi?

Io sostengo la provocazione di Poletti, e spero che possa dare vita a un tavolo di confronto in cui tutti possano dire la propria. Magari stabilire un modello organizzativo che riassuma i migliori esempi stranieri, utile in un futuro in cui si potrà applicare a un ipotetico standard scolastico europeo. Anche da questa strada passano i tanto agognati (da alcuni) Stati Uniti d’Europa. Perché non iniziare a pensarci?

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