Scuola
Cronache dalla quarantena. Lezioni online.
Si è ricavata un angolo della stanza vicino al calorifero, dove ha sdraiato un piccolo tappeto che comprammo nel nostro ormai ancestrale viaggio in Marocco. È il suo harem. Al muro ha appoggiato due cuscinoni, a chiudere il rettangolo privato ha posizionato un tavolino basso, sul quale ha steso una copertina ricamata da qualche nonna.
Dal portatile aperto si espandono il busto e la voce della sua prof di Italiano. Penelope, seduta sul tappetto, la schiena sui cuscinoni, le gambe piegate, una Divina Commedia in grembo, segue lo scandire del Purgatorio. Potremmo chiamare così anche quello che stiamo vivendo in queste settimane; forse, in fondo.
Di fianco al pc una spremuta d’arancia e due fette biscottate con solo burro, che senza la marmellata sono più buone. Ha smesso la sveglia troppo tardi e adesso la colazione la consumerà tra un endecasillabo e l’altro.
Ieri sera, lei al piano e la sorella al canto, ci hanno coccolato per più di due ore. Il televisore è rimasto spento, e non è stato facile stare senza notizie del mondo insinuato dal subdolo. Ma ci siamo abbandonati all’ascolto, e alle richieste, in una sorta di juke box dal vivo. Abbiamo una certa, e karaoke è una parola troppo ballerina. Per lo snob che scrive, umiliante. Mi aggroviglio quando fanno Love is a losing game. In questa casa c’è una sorta di laica venerazione per Amy Winehouse, e non perchè il cognome significa Casa del vino. E la Brigi se la sente, dentro, forse troppo, tanto che temo che anche per lei l’amore possa diventare un gioco in cui si perde.
Quando poco prima di mezzanotte la madre ha detto che forse era tardi e si stava facendo un po’ troppo casino, Brigitta si è ritirata in uno skype con un gruppo di amici, e Penelope ha voluto fare l’ultima. Over the rainbow, ha appena imparato. Una canzone che ha ottanta anni, di quando erano bambine le sue nonne (a me sembra di intuire, nelle mie figlie, l’anima ingenua e robusta delle donne antiche). La canzone immagina il dopo, il bello, dopo una forma di guerra. La coincidenza mi colpisce, ma è solo un brano che ha risentito in qualche cazzeggio di Tik tok e si è ricordata del mago di Oz. Un caso, niente di più. E mi faccio portare dalla sua delicata interpretazione da qualche parte, oltre l’arcobaleno.
Quando viene a sedersi un minuto sul divano, sua madre e io le facciamo i complimenti: è migliorata in modo esponenziale.
Lei è quasi incredula. Dice che sta facendo un sacco di cose in questi giorni. Che quasi non le basta il tempo per tutto quello che deve fare. E lo dice con gioia febbrile. Dovrebbe essere sempre così, online, la scuola, aggiunge.
Vive di più. Scopre il suo potenziale, inaspettato. Coltiva quello che la attrae. Insomma, c’è tutto quello che rende il futuro degno di essere inseguito. Ma non si può dire una cosa del genere. A scuola bisogna andare. Chiusa la questione. E per un istante, mi ritrovo a pensare che questo tempo, causato da una sorta di maledizione, vorrei che non finisse mai.
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