Scuola
Contro i professori di liceo
Vado in periferia dopo aver letto un articolo di Lodoli, un giornalista professore d’italiano.
Quelli sono i peggiori, scoppiano di retorica e credono di conoscere la gente perché hanno insegnato qualche anno in un liceo ed hanno avuto ragazzi dalle storie mediamente complicate.
Gli articoli e i libri di uno come Lodoli non sono mai storie, non raccontano mai nulla, lo scrittore se ne sta seduto da qualche parte in un soggiorno comodo e fa sociologia a buon mercato.
Finisce così che non ci vai mai in quei quartieri di periferia, che ti accontenti di leggere i loro resoconti su giornali progressisti oppure di guardare dei servizi della tv.
Non sono mai stato a Scampia, non sono mai stato a Tor Bella Monaca, certi quartieri li ho visti solo fugacemente passandoci per raccordi e tangenziali, di lato passano palazzoni che descriviamo con aggettivi negativi, capita che ci congratuliamo reciprocamente per la fortuna di non abitarci.
La prima persona che incontro al Quarticciolo è un benzinaio rumeno, è gentile, anche la cassiera lo è, mi regala vari buoni sconto per l’ autolavaggio inaugurato di recente, me ne dà cinque o sei, abbonda.
In questi quartieri l’importanza della pulizia delle auto è molto superiore al centro, come se servisse un contrasto netto fra la limpidezza dei parabrezza e il pessimo stato delle aiuole che costeggiano le strade ad alto scorrimento.
Le facce dei poveri sono più interessanti di quelle dei ricchi, è la loro vendetta perché sono consumate dalla vita, o forse sono interessanti proprio per quello.
Da uno scantinato vedo una donna vicino al fornello del gas, la cucina è l’inizio della casa come nei bassi dei film del dopoguerra, è cucina ma anche tinello e soggiorno, la porta è aperta.
I tentativi di riqualificare il quartiere sono lodevoli ma non vanno a buon fine, c’è una biblioteca con un bar sulla terrazza, ha i tavolini semplici da quartiere medio, è vista con diffidenza dai ragazzi sui motorini, se ne restano sul marciapiede o fanno incursioni estemporanee per ordinare dei caffè rapidi, non entrano quasi mai nella sala lettura, la guardano dall’esterno con rispetto reverenziale.
Anche io non posso entrare, sono stato sospeso dalle biblioteche comunali per non aver restituito dei libri presi in prestito, in realtà alcuni li ho smarriti, altri semplicemente me li sono tenuti.
Dovrei inginocchiarmi e chiedere perdono o forse basterebbe una scusa sentita e qualche soldo di rimborso per poter di nuovo avere il diritto al prestito e alla consultazione, ma non so come gestire la fredda burocrazia delle bibliotecarie cinquantenni, precise e pignole ai limiti dell’arroganza.
Che poi queste biblioteche di quartiere a volte chiamano intellettuali come Lodoli a tenere conferenze, gente che ha scritto articoli apocalittici sulle loro allieve con i pantaloni a vita bassa e nessun interesse per la letteratura.
Le ragazze che camminano qui e guardano sfrontate chiunque passi, hanno un trucco eccessivo che non cancella del tutto una certa grazia di cui non sono consapevoli.
Non hanno giustamente alcun interesse per la letteratura perché sono immerse nella vita, non le proverei mai a convincere che stanno sbagliando.
Mi sposto e vado verso Tor Tre Teste, qui c’è un grande parco che divide i blocchi abitativi e il vento sembra soffiare più forte.
I palazzi hanno una dignità che i pregiudizi degli abitanti di altri quartieri non riconoscono.
Sono lì per vedere una chiesa contemporanea di un archistar, le chiese contemporanee assomigliano a sale di preghiera evangeliche in formato extra lusso.
Sono bianche, prive di ogni orpello e dipinto, non hanno quadri ma linee e prospettive fantascientifiche, perciò mi piacciono, non hanno nulla di spirituale, sono gelide.
C’è un’altra ragazza con me nella chiesa, anche lei scatta foto a ripetizione non sapendo bene cosa immortalare, ci annusiamo a vicenda come individui in viaggio fuori dai nostri soliti rassicuranti confini.
Lei però mastica a ripetizione una gomma, mostra un’aggressività non richiesta, mi suscita un’antipatia istintiva.
Al ritorno passo in auto per appezzamenti di terra miracolosamente scampati alla lottizzazione edilizia, c’è perfino una cascina incongrua in buono stato, di fronte un palazzo di vetro da uffici dalla quale senza ragion apparente sono affacciate donne a stendere panni su esili fili.
Posteggio in una stradina, davanti all’atrio del palazzo da uffici c’è una specie di guardiola controllata da tipi che sospettano della mia macchina fotografica.
Quando sei fuori dai soliti posti adatti alle foto, la gente inizia a farsi idee strane su di te, si immaginano storie.
Incomincio a pensare che si tratti di un’occupazione abusiva, ma uno mi dice che è semplicemente un cambio di destinazione d’uso.
Il palazzo costruito per locazione di tante celle lavorative è diventato un palazzo con tante celle abitative, ci sono famiglie di stranieri ai confini con la clandestinità, sono ai margini dei reportage dei giornalisti buoni, sono appena più in là o appena più in qua delle disperazione, nessuno ha mai dedicato loro un programma di approfondimento.
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