Scuola
La primavera degli asili nel bosco
La maggior parte dei genitori, al mattino, accompagna i propri figli all’asilo, lasciandoli all’ingresso di edifici situati lungo le strade cittadine. Altre mamme preferiscono percorrere vie secondarie, che presto divengono sterrate, per lasciarli nel bosco. Anche loro accompagnano i figli all’asilo, ma li affidano a educatori che hanno identificato nei boschi, dove la natura riesce a essere pienamente se stessa, l’ambiente ideale per la crescita e lo sviluppo equilibrato di un bambino.
Una volta Gandhi disse: “Non ho niente di nuovo da insegnare al mondo”, intendendo che tutto quello che c’è da sapere di importante è già davanti ai nostri occhi, e per scoprirlo basta saper ascoltare e osservare. Esiste un’inclinazione naturale a crescere e noi adulti possiamo favorire la sua massima espressione nei bambini permettendo loro di agire liberamente in un ambiente significativo in cui vi sia tutto quello di cui possono aver bisogno per soddisfare la loro sete di conoscenza. Certo è necessario imparare a far loro spazio, ponendoci come strumento (e non soggetto) a supporto di questo percorso, e a dargli lo spazio giusto, nella natura.
Questa concezione dell’educazione con la natura ha stentato a diffondersi in Italia, ma oggi sembrerebbe vivere una sua primavera (la mappa). E per fare il punto della situazione è in arrivo lunedì 30 marzo, a Bologna, presso la Fiera del Libro per Ragazzi, il convegno “Outdoor Education – Laboratori a cielo aperto” e il 31 marzo, a Roma, il convegno internazionale “L’Asilo nel Bosco nella pedagogia contemporanea”.
Abbiamo parlato in anteprima con alcuni dei relatori di questi incontri, e approfondito la conoscenza di alcuni di questi asili.
Grazie a Sandra Chistolini, professore ordinario di pedagogia all’Università di Roma Tre, ci siamo fatti un’idea più precisa dei riferimenti teorici di questo indirizzo, inscrivibili in quella “rivoluzione copernicana dell’educazione” (cit. John Dewey) iniziata a fine Ottocento e sviluppatasi nei decenni successivi – Rousseau, Montessori, Frohm, Agazzi, Pizzigoni, Freire, per dire solo alcuni nomi –, consistita nel «passaggio dalla centralità del maestro e del programma a quella del bambino».
Il primo asilo nel bosco propriamente detto si dice sia nato negli anni ’50 in Danimarca: gli Skovbørnehave si diffusero in tutto il Paese, e poi in particolar modo in Svezia, Germania, Regno Unito, Austria e Svizzera. Oggi, anche se non ci sono dati certi, nel mondo se ne possono contare circa tremila. Si stima, per esempio, che in Germania ci siano circa un migliaio di Waldkindergarten: il primo, fondato nel 1993, è quello di Flensburg, regolarmente riconosciuto e sovvenzionato dallo Stato, come la gran parte di questi asili nel mondo. Al convegno di Roma sarà presente una delle fondatrici, Petra Jager. Ecco il video di presentazione:
Tornando al nostro paese, nel Lazio è attivo ormai da quasi due anni “L’Asilo nel bosco” nato dalla cooperazione tra l’asilo privato “Emilio” di Ostia e l’associazione “Manes”. Per ora è l’unico caso italiano di asilo in cui l’attività all’aria aperta costituisce la norma e non l’eccezione. Non che sia vietato stare al coperto, infatti quando i bambini lo preferiscono c’è ad accoglierli una spaziosa cascina. Però l’obiettivo, qui, ci racconta uno dei tre educatori Paolo Mai, è quello di vivere la natura «in relazione a ogni diversa condizione meteorologica, perché non esiste il brutto tempo ma solo i vestiti sbagliati!». In effetti pare che ai bambini piaccia moltissimo stare sotto a una bella pioggia e scoprire come cambia il bosco durante e dopo il suo passaggio: il ticchettio dell’acqua sulle foglie, l’odore più denso che entra nei nasi umidi, i funghi che spuntano, le pozzanghere da guadare…
Insomma, un corso di biologia, botanica e fisica a cielo aperto. All’asilo nel bosco, come in tanti altri asili simili, si dà massima importanza all’esperienza diretta come strumento di conoscenza, convinti che “chi ascolta dimentica, chi vede ricorda, chi fa impara”. Che i bambini imparino più per emulazione che per mediazione degli adulti è ormai dimostrato da molta letteratura scientifica.
Altra idea fondante di questo tipo di asilo è che i bambini siano competenti, e che abbiano il diritto di dire la loro: è per questo che tutte le mattine, per prima cosa, ci si mette in cerchio per decidere insieme cosa si ha più voglia di fare. Gli educatori, che all’Emilio preferiscono essere chiamati “facilitatori”, sanno farsi da parte per fare in modo che la ricerca di conoscenza sia una scelta deliberata, volta al piacere personale, e non un’azione per ottenere l’approvazione altrui. Quando il filosofo e pedagogista Ivan Illich, nel 1971, parlava di «combattere lo straniamento dell’essere umano dal proprio sapere» intendeva questo: se togliamo al bambino la responsabilità di scegliere se e cosa imparare – e quando – il suo processo di crescita sarà compromesso, perché non sarà lui a scoprire il mondo, creandosi un punto di vista personale. Al contrario un certo sapere gli sarà inculcato a forza e lui potrà solo scegliere se respingerlo o piegarvisi passivamente.
Nell’asilo nel bosco gli adulti osservano il fare spontaneo dei bambini, rilanciandolo e sostenendolo.
I giochi sono costruiti con materiali di recupero: non si utilizzano oggetti di plastica preconfezionati ma «piccole cianfrusaglie senza brevetto» come sassi, pezzetti di legno, forme di cartone, bambole di stoffa, tappi di sughero… Una scelta ecologica ma anche pedagogica che stimola l’inventiva: «se una macchinetta è una macchinetta e basta, un pezzo di legno può diventare un violino, una bacchetta magica, una canna da pesca e molto altro ancora», spiega Paolo Mai.
Negli asili nel bosco ci sono anche tanti libri, ospitati da scaffali molto essenziali e creativi.
Federica, mamma di una bambina di tre anni che frequenta l’Asilo nel bosco di Ostia, riporta la grande gioia della sua famiglia per questa esperienza. Per lei, la straordinarietà dell’Asilo risiede soprattutto nella «grandissima attenzione e capacità di ascolto degli educatori, che sono in ogni momento disponibili se serve, anche fuori dall’orario ufficiale, per sostenere la crescita sia dei bambini sia delle famiglie». Il rapporto educatore-bambino all’Asilo nel bosco è di 1 a 9, e non 1 a 25 come nella scuola dell’infanzia tradizionale, cosa che già di per sé favorisce e permette una maggiore cura per la relazione e le emozioni di ciascuno.
Un’altra caratteristica che entusiasma Federica è che «l’asilo nel bosco ha scardinato grossi stereotipi, come quello dei bambini che si ammalano stando all’aria aperta: al contrario, i microbi non hanno la vita facile che hanno nelle stanzette fin troppo riscaldate degli asili convenzionali». La paura di alcuni genitori, educatori e amministratori nei confronti degli asili all’aria aperta è per lei incomprensibile: «perché, a voi sembra normale che un bambino stia chiuso in una stanza per sei ore di fila e che al genitore non sia permesso di portare avanti scelte educative diverse?». Si può leggere la sua testimonianza in versione integrale qui: “Una mamma nel bosco”.
Un’altra sperimentazione di un certo rilievo, dal 2010, è in corso in Emilia Romagna, “La Scuola nel Bosco”, a cura di Fondazione Villa Ghigi in collaborazione con alcuni Centri di Educazione Ambientale della Regione, il Comune di Bologna e l’Università. Questa esperienza è stata oggetto della prima ricerca italiana sul tema, in via di pubblicazione, da parte di Michela Schenetti del Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Bologna: il suo punto di vista è che gli asili nel bosco siano «il ponte per cambiare le pratiche nelle scuole per l’infanzia». “La Scuola nel Bosco” si inscrive in un progetto più ampio, quello dell’educazione all’aria aperta del Comune di Bologna, che ha coinvolto in un corso di aggiornamento professionale dedicato oltre 800 educatori del territorio. Il grosso del lavoro, infatti, è da fare con gli adulti: «la natura non è contemplata nel percorso di formazione degli educatori, non ne hanno esperienza». La cosa più bella, ci ha raccontato Michela, è stata vedere un cambiamento nello sguardo delle educatrici, che in prima persona hanno potuto ritrovare la gioia del gioco e del contatto con la natura, e il loro valore educativo.
In Trentino è attivo, dal 2006, il progetto “Asilo nel Bosco” che propone alcune giornate o settimane a contatto con la natura per bambini delle scuole dell’infanzia e primaria. Di iniziative simili non continuative ce ne sono molte altre, come la scuola in fattoria di Cascina Santa Brera, a pochi chilometri da Milano; la “Yurta nel bosco” di Arona, in Piemonte; “A scuola nel bosco”, vicino a Pavia… e non vanno poi dimenticati tutti gli agriasili e agrinidi, che hanno già una solida presenza nel nostro Paese (come “La Piemontesina”) e che secondo una ricerca Coldiretti (2010) sono il posto in cui il 78% delle famiglie vorrebbe che i propri bambini trascorressero i loro primi anni di formazione.
Volendo riassumerli, quali solo i principali ostacoli alla diffusione di questo modello di asilo in Italia?
Le distanze. Il 67% degli italiani non è disposto a percorrere un tragitto che duri più di 20 minuti, e di asili nel bosco ce ne sono ancora troppo pochi, e quindi spesso troppo distanti.
Gli stereotipi. Negli asili nel bosco i bambini correrebbero più rischi di farsi male: eppure in due anni di attività quotidiana nel bosco si sono registrate meno sbucciature alle ginocchia e incidenti vari di quanti se ne verifichino al chiuso: cadere sulle piastrelle fa più male che sulla terra e si cade meno perché c’è più spazio, meno smania data dalla costrizione in un ambiente piccolo. Negli asili nel bosco i bambini si ammalerebbero di più: a sentire le testimonianze ascoltate, i bambini si ammalano sensibilmente meno che nei posti chiusi. Negli asili nel bosco si crescerebbero dei selvaggi: l’osservazione sul campo ha invece mostrato che i bambini sono molto più sereni e collaborativi quando non sono costretti dietro un banco ogni giorno. E poi le regole, in questi asili, ci sono, solo che sono «fatte per responsabilizzare il bambino ed educarlo a rispettare tutti i membri della comunità, indicazioni per una strada da percorrere dopo averla capita, rispettando i tempi di ognuno».
I costi: In Italia questo modello di asilo ancora non ha ricevuto il sostegno delle amministrazioni; si agisce in un regime di iniziativa privata non convenzionata, con costi variabili e non sempre sostenibili da tutti. All’Asilo nel bosco si cercano dei modi per venire incontro alle famiglie economicamente più deboli, ma non è sufficiente. Paolo Mai sottolinea la gravità di questo ritardo normativo: «la legge sugli asili nido e quella della scuola dell’infanzia hanno quarant’anni e dovrebbero essere riviste alla luce delle nuove condizioni socio-economiche e delle ricerche effettuate in ambito educativo in questo lungo lasso di tempo».
Invece la necessità di alternative si sente: in Italia solo un bambino su dieci riesce ad accedere agli asili nidi comunali, che sono poco più di tremila e riescono a coprire in città solo il 17% del fabbisogno. L’asilo nel bosco, secondo una stima riportata da Paolo Mai, costa l’80% in meno dell’asilo tradizionale; se anche le istituzioni legittimassero questa metodologia, il risparmio potrebbe garantire l’apertura di un numero maggiore di asili.
Per chi volesse provare ad aprire un asilo nel bosco, il primo passo necessario è studiare la normativa, essenzialmente l’iter per aprire una qualsiasi scuola per l’infanzia. Per apprendere in tempi rapidi la gran parte di queste informazioni segnaliamo i due giorni di formazione proposti dall’Asilo nel bosco di Ostia.
La mancanza di competenze: come sostiene Sandra Chistolini, un altro problema è che «nei vari corsi di scienze della formazione bisognerebbe riportare l’attenzione sull’educazione di base, l’insegnamento della pedagogia, mentre oggi si parte subito con l’insegnamento “tecnico” delle varie didattiche (come insegnare lettere, matematica, filosofia, ecc.); inoltre l’unica esperienza concreta che gli studenti hanno la possibilità di fare come tirocinio è all’interno di scuole statali».
Stando alle più recenti e accreditate ricerche (es. Richard Louv, L’ultimo Bambino nei Boschi, 2005; Peter Hafner, Natur- und Waldkindergärten in Deutschland, 2002) è fondamentale per i bambini restare connessi con il mondo naturale, se vogliamo che non abbiano un vero e proprio deficit psicofisico che porta a depressione, obesità, problemi relazionali e di identificazione di sé, e tutte le rigidità che crea una scuola troppo strutturata, fisicamente restrittiva e soprattutto molto intellettualizzata. I risultati di questi studi evidenziano che i bambini che frequentano questo tipo di scuola non convenzionale sono molto creativi e curiosi, si concentrano di più, rispettano di più le regole, risolvono i conflitti in modo pacifico e argomentano meglio le proprie opinioni.
Se questo modello di asilo riuscirà a diffondersi vedremo molte più mamme e papà avviarsi lungo i sentieri all’ora di pranzo. Nei loro abiti cittadini, riaccoglieranno i loro piccoli esploratori con gli stivali infangati, reduci da una battaglia di pigne o da un nascondino tra gli alberi. Poco alla volta, noteranno sempre di meno i sedili sporchi e, attraverso gli sguardi incantati dei bambini, torneranno a stupirsi anche loro per la chioma di un albero o i colori delle stagioni. Alla fine vedranno nei maestri, che li salutano in lontananza, i custodi di un pianeta antico e prezioso, in cui ogni creatura è la parte di un tutto che respira all’unisono. E allora sentiranno di poter guardare al futuro con maggiore fiducia, perché quello che loro hanno dimenticato lo impareranno dai loro figli.
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