Scuola

Alternanza scuola lavoro: una discussione in fieri

29 Gennaio 2016

Da qualche anno la scuola si è trasformata in un ufficio di collocamento (per finta, se si opta per la simulazione). Sì, perché nel corso del triennio sono previste fino a 200 ore di alternanza scuola-lavoro. In cosa consistono? In teoria, si tratterebbe di sperimentare, per brevi periodi ma in modo sistematico, un mestiere: di imparare a lavorare.

La buona scuola lo ha reso obbligatorio. Quest’anno nella nostra scuola tutti gli studenti di tutte le classi terze, all’inizio di febbraio per poco più di una settimana e alla fine della scuola un po’ più a lungo, si troveranno a svolgere vari tipi di lavori in imprese, ospedali, aziende agricole, musei ecc. ecc.

Da tempo le famiglie si lamentavano (e il mondo del lavoro rincarava la dose) dell’eccessivo scollamento tra lavoro e istruzione. Ora, forse, non sarà più così. Ma qui iniziano anche i problemi.

Il primo: dove trovare dei posti di tirocinio o praticantato breve? Le aziende non sono necessariamente disponibili. Intendiamoci: se abbiamo un perito informatico o un chimico in grado di svolgere, bene, un lavoro, forse le aziende fanno la fila per averlo, tanto più che è gratis. Però che lavoro fareste fare a uno studente liceale, che deve ancora scegliere la facoltà universitaria e la propria professione? Alcuni indirizzi di studio preparano al lavoro, altri no.

Il secondo: per lo più, nonostante gli studenti possano avere delle preferenze, risulta molto difficile soddisfarle (è già tanto trovare un posto).

Il terzo: l’alternanza scuola-lavoro non è retribuita, mentre, secondo alcuni miei studenti, dovrebbe esserlo. Per quale motivo? Secondo loro sarebbe lavoro gratuito, e sfruttamento. Di fatto, le imprese si sarebbero assicurate, con la buona scuola e l’alternanza scuola-lavoro, un esercito di lavoratori gratuiti, obbligati a svolgere qualsiasi cosa venga loro richiesta (o quasi, però l’alternanza è davvero obbligatoria). Altri miei studenti sostenevano invece che, durante l’alternanza scuola-lavoro, gli studenti imparano un mestiere, che le imprese investono molto tempo nella formazione, e che anziché pretendere uno stipendio, chi impara un lavoro, come nei corsi di specializzazione, dovrebbe pagare per imparare (tanto più che se le aziende dovessero davvero pagare gli studenti dell’alternanza… potrebbero persino decidere di non accettarli). Anche questa posizione è interessante, perché se la prima insiste sull’intromissione delle imprese nel mondo dell’istruzione e della formazione professionale (alcune imprese potrebbero anche finanziare alcuni corsi o progetti scolastici), la seconda insiste sulla relazione tra scuola e impresa e sull’impresa come scuola (un modello in una certa misura presente anche all’epoca, per esempio, della Germania dell’Est, dove gli operai si prendevano cura degli studenti che, in diversi periodi nel corso dell’anno, andavano a fare esperienza del mondo del lavoro).

Ci sono altri problemi che non abbiamo sottolineato? Segnalateceli. Nelle prossime due settimane modificheremo questo canovaccio inserendo le posizioni e le argomentazioni (brevi, chiare e concise, meglio se pro e contro), dei nostri lettori e ne formuleremo una versione aggiornata.
Leguleio Azzeccagarbugli e Logon Didonai

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