Scuola

Aboliamo la maturità e gli esami a settembre

9 Gennaio 2023

UNA SCUOLA SUPERIORE UNICA PER TUTTI I RAGAZZI ITALIANI
Dieci proposte per una riforma democratica dell’istruzione superiore italiana

OTTO

L’attuale Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, non perde occasione per ricordarci che le idee, se mai ve ne fossero, del governo Meloni sulla scuola sono solo rimasticature di vecchie e ritrite idee di altri. Poco importa se gli altri erano di “sinistra”, come nel caso della circolare Fioroni del 2007 sul divieto (pleonastico) di usare i cellulari in classe, appena ripresa dal Ministro. Adesso invece è il decreto legge 62/2017 del governo Gentiloni a ispirare Valditara per gli esami di maturità, anche se del decreto cita solo un paio di punti relativi alla maturità.

Per l’esame di maturità, il Ministro Valditara propone infatti in un’intervista alla Stampa, riportata sic et simpliciter sul sito del MIUR, di tornare alla legge del 2017, in cui metà della commissione giudicante era composta da insegnanti esterni alla scuola e le prove scritte erano due. Negli ultimi due anni, a causa del Covid, la commissione è stata invece esclusivamente composta da insegnanti interni, con un presidente esterno e una sola prova scritta, nel 2021, mentre nel 2020 gli studenti furono addirittura graziati dagli scritti, sostituiti dal famoso “Oralone”, in considerazione del fatto che i ragazzi erano stati chiusi in casa per quasi quattro mesi e connessi ai loro insegnanti solo con il computer e il cellulare.

Questioni di lana caprina, si potrebbe dire: che differenza c’è tra uno o due esami scritti, o se la commissione è mezza esterna invece che tutta interna? Torniamo alla legge Gentiloni (che è del PD, ma non importa) per riportare un po’ d’ordine nella scuola italiana, travagliata da due anni di Covid: sarebbe questa la geniale proposta di Valditara. Ma il problema è un altro: l’esame di maturità in Italia è concepito in un modo a dir poco antiquato ed è arrivato il momento di abolirlo, per passare a un sistema di test nazionali, uguali per tutti gli studenti italiani e somministrati dall’INVALSI, così da eliminare ogni possibile arbitrio (da parte degli insegnanti) nell’attribuzione del voto finale della maturità.

La vecchia formula della maturità “all’italiana” prevede infatti che una commissione parzialmente esterna abbia un’ultima occasione per valutare i ragazzi utilizzando un criterio “teoricamente” oggettivo: i professori esterni non conoscono lo studente e non sono quindi influenzati da possibili pregiudizi. Possono di conseguenza esprimere una valutazione più oggettiva rispetto a quella dei colleghi che hanno ammesso lo studente all’esame di stato.

Con la maturità all’italiana gli insegnanti (interni o esterni che siano) hanno un’ultima occasione per ribadire l’assunto: “Siamo solo noi a poter giudicare il risultato del nostro lavoro” (il livello di preparazione degli studenti). Prova ne è che fino ad oggi, nel 2023, il voto finale della maturità è composto per il 50% dai crediti maturati negli anni precedenti, e per il 50% dal voto assegnato dalla commissione di maturità, commissione che Valditara vorrebbe per l’appunto riportare alla legge Gentiloni del 2017: metà della commissione è esterna, e quindi più “oggettiva”.

Ma non solo, con l’attuale maturità,  se uno studente ha avuto  per tre anni la media del dieci, si presenta all’esame con al massimo 50 punti. Sarà quindi l’estro della commissione a decidere il punteggio finale, con il risultato che il candidato potrà essere bocciato se la commissione riterrà che il suo esame valga meno di 10 punti: lo studente non potrà  raggiungere i 60/60esimi necessari per guadagnarsi il diploma.

In realtà, le commissioni d’esame italiane sono in genere assai generose, perchè decimare una classe che si è presentata alla maturità dopo avere ottenuto pessimi risultati nei test INVALSI, come succede regolarmente in molte regioni d’Italia, equivarrebbe a bocciare i suoi insegnanti: “Avete fatto un pessimo lavoro: i vostri studenti non sanno nulla!”. Meglio quindi passare una spugna generosa sulle competenze non acquisite dagli allievi degli altri colleghi.

Una mano lava l’altra ma soprattutto todos caballeros: i nostri studenti riceveranno ugualmente il diploma di maturità,  poco importa se poi non hanno le competenze minime per comprendere un testo in italiano. Lo spiegano bene Gianna Fregonara  e Orsola Riva in un articolo sul Corriere della Sera: “Prove Invalsi 2022, tornare a scuola non è bastato: un maturando su due insufficiente in italiano e in matematica. Troppe differenze tra classe e classe“.  Il disastro annunciato è già visibile dai test INVALSI in seconda elementare, per poi concludersi con quelli somministrati ai maturandi: “In italiano appena il 52 per cento degli studenti raggiunge il livello minimo di competenze, con punte del 60 per cento in Campania, Calabria e Sicilia”.

A una simile catastrofe il nostro Ministro del cosiddetto Merito, Giuseppe Valditara, risponde con una sapida insipienza: torniamo alla legge Gentiloni. Membri esterni alla maturità e due scritti invece di uno. Grazie a una simile ricetta risaliremo in fretta le classifiche dell’OCSE, con Campania, Calabria e Sicilia in testa, davanti persino a Singapore. Altre proposte per migliorare le performance degli studenti italiani non pervenute.

Volendo essere seri, bisognerebbe ispirarsi  al modello canadese, già citato negli articoli precedenti, dove l’esame di maturità non esiste. Gli studenti che frequentano l’ultimo anno fanno i test finali, a risposta multipla, uguali in ogni provincia, esattamente come hanno fatto negli anni precedenti. E se passano il test, ottengono il diploma di maturità. La scelta canadese di somministrare dei test a crocette anche per la maturità ha proprio la funzione di eliminare l’aleatorietà del giudizio degli insegnanti, che possono essere più o meno severi, ma soprattutto sono in genere sodali ai loro colleghi (e chiudono volentieri un occhio).

In Canada è impossibile nascondere sotto una pagella positiva i cattivi risultati degli studenti, persino alle scuole elementari, come facciamo invece in Italia. Nel modello scolastico canadese i voti sulle pagelle sono determinati dai test provinciali, e non dai giudizi degli insegnanti. Impossibile nascondere ai provveditorati delle Province i cattivi risultati delle aree caratterizzate da povertà educativa, dove si devono subito mettere in atto delle politiche di recupero degli studenti. Con il risultato che alla fine dell’istruzione superiore gli studenti canadesi risultano molto più preparati dei nostri, secondo quanto testimoniano le indagini internazionali di OCSE-PISA.

Nelle scuole superiori canadesi, il voto finale – il Great Point Average collegato al diploma di maturità – è calcolato con un algoritmo che tiene conto dei voti e dei crediti accumulati nei quattro anni precedenti. Il voto finale è quindi pesato sull’andamento di tutti gli anni precedenti e non dipende solo dall’ispirazione della commissione mista interna-esterna chiamata a giudicare lo studente. Gli studenti che vogliono fare i test per iscriversi all’università devono avere un buon GPA.

Anche in Italia è arrivato il momento di eliminare l’esame di maturità per sostituirlo con un modello simile a quello appena descritto, ma sarebbe un’ottima idea anche eliminare i giudizi sospesi a settembre. L’effetto che provocano è di fare durare dodici mesi l’anno scolastico per circa il 20% degli studenti delle scuole superiori, in particolare quelli che frequentano gli istituti tecnici e professionali. Le famiglie che possono permetterselo si dissanguano per pagare le ripetizioni ai figli rimandati. Nelle città sono ubique le pubblicità degli istituti che preparano gli studenti per gli esami a settembre. Ancora una volta, vengono avvantaggiati gli studenti i cui genitori sono in grado di sostenere le spese per le ripetizioni, mentre gli altri vengono bocciati a settembre, tre mesi dopo la fine della scuola.

Meglio allora allungare la scuola di un mese, quindici giorni a giugno e quindici a settembre, per gli studenti che hanno bisogno di ripetere le materie, come scriveva don Milani in Lettera a una professoressa: “Il doposcuola è la soluzione più giusta. Il ragazzo ripete, ma non perde l’anno, non spende e voi gli siete accanto, uniti nella colpa e nella pena”. Perdere un anno di scuola significa per le famiglie sostenere per un anno in più le spese di mantenimento dei figli bocciati, che ritardano così anche il loro ingresso nel mondo del lavoro.

Non propongo di eliminare le bocciature: se i ragazzi facessero tutti gli anni dei test nazionali per passare a quello successivo e i loro risultati fossero gravemente insufficienti, i docenti potrebbero far ripetere l’anno allo studente, motivando la loro decisione in un documento ufficiale dove si espongono le ragioni per le quali non è stato possibile mettere in atto, durante l’anno, delle strategie di recupero per lo studente in difficoltà. La bocciatura dovrebbe però essere decisa a giugno, senza lo spargimento durante l’estate di denari dei genitori, costretti a pagare altri professori che guadagnano dai giudizi sospesi (dai loro colleghi).

 

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