Scuola

A 4 anni con il badge a scuola e multa ai ritardatari. Perché il tempo è denaro

17 Marzo 2016

A Cadoneghe, paesino in provincia di Padova, gli alunni della scuola d’infanzia dell’istituto “Pio X” hanno l’obbligo di timbrare il cartellino in entrata e in uscita. Su decisione della dirigenza, a chiunque faccia ritardo ad inizio o a fine orario scolastico, viene comminata una multa di 5 euro. Una decisione necessaria, pare, per educare gli irriducibili che in alcun modo riuscivano a rispettare gli orari dell’istituto. Decisione accolta con favore dai genitori dei piccoli allievi del “Pio X”.

Uno potrebbe anche buttarla sul filosofico e dire che la peggiore invenzione dell’umanità sia stata l’orologio, il modo di computare il tempo razionalizzandolo, spezzettandolo in ore e poi minuti e poi nanosecondi. Che siccome l’uno e il due si succedono con una certa regolarità questo significhi invariabilmente che essi e tutti quelli che li seguono siano indifferenti, che contare non significhi altro che procedere per una determinata serie di uni tutti indistinti. Balorda e strampalata idea. Ci pare oramai ovvio che ragionare sul tempo significhi fare i ragionieri del tempo, che contare il tempo significhi farne il computo. Con le nostre bislacche calcolatrici di tempo, gli orologi, ci siamo tutti trasformati in commercialisti di ore, minuti, commerciamo in tempo. Al punto che, dài e dài, alla fine tutti siamo convinti che il tempo sia denaro.

Uno potrebbe buttarla sul filosofico e chiedere come possa essere possibile che si sostenga in qualche modo l’idea che il giorno della nostra nascita, il minuto della nostra morte, l’attimo dell’amore, della felicità e il secondo del dolore siano indistinguibili, tutti uguali e tutti allo stesso modo monetizzabili. Ancor di più quale possa essere il contorto criterio per computare in modo eguale il giorno del mio dolore e l’ora della tua felicità.

Ma niente. Ci siamo cascati tutti quanti, come allocchi, tutti immersi fino alle anche in questa stessa palude. Bisognerebbe commemorarlo, farne lutto planetario, di quel giorno in cui l’orologio è stato inventato. In quello stesso infausto giorno è stato inventato lo stress.

Perché poi non c’è tanto bisogno di buttarla sul filosofico per sapere tutti benissimo quanto del nostro malessere della vita quotidiana dipenda da questo commercializzare il tempo. Arriverà, secondo me, il giorno in cui sarà inventato un badge per la vita, voglio dire uno che bisogni passare al momento delle tappe importanti, che qualcuno passerà per noi al momento della nostra nascita e della nostra morte e per il resto ci sarà affidato, per i giorni del nostro diploma, della cresima, del matrimonio, della nascita di nostra figlia o per il giorno del primo bypass all’aorta.

Già adesso arranchiamo sballottati tra un ritardo e l’altro, maledicendo tutti i secondi che ci inseguono senza pietà ogni giorno della nostra vita. Che siccome i minuti sono uguali per tutti, questa non è più la “nostra” vita, e ci ripetiamo come un mantra, rassegnati, facendo di tutto per convincerci che questa è “la” vita. Già che possiamo farci: questa è la vita…

La cosa triste di questa idiota rassegnazione è che ad un certo punto ci siamo lasciati convincere dall’idea che, siccome questa è “la” vita, è bene che i nostri figli ci si abituino quanto prima. E prima ancora che il bambino finisca di riconoscersi come un “io”, di comprendersi come “unico” e “proprio” e “individuo”, lo immergiamo nell’orgia del tempo indifferente e commercializzato e ce lo teniamo dentro a viva forza contro ogni sua protesta, perché accetti e si rassegni.

E sì che il bambino protesta, che se non fosse che siamo ormai totalmente istupiditi non potremmo non notare quanto tragica sia per lui questa violenza che gli facciamo per lunghi anni, quando lo svegliamo a forza alle 6.30 del mattino, a 2 anni, per vestirlo e portarlo al nido e lo costringiamo a rimanerci, lontano da noi, dalla madre, che ancora è, fisicamente, realmente, la sua stessa vita, fino alle 16.30. Come se ci costringessero tutti i giorni a lasciare da qualche parte le gambe o l’intestino. Pura follia. E continuiamo a torturare il suo tempo individuale, ogni mattina, a 3 e 4 anni, che impari ad odiare ogni maledetta alba di ogni maledetto giorno della vita, sempre svegliato anzitempo e vestito a forza e abbandonato in luoghi che non sono la sua casa con gente che non è la sua famiglia, tutti individui che subiscono la sua stessa quotidiana violenza.

C’è del sadismo nel nostro partecipare a questa strage di innocenze, l’inconscio piacere di vendicare la “nostra” vita immolata, impiccata alla lancetta di un orologio.

Perciò questa non è che la naturale conseguenza della generale pazzia. Che un giorno, da qualche parte, in un anonimo paesino del Veneto, un sadico tal dei tali, un dirigente scolastico, un parroco, forse magari anche un genitore, si faccia venire la brutale idea di mettere un badge per l’ingresso alla scuola d’infanzia. Di modo che il ritardo di un anonimo ma vitale minuto, sia colpa, sia sacrilegio, peccato contro “la” vita, da espiare. Con il denaro. Perché il tempo è denaro. E se per un bambino “x” il minuto dalle 7.42 alle 7.43 del giorno “z” sia un minuto di coccole e baci, oppure un minuto di sculaccioni e pianti e urla, non per questo conta, vale di più o di meno dello stesso identico minuto del bambino “y”, strappato dal caldo delle sue coperte in un modo qualsiasi in un giorno qualsiasi.

Sono un povero illuso, un ottimista. Perciò ci vedo del buono in tutto questo. Due possibili vie d’uscita.

Prima. Ci dobbiamo passare, dobbiamo sporcarci per bene le mani per poter vedere un giorno in quale giostra crudele abbiamo gettato i nostri stessi figli, di quale follia siamo stati tutti quanti complici.

Seconda. A forza di rinchiuderli tutti quanti insieme, nelle stesse prigioni, da subito, prima ancora che ci si siano rassegnati, i nostri bambini, a forza di ritrovarsi là, tutte vittime senza scampo, a forza di riconoscersi e rispecchiarsi l’uno nell’altro per tutti gli anni della loro preziosa infanzia, forse verrà il giorno che si avvererà la profezia di Gerard Mendel, e magari già si prepara, un giorno qualsiasi, che tutti i bambini del mondo si leveranno, d’un solo grido. E inizierà la rivoluzione.

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