Scuola

Scuola breve o scuola lunga? Un falso problema

26 Agosto 2017

Da circa un ventennio (no, non quello fascista), più di un ministero della Pubblica Istruzione ha tentato di modificare la durata degli studi scolastici.

Prima, ipotizzando l’accorpamento delle scuole medie con le scuole elementari, cui sono seguite le comprensibilissime proteste dei docenti delle scuole medie (che si sono tra l’altro lanciati verso le scuole superiori, con i soliti opinabili corsi abilitanti riservati), in quanto avrebbero perso ore di lezione e, conseguentemente, cattedre. Doverosa marcia indietro.

Poi, ipotizzando di ridurre a quattro anni la durata dei licei. Anche in questo secondo caso, le proteste dei docenti (stavolta, liceali) hanno portato al, doveroso, ritiro della proposta.

Anche l’ipotesi di iniziare a leggere a cinque anni (con le dovute precauzioni, come si fa altrove) ha portato a una levata di scudi di pedagogisti e genitori (poveri bambini, dobbiamo obbligarli a giocare, altro che imparare a leggere prima, nemmeno se ce lo chiedono loro), quindi, non se ne è fatto nulla (anzi, non lo si era mai nemmeno preso in considerazione).

Tutto finito, dunque? No, infatti la proposta di ridurre a quattro gli anni del liceo viene ripresentata dai (non più così) nuovi responsabili dell’Istruzione.

Nel frattempo, a cavallo tra numerosi governi, ci sono state diverse modifiche: sono state spinte a interagire la scuole elementare (oggi “primaria”) e dell’infanzia (non più “asilo”); sono aumentati gli anni della scuola dell’obbligo; sono stati approvati progetti “passerella” che accompagnano (limitando i traumi) gli studenti che hanno sbagliato a scegliere il corso di studi verso uno più adatto a loro; sono stati approvati nuovi programmi (per quanto riguarda le mie discipline non sono cambiati granché, per la verità); sono state ahinoi ridotte le ore di lezione; sono stati approvati progetti di parziale bilinguismo (per es., il progetto ESABAC, che porta a una duplice maturità, italiana e francese) o di metodologia CLIL (che prevede l’insegnamento di una o più discipline in lingua straniera, a seconda delle scuole, per uno o più anni); sono entrati in funzione, poi bloccati, poi modificati, bloccati di nuovo, vanificati e poi riapprovati i corsi di abilitazione all’insegnamento (ancora il punto debole del sistema dell’Istruzione, per la verità, anche se abbiamo insegnato in tutte le tipologie, dalla SILSIS, in Lombardia, al TFA, passando per i corsi speciali abilitanti, incluso quelli per la metodologia CLIL) e sono stati più volte modificati i regolamenti degli Esami di Stato.

Non da ultimo, si è finalmente iniziato a discutere di valutazione del personale (il progetto non è riuscito, va detto, per la complessità e l’eterogeneità dei criteri adottati, ma lo abbiamo condiviso, sentendoci dare dei “renziani” da parte di chi Renzi l’aveva davvero votato in quanto “rottamatore” degli altri), del merito, delle competenze dei docenti.

E degli studenti: vi ricorda niente la parola “INVALSI”?

E non è mancata una certa attenzione al territorio e al mondo del lavoro, con la cosiddetta Alternanza Scuola Lavoro (ASL, che suona come la Mutua, ma fingiamo di non essercene accorti e usiamo il buon gusto di evitare le abbreviazioni, almeno qui, visto che ne abbiamo già usate troppe), o alla “digitalizzazione”, che però non sembra aver cambiato in meglio l’apprendimento, stando a vari studi internazionali, forse anche perché invece di uno strumento limitato a certe funzioni è stata considerata una sorta di deus ex machina che, come talvolta nel teatro greco facevano le divinità, avrebbe risolto tutti i problemi dell’insegnamento e dell’apprendimento.

Insomma, anche se non abbiamo elencato che una minima parte dei cambiamenti, non si può certo dire che la scuola sia rimasta la stessa. Sembra anzi che abbia realizzato le tre “I” della propaganda elettorale dei governi Berlusconi (Internet, cioè digitalizzazione, Impresa, cioè alternanza scuola lavoro, e Inglese, che però è diventato una “L”, le lingue). Eppure…

eppure nel dibattito pubblico tutto questo sembra non esserci. Perché si parla sempre e solo di questioni come la riduzione delle ore o degli anni? Tra l’altro, consideriamo che in altri paesi, o in altri indirizzi, si studia appunto per 12, e non per 13 anni, prima dell’Università, e che in Germania vi sono Länder dove la scuola dura 12 anni (cioè cinque anni di scuola elementare più sette di liceo) e altri dove ne dura 13 (cinque più otto, come la Baviera).

Cambia molto? Secondo la Baviera sì, infatti non riconosce i titoli di studio della durata di 12 anni e obbliga a un anno integrativo, ma tant’è, questo è il meraviglioso federalismo tedesco, assolutamente inefficiente, ed è preferibile lasciarlo ai tedeschi.

Vi sono esperienze internazionali come quella della scuola dove insegno ora, la Scuola Europea di Francoforte, con le sue cinque sezioni linguistiche (tedesca, inglese, francese italiana e, appena approvata, quella spagnola, ma vi si imparano 23 lingue e diverse materie sono nella seconda lingua, obbligatoriamente inglese, francese o tedesco), che prevedono 12 anni di studio, 180 giorni di lezione, tempo pieno (dalle 8 alle 17) e un sistema basato sulle competenze.

In definitiva, è così importante ridurre la durata degli anni di studio? Per rispondere, occorrerebbe forse preliminarmente chiedersi perché gli studenti dovrebbero finire prima gli studi. Per andare dove? All’Università? E chi non vuole studiare? A lavorare? E chi non lo trova proprio, un lavoro? Al riguardo, basterebbe studiarsi le statistiche della disoccupazione giovanile. Oppure, forse questo sì, all’estero, come buona parte dei giovani connazionali è spinta a fare (e anche i pensionati, tra l’altro)?

Si faccia pure, ma per cortesia ci si ponga anche altre domande, queste sì fondamentali: che cosa si imparerà a fare, in questa scuola? Quali contenuti? Quali competenze? E come verificheremo che funzioni? E come prepareremo gli insegnanti? Come correggeremo gli errori?

Allora il discorso torni sulla valutazione della preparazione degli studenti e degli insegnanti, che è stata a lungo boicottata (in quanto frutto di una mentalità “autoritaria e aziendalistica”) da gruppi di studenti e di insegnanti ideologizzati (a prescindere dal fatto che sia realizzata più o meno bene).

Sappiamo cosa dobbiamo fare, non distraiamoci, per cortesia.

Techne Maieutike

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