Costume
Santi da diporto: avanti un altro…
“Il mercato penetra oggi in ogni istituzione, in ogni rapporto. Intorno a noi, da ogni lato, troviamo lo spirito del mercanteggiamento, la petulante ricerca dell’affare, la pappagallesca teologia del “dinamismo”, la valorizzazione commerciale dei tratti personali: l’aria, in pubblico e in privato, è satura di salesmanship (vendita come mestiere)…il coro è troppo timoroso di lamentarsi, troppo isterico negli applausi. A breve scadenza seguirà le vie del prestigio, disseminate di panico; a lunga scadenza le vie del potere, perché in fondo è solo il potere che determina il prestigio”
Charles Wright Mills, White Collar
La nostra vita quotidiana naufraga nel mare di chiacchiere generato da un diluvio informativo senza precedenti. Sapere di cosa si sta parlando, in questa spaventosa deriva verbale, è diventato irrilevante. L’enorme mole di informazioni – le più disparate, e disperate, dalla culinaria alla filosofia teoretica passando per la politologia, l’urbanistica, l’analisi musicale e l’epidemiologia – è trascinata all’impazzata dalla corrente oceanica e fornisce vaganti appigli occasionali ai quali il naufrago si aggrappa in cerca di momentanea salvezza.
Da dove provengono? Che ci fanno sotto il suo naso? Che senso hanno?
Nessuno può dirlo.
Questa fantasmagoria informativa non solo non garantisce intelligenza ma, semmai, ne priva gli eventuali portatori e consente ai più cinici, stupidi e amorali, una corazza di saputaggine e di pedanteria difficilissima da scalfire.
Se ne appropriano sgomitando e prendono a pedate chiunque mostri di volersi avvicinare. Sembra quasi che l’intero scibile sia a disposizione, in compendio. La realtà è che si tratta solo di rottami: un ombrello, l’anta di una credenza, un preservativo usato, una scarpa, un mappamondo…Un’accozzaglia iridescente e mobilissima di cui sfuggono senso e relazioni. Galleggia, tuttavia, e tanto basta al disperato.
Se non t’aggrappi coli a picco e rischi di mutarti in palombaro
Ma nessuno sa che farsene dei palombari: in questa caleidoscopica cangianza è la superficie che conta e che si offre alle zanne dell’utente; il quale, per così dire, addenta quella scorza e, immediatamente, ne sputa via la polpa. Talvolta con disgusto.
Da questa catastrofe intellettuale deriva, in un solo giorno, una quantità di chiacchiere quale l’umanità non è riuscita a produrre, complessivamente, dalla preistoria ad oggi.
Talk show, interviste, dibattiti, conferenze e, poiché nulla gli dei lasciano d’impunito, anche la loro trasposizione in forma scritta. Perciò articoli, saggi, ponderosi volumi.
Da questa rottamazione enciclopedica finisce per prender forma, in quei naufraghi sgomitanti che arbitrariamente se ne appropriano scalciando, la compiaciuta persuasione di detenere, grazie a quei rimasugli da sfasciacarrozze, una misteriosa, quasi mistica, entità, che essi stessi provvedono a definire “Cultura”.
C’è la Cultura dello Stato e quella del Cibo, la Cultura del Viaggio e quella della Legalità. Le Culture si accavallano, talvolta, e si montano. E figliano. Non si contano più i Prodotti Culturali. Su tutte, però, regna incontrastata la Cultura dei Quattrini.
Essa diviene un distintivo che, insieme alle chiacchiere, fa sì che questi naufraghi assatanati si riconoscano tra loro come membri di una esclusiva casta sacerdotale perennemente intenta alla celebrazione di quella entità mistica e, soprattutto, di se medesima come sua unica rappresentante in terra.
Si tengono bordone a vicenda e ciascuno degli accoliti può contare sulla solidarietà degli altri. Rappresentanti di questa Cultura, furono già, per parlare solo dell’Italia, Ciampi, Lamberto Dini e Mario Monti. Da ciascuno di loro fummo salvati a dovere, come si vede.
Ma adesso è l’ora della madre di tutte le salvazioni.
Così in questi giorni di tregenda, un banchiere, figlio di banchieri, che vanta un curriculum da banchiere e che, fin da quando aveva l’età della ragione, non ha praticamente fatto niente altro nella vita che rimestare, sapientemente, in fluttuanti bauli di carta moneta immaginaria, è stato all’unanimità eletto Definitivo Salvatore della Patria. Un elemento al quale Platone stesso avrebbe potuto affidare la sua pur scoglionata Repubblica. Un filosofo delle palanche, tale da potere, con tutti quei rottami galleggianti, mettere a regime un vascello ideale in grado di portare tutti a destinazione: nel regno dei baiocchi.
Quale sia la strada per questa destinazione, ovviamente, non se lo chiede nessuno e a nessuno importa. Domandarselo significherebbe mutarsi in palombari e lasciar perdere la superficie. Non sta bene e, del resto, a remare saranno i soliti, giù nella stiva.
Però sappiamo che quest’uomo tutto d’un pezzo è un devoto di Sant’Ignazio di Loyola. Cosa che di per sé rappresenta una garanzia…il suo sarà infatti il “governo dei migliori”. Tanto basta. E “i migliori” – ovvero quei naufraghi sacerdotali di cui dicevo prima, che si sono appropriati dei rottami più avvenenti – hanno già drizzato le orecchie.
Forse solo Padre Pio – altro che Ignazio! – fu oggetto, in vita, di un trattamento paragonabile a questo.
Non c’è gazzetta, né studio televisivo, non c’è facitore di elzeviri né redattore di coccodrilli che non ne imbastisca l’apologia.
Ora, poiché per questi preti, per i loro sagrestani e per le loro perpetue, ogni evento è occasione liturgica e poiché i giorni delle rammemorazioni si susseguono ormai incessantemente, cucendo un vestito nuovo al calendario, rassegnamoci all’idea che il giorno dell’insediamento di questo Santo della Banconota al governo di una repubblica che, sulla carta (moneta) risultava democratica, sia celebrato in futuro come l’avvento di un Messidoro epocale. Tra il giorno del panda e quello della mamma.
Viva l’Italia e viva Verdi…anzi viva i Verdoni.
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