Costume

Retorica europeista e retorica nazionalista

22 Agosto 2022

La nazione, per chi in quella nazione se la passa bene, è un concetto comodissimo.

Permette di dire NOI sulla base della circostanza d’essere nati in un luogo piuttosto che in un altro, senza ulteriori approfondimenti. Gli italiani, gli inglesi, i tedeschi, i giapponesi i russi, gli americani…qualche volta non è neppure necessario che si parli la stessa lingua o si abbiano le medesime usanze. Basta essere nati all’interno di quella astrazione geopolitica che viene definita “confine nazionale” e il gioco è fatto: siamo tutti nella stessa barca. Salviamo la NOSTRA nazione si dice quando le cose si mettono male. E si dimentica di precisare che quella nazione non è mai stata NOSTRA ma è sempre stata di QUALCUNO e non di altri, che quel QUALCUNO vi ha prosperato infischiandosene di quegli altri e, anzi, sfruttandoli, raggirandoli, vessandoli, opprimendoli. Perché le chiacchiere sulla patria nazionale sono belle fino a che si fanno le parate ma quando si tratta di andare al sodo e stabilire chi deve fare profitti e come, allora si passa ad argomenti più seri. La nazione, proponendo una comunanza fatta di niente e basata sul niente sembra concepita apposta per chi, da quella comunanza fasulla, ha tutto da guadagnarci e niente da perderci. Annichilisce ogni distinzione che non sia ciò che la rende quel che è e si basa sul quasi nulla costituito da un confine. Ma poiché “distinguere” è l’atto critico costitutivo del giudizio e della comprensione, il concetto di nazione annienta ogni forma di intelligenza critica. Per questo il nazionalista, generalmente, è un cretino e quando non lo è, è, per parafrasare il dottor Johnson, una canaglia. In alcuni casi fortunati può essere ambedue le cose…e se a questo aggiunge quella particolare ferocia che al nazionalismo si sposa quasi sempre diventa facilmente anche un tagliagole. In genere, per comodità e per evitare lo sforzo di pensiero richiesto da una scelta più motivata, si fa il tifo per il posto in cui si è venuti al mondo. Talvolta le etimologie aiutano perfino a sonnecchiare: patria è la terra dei padri e nationes è dove sei nato, non c’è da farla troppo lunga. Se sei nato a San Marino e papà e mamma sono nati in Vaticano sono cazzi tuoi…deve sceglierti una patria succedanea perché il concetto di NAZIONE, al di sotto di certe dimensioni, diventa imbarazzante. Con la spettacolarizzazione e la globalizzazione sembra però che anche il nazionalismo si evolva. Pur essendo nati in una certa nazione ci si può, di volta in volta (in assenza di guerre locali) identificarsi con un’altra bandiera nazionale e parteggiare per essa; come nelle partite di calcio che, ormai, sono diventate il paradigma culturale dominante (curva nord, curva sud, arbitro cornuto, il rigore non c’era ecc) si prende un NAZIONE e si parteggia per quella. E’ ciò che sta succedendo con la guerra in Ucraina. Il tifo impazza e non si capisce perché. O meglio, si capisce benissimo ma si preferisce far finta che si tratti di empiti di generosità verso il debole. Il concetto di patria può dunque, all’occorrenza, venir praticato conto terzi; ma può anche dilatarsi, quasi indefinitamente. Il professor Belpoliti, in un articolo dell’altro ieri su “La Repubblica” propone “di superare l’idea di nazione e di patria in una Europa” e conclude in questo modo: “La patria è dove si sta bene: in Europa”.

Il professor Belpoliti, dunque, in Europa, sta bene.

Posso capirlo.

Ha un ottimo stipendio, ottimi emolumenti, tribune di primo livello dalle quali parlare e scrivere…cosa gli manca?

Ma ciò che il professor Belpoliti trascura è che se l’Europa è la sua patria, perché è il posto dove LUI “sta bene”, non è affatto detto che sia la patria NOSTRA: perché dovrebbe esserlo se non abbiamo né il suo stipendio, né i suoi emolumenti, né i suoi privilegi? Lo trascura pur essendo un notissimo intellettuale di riferimento – o forse proprio per questo. Perché evidentemente preferisce non tener conto della differenza che passa tra lui e gli altri, preferisce dimenticare i privilegi di cui lui, in Europa, gode e gli altri invece no. Così dice NOI esattamente come il nazionalista spicciolo e cretino: solo che al posto dell’italietta mette l’europeuccia perché, essendo appunto intellettuale di riferimento, ci ha nel quadernetto i nomi di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni. E gonfia la rana fino a farla scoppiare. Vorrebbe tanto prendere a sberle la Meloni ma ho l’impressione che si prenda a sberle allo specchio.

Non si tratta affatto “di superare l’idea di nazione e di patria in una Europa” perché in tal modo non si fa che sostituire un confine ad un altro e, dentro quel confine, pescare ancor meglio nel torbido. E bisogna anche che il professor Belpoliti si aggiorni: c’è chi già parla di un OCCIDENTE che va molto oltre l’Europa e non per questo migliora le cose; semmai le peggiora, perché rende planetari conflitti – ideologici e militari – che prima erano “solo” locali.

Non si tratta affatto di ampliare confini, si tratta di abolirli ma soprattutto di abolire, insieme ai confini, i privilegi che fanno dire a chi ne gode che “in Europa si sta bene”.

Il resto è solo sciovinismo travestito con un tutù ecumenico.

E prendersela con “la destra” non serve a nulla se s’immagina che sostituendo la parola vuota “Italia” con la parola vuota “Europa” e appiccicandoci sopra l’etichetta della più stucchevole retorica progressista si stia dicendo qualcosa di “sinistra”.

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