Religione

Una catastrofe morale. Abusi nella Chiesa e bieche strumentalizzazioni

22 Agosto 2018

“A moral catastrophe” questa definizione del cardinal Nicholas DiNardo, arcivescovo di Houston, è forse la migliore finora espressa per descrivere la valanga crescente di scandali che ha travolto la chiesa cattolica (e in particolare quella statunitense) e che ha visto nel corposo dossier del gran giurì di Philadelpia solo l’ultimo – per ora – mostruoso tassello. Le accuse sono pesantissime e le vittime sono bambini, ma anche seminaristi, ragazzine, donne… leggere il dossier è straziante, per il livello di crudeltà, perversione e mistificazione. Pensare che per decenni tutto questo non solo sia avvenuto, ma sia stato coperto dalle gerarchie (implicate anch’esse, come evidente dal caso del Cardinal McCarrick) è una cosa che spezza il cuore di ogni fedele, che mina alla radice la fiducia nel clero e che – per chi è genitore – scatena paure difficili da controllare, portando finanche a tenere i propri figli lontano dalla Chiesa.

È evidente come qualcosa di profondamente marcio si trovi alla radice di queste devianze che non possono più essere considerate minoritarie, come finora abbiamo forse cercato di pensare, ed è qualcosa che richiede una conversione radicale della Chiesa. La lettera del Santo Padre al popolo di Dio del 20 agosto scorso va esattamente in questa direzione: “Con vergogna e pentimento, come comunità ecclesiale, ammettiamo che non abbiamo saputo stare dove dovevamo stare, che non abbiamo agito in tempo riconoscendo la dimensione e la gravità del danno che si stava causando in tante vite. Abbiamo trascurato e abbandonato i piccoli”. È evidente che siamo a un punto di svolta: o la Chiesa avrà il coraggio di cogliere questa occasione per rinnovarsi profondamente, a partire da un esame di coscienza sulla malattia che il Papa ha perfettamente diagnosticato, ovvero il clericalismo, o è condannata all’insignificanza a breve termine.

Le voci più lucide, di qua e di là dell’Oceano indicano come unica strada una riforma sostanziale, con un’ecclesiologia che metta al centro il popolo di Dio e non la gerarchia clericale coinvolgendo i laici e quindi anche le donne, lo stesso dice Papa Francesco nella sua lettera: “E’ impossibile immaginare una conversione dell’agire ecclesiale senza la partecipazione attiva di tutte le componenti del Popolo di Dio. Di più: ogni volta che abbiamo cercato di soppiantare, mettere a tacere, ignorare, ridurre a piccole élites il Popolo di Dio abbiamo costruito comunità, programmi, scelte teologiche, spiritualità e strutture senza radici, senza memoria, senza volto, senza corpo, in definitiva senza vita”.

Questa conversione radicale, questo cambiare strada, è urgente non più rinviabile e non potrà risolversi con interventi delicati, come si poteva pensare fino a qualche tempo fa: riformando la formazione dei seminaristi con l’utilizzo delle scienze umane per selezionarli, accompagnarli e sostenerli; oggi è necessario rimettere in discussione l’idea stessa di ministero ordinato così come si è storicamente sviluppato: ovvero come casta sacerdotale. È evidente che alcuni problemi potrebbero essere risolti eliminando il vincolo del celibato per i sacerdoti, ancor di più ammettendo anche le fedeli donne all’ordinazione, ma anche questi passi (enormi e ancora quasi impensabili per la Chiesa cattolica) probabilmente non sarebbero sufficienti a meno di ridiscutere profondamente quale Chiesa Cristo aveva in mente, a quale genere di ministero si sia riferito quando ha chiamato a sé e poi inviato Pietro, Giacomo, Giovanni, Andrea, la Maddalena e tutti gli apostoli. Se come comunità di discepoli di Gesù non avremo il coraggio di scendere insieme al Pastore che Dio ci ha dato, Francesco, in questa drammatico venerdì santo, non potremo rivedere la Luce di Pasqua.

In questo contesto stride fino a ferire il tentativo di alcuni giornalisti, commentatori, anche teologi tradizionalisti che stanno cercando in questi giorni di stravolgere il problema indicando come colpevole di tante atrocità una famigerata “lobby di preti gay”. In pratica il loro ragionamento è: la Chiesa come istituzione non può essere messa in discussione (pena la perdita di sicurezza e le rendite di posizione) quindi come volgere questa spiacevole crisi a nostro favore? Additando il nemico di sempre: gli omosessuali, che – scoprono – si trovano anche tra i sacerdoti. In questo modo il cerchio si chiude: la santità della Chiesa è ancora immacolata e le persone omosessuali possono continuare ad essere considerate la feccia dell’umanità, mentre nuove schiere di sacerdoti virili vengono invocate per ripristinare l’onore violato.

Questo approccio va oltre la decenza per almeno tre motivi.

1.      Omosessualità e pedofilia non possono essere sovrapposte e, con buona pace di questi commentatori, la maggioranza degli abusati noti finora è nella fascia 11-14 anni, ma ce ne sono anche tra i 6 e i 10 anni e sfido chiunque a dire che non si tratta di bambini.

2.      Sostenere (come apparso nel blog di Costanza Miriano) che le persone con orientamento omosessuale siano “strutturalmente” meno capaci di continenza è un’invenzione che non ha alcun fondamento scientifico e citare l’esperienza (pur dignitosissima) di un sacerdote novantasettenne, come fa Daniel Mattson non è una prova.

3.      Le vittime sono sia maschi che femmine, ovviamente sono più numerosi i maschi per semplici ragioni di accesso: qualunque abusante rivolge le sue attenzioni a chi è per lui più facilmente raggiungibile, a chi è sotto il suo potere, per questo i seminaristi e i bambini sono le prime vittime. Ma l’abuso va oltre il sesso dell’abusato perché alla radice non c’è l’attrazione sessuale, ma l’esercizio del potere che – attraverso il sesso – arriva a dominare le persone proprio nel loro più intimo campo.

Dare spazio a questo genere di interpretazioni è mortalmente offensivo per le persone lgbt ed è svilente per le vittime, perché in questo modo ancora una volta l’istituzione resterebbe al di fuori di ogni sospetto, con l’unica “colpa” di aver accettato in seminario giovani con tendenze omosessuali.

Il tutto avviene – e non a caso – mentre monta il caso della presenza di Padre James Martin SJ, gesuita noto per le sue posizioni attente all’inclusione delle persone lgbt nella comunità ecclesiale, all’incontro internazionale delle famiglie che si sta svolgendo a Dublino proprio in questi giorni. Contro la sua presenza sono state raccolte oltre 10.000 firme, a testimonianza di quanto scomoda sia.

Come credenti non possiamo non ribellarci a questa caccia al capro espiatorio che poi è, guarda caso, sempre il più vulnerabile e nemmeno accontentarci di parole o modifiche minori, no! Dobbiamo credere che questo che viviamo possa essere il Kairos, il tempo opportuno per una riforma profonda nel senso del Vangelo, come afferma la teologa biblica Elisabeth Scüssler Fiorenza  “è la struttura e non solo l’abuso di essa, è il sistema clericale/laicale e non semplicemente il clericalismo a essere in discussione”. È il tempo del coraggio, il tempo nel quale occorre rinunciare alle sicurezze, a un sistema di consuetudini che nei secoli avevano portato a preservare l’istituzione anziché le persone, per rimettere al centro solo la fedeltà al Cristo e al Vangelo.  La Chiesa di Cristo lo può fare, perché noi non siamo discepoli di Superman, siamo discepoli dell’uomo dei dolori e sappiamo che possiamo trovare il Suo volto più in quelle vite oltraggiate e ferite che nei paramenti sacri, in turiboli e acquasantiere. Papa Francesco ha la forza per farlo e noi fedeli dobbiamo avere il coraggio di andargli dietro e anche di stimolarlo, se necessario, l’importante è non restare immobili a leccarsi le ferite, il Vangelo ce lo chiede e – come diceva don Tonino Bello – “davanti al risorto non è lecito stare se non in piedi”!

 

 

 

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