Religione

Triangoli viola

25 Gennaio 2020

Vittime dimenticate. E’ questo l’appellativo con cui vengono spesso evocate alcune categorie di perseguitati del regime nazista.

Anche la legge italiana di istituzione della giornata della memoria parla di “ricordare  la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, sì sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”.

Non si capisce perché non siano stati nominati nello specifico: comunisti, omosessuali, Testimoni di Geova, zingari, asociali, disabili e criminali comuni.

Questa specificazione avrebbe immediatamente conferito la sua specificità all’opera dello sterminio nazista: “Sarà facile notare che tutte queste categorie sono in realtà state oggetto da secoli di discriminazione e di violenza, e che lo sono ancora oggi. Il nazismo sembra non aver inventato proprio nulla, nemmeno gli obiettivi da liquidare; semmai la sua grandezza criminale sta nel non aver operato una parentesi nella razionalità occidentale, ma nell’aver teso al punto di massima torsione le categorie e i pregiudizi che già aveva trovato nella sua strada. La specificità del nazismo, dunque, non la dobbiamo cercare nella definizione delle vittime, ma nella peculiare pedagogia dello sterminio messa in atto dai carnefici, e non soltanto da Hitler, dalla burocrazia statale, dall’apparato del partito, ma anche dalla grande industria, dai professionisti (giudici, medici, avvocati), dalla gente comune, dai governi non tedeschi, dai volontari non tedeschi, sotto gli occhi complici degli spettatori: le nazioni neutrali, le potenze alleate, le organizzazioni ebraiche, la stampa, le organizzazioni umanitarie, le chiese”[1].

Proprio il fatto che sono tutte categorie perseguitate da secoli, “antipatiche” ancora oggi e non in grado di suscitare particolare solidarietà, per alcune di  esse la celebrazione della giornata della memoria, in genere, non le nomina nemmeno.

Tra queste sicuramente i Testimoni di Geova.

Mentre le Chiese assicuravano al Fuhrer il loro appoggio, i Testimoni espressero il loro rifiuto ad un’ideologia razzista e totalizzante come quella nazionalsocialista.

La loro persecuzione da parte del regime nazista iniziò nel 1933 con la confisca dei loro beni, roghi dei loro libri e internamenti nei campi di concentramento. A molti genitori Testimoni fu tolta la potestà dei propri figli. Nella sola Germania circa 500 bambini, furono separati dai loro genitori per essere rinchiusi nei centri di rieducazione o affidati a genitori nazisti.

Da parte del regime fu data una valutazione totalmente negativa della loro lealtà allo stato: si rifiutavano di fare il saluto nazista e soprattutto di prestare servizio militare. Fu organizzata una campagna di resistenza e di protesta. Il 7 ottobre 1934 arrivarono migliaia di telegrammi ad Hitler che ribadì la sua linea: “Questa genia sarà sterminata in Germania”. La loro comunità religiosa contava 25.000 membri. All’incirca 10.000 furono arrestati e ne furono uccisi 2500. All’interno dei campi era applicato alla loro divisa, come distintivo, un triangolo di stoffa viola. L’unico dato da Hitler, ad un gruppo perseguitato per motivi religiosi.

Anche in Italia vi fu una persecuzione fascista dei Testimoni di Geova.

Mussolini li considerava pericolosi per due motivi fondamentali: perché erano il gruppo che si impegnava sistematicamente nell’evangelizzazione pubblica, opera duramente avversata dal Vaticano, e perché, data la loro neutralità politica e militare, avversavano la pretesa del regime sulla vita dei cittadini.

Dal 1925 in poi furono emanate varie circolari per impedire ai testimoni di Geova la divulgazione dei loro scritti. Inermi operai, contadini, massaie, e altri lavoratori trovati in possesso di giornaletti e libri religiosi furono imprigionati o mandati al confino come elementi pericolosi per il regime. Nel 1943, con la caduta del fascismo, i Testimoni condannati dal tribunale Speciale furono scarcerati. Maria Pizzato, una testimone di Geova appena scarcerata contattò Narciso Riet, rimpatriato dalla Germania, che si interessava di tradurre e diffondere gli articoli principali della rivista Torre di Guardia. Le riviste venivano introdotte clandestinamente in Italia. I nazisti, spalleggiati dai fascisti, scoprirono l’abitazione di Riet e lo arrestarono. Fu deportato a Dachau e condannato a morte.

Sebbene avessero la possibilità di scampare agli arresti o alla morte rinnegando la loro fede, pochissimi furono i casi di Testimoni che abiurarono.

Per comprendere qualcosa di questa loro ostinazione vale la pena lasciare la parola a Primo Levi: “Non solo nei momenti cruciali delle selezioni o dei bombardamenti aerei, ma anche nella macina della vita quotidiana, i credenti vivevano meglio: entrambi, Amery ed io, lo abbiamo osservato. Non aveva alcuna importanza  quale fosse il loro credo, religioso o politico. Sacerdoti cattolici o riformati, rabbini delle varie ortodossie, sionisti militanti, marxisti ingenui od evoluti, Testimoni di Geova, erano accomunati dalla forza salvifica della loro fede. Il loro universo era più vasto del nostro, più esteso nello spazio e nel tempo, soprattutto più comprensibile: avevano una chiave ed un punto d’appoggio, un domani millenario per cui poteva avere un senso sacrificarsi, un luogo in cielo o in terra in cui la giustizia e la misericordia avevano vinto o avrebbero vinto in un domani millenario forse lontano ma certo”[2].

[1] Raffaele Mantegazza, L’odore del fumo. Auschwitz e la pedagogia dell’annientamento, Città aperta, p. 50

[2] Levi, Sommersi e salvati, Einaudi, p.118

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