Religione
Tra riforma e tradizione: il concistoro di Papa Francesco
Il concistoro presieduto da Papa Francesco lo scorso 14 febbraio segnerà molto verosimilmente una redistribuzione degli equilibri interni al collegio cardinalizio, con conseguenze importanti per quanto riguarda l’assetto di non poche strutture ecclesiastiche. Senza difatti cadere nella logora interpretazione che vedrebbe il “sacro collegio” preda di una semplicistica dicotomia tra “conservatori” e “progressisti”, non si può tuttavia negare – alla luce delle nuove nomine – una crescente eterogeneità al suo interno.
Un’eterogeneità in primo luogo geografica. Un buon numero di porporati proviene infatti dalle “periferie del Mondo” (chiaramente in armonia con le linee programmatiche dello stesso Bergoglio). E alcuni paesi sono rappresentati storicamente per la prima volta all’interno del concistoro (Tonga, con mons. Soane Patita Paini Mafi; Capo Verde, con mons. Arlindo Gomes Furtado; Myanmar, con mons. Charles Maung Bo). Il peso specifico dell’Europa tende quindi a diminuire, in continuità con una linea già avviata da Ratzinger negli ultimi anni del suo pontificato.
Ma una spiccata eterogeneità interna al collegio si avverte anche sul fronte delle posizioni dottrinarie, soprattutto alla luce del dibattito scaturito alcuni mesi fa dal Sinodo sulla famiglia. Per rendersene conto, è sufficiente analizzare i profili di alcuni dei nuovi porporati. Si pensi per esempio a John Dew (arcivescovo di Wellington), che proprio in occasione del sinodo ha espresso posizioni aperturiste nei confronti dell’eucarestia ai divorziati: posizioni che appaiono in buona sostanza assimilabili alle tesi di Walter Kasper (campione della cosiddetta ala riformista all’interno del sinodo) e di Reinhard Marx (la cui aperta rivalutazione della figura di Lutero ha suscitato non poche discussioni). Posizioni dunque ben distanti da quelle del prefetto Gerhard Ludwig Muller, il quale si è più volte dichiarato fermamente contrario ad ogni possibile mutamento dottrinario, intendendolo come cedimento verso la difesa della verità.
Non è tuttavia soltanto su tesi teologiche divergenti che si manifesta la dialettica in seno al collegio cardinalizio. Vi è anche difatti la questione della riforma curiale e dell’assetto di alcune strutture ecclesiastiche, che rappresenta un po’ il cuore – se vogliamo – di quest’ultimo concistoro. Non è forse un caso che padre Federico Lombardi abbia sottolineato come l’esigenza di riforma della Curia pontificia sia particolarmente avvertita dai cardinali. Un’esigenza di riforma che traspare nella sua concretezza altresì dalle nomine del Papa, dal momento che soltanto un curiale ha stavolta ricevuto la berretta cardinalizia: quel Dominque Mamberti che lo stesso Francesco ha chiamato alcuni mesi or sono alla Segnatura Apostolica come sostituto del cardinal Leo Burke (che i media unanimemente considerano avversario di Bergoglio). Sarà un caso?
Ma la riforma curiale non passa soltanto attraverso avvicendamenti e nomine, tendendo altresì a dirigersi verso i fondamenti stessi dell’apparato organizzativo vaticano. Come d’altronde ha rammentato lo stesso padre Lombardi, l’idea del pontefice è quella di restringere il centralismo decisionale della Curia, richiamandosi ai capisaldi della Dottrina sociale della Chiesa, nella fattispecie al principio di sussidiarietà: valorizzando, cioè, laddove possibile, le chiese locali, che troverebbero espressione poi nelle rispettive conferenze episcopali. Un tema – quello delle conferenze episcopali – che si preannuncia piuttosto caldo soprattutto nella Chiesa italiana: non è difatti improbabile che possa sorgere un articolato dibattito sullo statuto della CEI, dal momento che notoriamente il pontefice è favorevole ad eliminare la nomina papale del suo presidente, per introdurne invece l’elezione da parte degli stessi vescovi.
Secondo diversi analisti (in particolare dalle colonne de “Il Foglio”) le scelte caratterizzanti di questo concistoro dovrebbero essere inquadrate all’interno di una strategia papale di rinnovamento dottrinario ed ecclesiologico in profonda rottura con il passato: una strategia che arriverebbe addirittura a sfiorare accenti di polemica anti-ratzingeriana (in tal senso andrebbe per esempio letta la mancata nomina – per la seconda volta – del Patriarca di Venezia, Francesco Moraglia, a cardinale).
Dall’altra parte, vi sono coloro che mantengono distinte le questioni curiali (per le quali ritengono necessaria una energica riforma) e quelle teologico-dottrinarie (in riferimento a cui non si avvertirebbero cesure sostanziali con il passato ma soltanto un’innovazione nel linguaggio e nella comunicazione).
Se d’altronde è senza dubbio necessario rifiutare dualismi isterici e schematismi astratti, dall’altra parte è forse anche giusto ricordare che in certe questioni la forma è anche sostanza e come tale va letta. Evitando polemiche sterili ma anche comodi infingimenti.
Qui di seguito l’elenco completo dei nuovi cardinali:
https://press.vatican.va/content/salastampa/de/bollettino/pubblico/2015/01/04/0006/00008.html
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