Religione
Ti è caduta una parola… Stiamo nella vita come righe in un racconto
Poiché la funzione del discorso è in certo modo quella di guidare l’anima, chi intenda diventare oratore bisogna che conosca quante specie di anime ci sono.
Socrate nel Fedro di Platone
Ogni giorno gettiamo davanti agli altri le nostre parole. E noi stessi ci ritroviamo continuamente storditi dalle parole che il mondo ci riversa addosso. Consegnare una parola, a volte inutile, a volte romantica, altre volte violenta, è l’azione che accompagna le nostre giornate.
Gettiamo davanti agli altri le nostre parole affinché qualcuno le raccolga, le completi, le comprenda o, semplicemente, le ascolti. Continuamente ci raccontiamo, diciamo qualcosa di noi. Ci esponiamo anche, perché può accadere che nessuno abbia voglia di aprire il libro della nostra vita.
Raccontiamo parabole. Parabola viene infatti dal verbo greco para-ballein, gettare avanti. Noi siamo una parabola, siamo un’esistenza gettata davanti agli altri, un desiderio di essere raccolti e ascoltati.
Parliamo ovvero ci consegniamo, ci gettiamo davanti agli altri, in modi molto diversi: alcuni restano in silenzio, cioè non si consegnano mai; altri parlano per frasi fatte, usano etichette e slogan, usano parole scontate, sono quelli che non si consegnano, ma si impongono, parlano in modo violento; ci sono anche quelli che scelgono con cura le parole, cercano di accontentare gli altri, scelgono le parole che piacciano all’interlocutore, sono quelli che amano il gioco della manipolazione, manipolano e si lasciano manipolare; ci sono quelli che non ascoltano mai, che vivono in un fiume di parole senza argini che sommerge l’interlocutore.
Il nostro modo di parlare esprime sempre un atteggiamento davanti alla vita. Forse per questo anche Gesù racconta come Dio parla ovvero come Dio si consegna all’umanità. Nel seme della parola, Gesù racconta la vita che si dona, l’esistenza che desidera portare frutto. Dio parla a ogni terreno, si consegna in ogni situazione.
Quando ero bambino, ricordo bene che, arrivati a questo punto del Vangelo, la suora ci chiedeva sempre: «e tu, che terreno sei?». Ho trovato sempre inquietante questa domanda. Mi sono sentito giudicato e mi sono sempre trovato inadeguato. Col tempo però ho deciso di leggere diversamente questa parabola. Non credo che quella sia la domanda giusta.
A me sembra che la parola di Gesù sia più consolante e ci dica che qualunque terreno io sia, Dio continua a gettare in me la sua parola. Qualunque tipo di terreno io sia, il Signore continua a consegnarsi nella mia vita. Dio si gioca con me, rischia. Sta in bilico tra la follia e la fiducia, in un modo tale che per me rimane incomprensibile.
Capisco così quell’incontro meraviglioso che nella liturgia eucaristica avviene tra la parola e il pane, come a Emmaus: una parola consegnata e un pane spezzato. La parola e il pane diventano l’una specchio dell’altro.
A differenza di Socrate, Gesù non seleziona l’interlocutore, non analizza l’altro per verificare che sia degno e adatto a ricevere il suo insegnamento. Socrate si rifiuta di scrivere per evitare che la sua parola sia rivolta a chi non la potrebbe comprendere, Gesù getta il seme della parola in ogni terreno, si fida di me a prescindere. A questo punto non so quanto il nostro modo di parlare e di consegnarci sia evangelico o se in fondo non sia proprio Socrate a continuare a vivere in noi.
Anch’io ti consegno questa parola, te la getto davanti. Inevitabilmente mi consegno un po’, mi espongo anche al rischio dell’incomprensione. Certo, è un modo di vivere.
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Testo
Mt 13,1-23
Leggersi dentro
- Come descriveresti il tuo modo di comunicare?
- Cosa provi davanti al gesto di Gesù che getta il seme in qualunque tipo di terreno?
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