Relazioni
“Star sui coglioni a tutti”. 100 anni oggi del prete rinoceronte
«Ironicamente lealtà, disciplina e autosacrificio, cioè alcune delle virtù più apprezzate di un individuo, sono altrettante caratteristiche che rendono possibile l’esistenza di organizzazioni e di meccanismi di distruzione e di sterminio poiché legano gli uomini a degli ignobili sistemi di autorità» (Hanna Harendt)
«Non dobbiamo difenderci dal suo messaggio appassionato, svuotarlo riducendolo a esortazione, ma aprirci al suo contenuto. Siamo facilmente esteriormente attenti ai modi. Quelli di don Milani sono duri, senza equivoci, eccessivi per questo. E’ proprio la loro forza. Don Lorenzo ci ricorda la necessità di scegliere una parte e non tutte, altrimenti non se ne sceglie nessuna» (card. Matteo Zuppi)
Il prossimo 27 maggio saranno 100 anni esatti dal giorno della nascita di don Lorenzo Milani.
Dobbiamo aspettarci ricordi e celebrazioni ovunque.
Sarà forte il rischio che vengano offerti racconti pettinati e zeppi di luoghi comuni che faranno di questo prete la caricatura di un venditore di buone idee e di slogan “a la page”.
Occorre di nuovo tornare a dirlo chiaro: don Milani fu tutt’altro che incline a lisciare il pelo a chiunque gli capitasse a tiro e la ricerca del consenso non lo sfiorò neppure di striscio. Incontrarlo era sperimentare un uomo spigoloso e aggressivo e ben consapevole dei suoi modi.
Un episodio per capire.
Don Lorenzo è stato prete dei poveri ma aiutato da alcune famiglie dell’agiata aristocrazia imprenditoriale di Milano.
Un giorno da una di queste gli fu recapitata una lettera. Gli scriveva Francesca, la moglie di Luciano Ichino, avvocato e padre di Pietro giuslavorista e parlamentare. Gli raccomandava di trattare bene una signora che voleva andare a trovarlo a Barbiana. Era la signora Elena Pirelli Brambilla, figlia dell’industriale Alberto, sorella di Leopoldo e di Giovanni e moglie di Franco Brambilla, amministratore delegato della società Pirelli.
Nella risposta a Luciano Ichino, don Milani mostra di conoscere molto bene circostanze e situazioni e dunque, dopo l’incontro lo rassicura: «La Francesca mi aveva chiesto di non mettere sotto i piedi una fragile creatura. Non è stata necessaria una gran fatica per tenere a freno i miei istinti da rinoceronte: la fragile creatura si è conquistata da sé il diritto alla comprensione umana, alla pietà, all’affetto senza rancore».
Un prete con istinti da rinoceronte.
Ben li conoscevano tutti i curiosi che gli capitavano a tiro e spesso anche uomini di cultura o giornalisti con cui destinava accurati agguati preparati con i suoi ragazzi durante serate di incontro.
Erano scenate costruite ad arte quando sentiva che i suoi ragazzi correvano il rischio di essere ingannati.
Per altro non può essere neppure mitigato il racconto dei suoi propositi di violenza fisica. Li rende espliciti nel libro scritto coi suoi ragazzi LETTERA AD UNA PROFESSORESSA: «Noi per i casi estremi si adopera anche la frusta. Non faccia la schizzinosa e lasci stare le teorie dei pedagogisti. Se vuole la frusta gliela porto io, ma butti giù la penna dal registro. La sua penna lascia il segno per un anno. La frusta il giorno dopo non si conosce più».
Chissà se qualcuno dei tanti che si faranno belli citando anche per questo anniversario il libro manifesto della scuola democratica e inclusiva, avranno il coraggio di ricordare che vi si trovano anche queste parole.
Il punto è che l’aggressività di don Milani era tutt’altro che un semplice tratto caratteriale. Era proprio il deliberato proposito di una pedagogia volta non a contenere l’aggressività dei ragazzi, ma a sollecitarla il più possibile: «Poi c’è la storia della superbia. Sai che ho deciso dopo matura riflessione che l’umiltà è la rovina della classe operaia e peggio ancora contadina e montanara. Gosto senza di me era un pastorello scontroso e umiliato che avrebbe imitato da schiavo le usanze del mondo. Ora è vivace, battagliero, sicuro di sé. Non esce ora dalla scuola, è già diversi anni che è in officina. Aiutalo a non battere la testa, ma non ricacciarlo nell’umiliazione della razza inferiore dei vinti figli di vinti padri di vinti».
Don Milani vuole fare dei suoi ragazzi degli uomini critici, inclini a smascherare luoghi comuni e conformisti, ribelli disobbedienti.
L’obbedienza non è una virtù. Perché per don Milani ciò che consente ai suoi ragazzi di crescere non è la repressione dell’aggressività. Ma l’uscita dalla loro natura gregaria, remissiva e passiva.
Ad un suo amico prete, don Ezio Palombo, spiega così la sua missione: «Ecco dunque l’unica cosa decente che ci resta da fare: stare in alto (cioè in grazia di Dio), mirare in alto (per noi e per gli altri) e sfottere crudelmente non chi è in basso, ma chi mira basso. Rinceffargli ogni giorno la sua vuotezza, la sua miseria, la sua inutilità, la sua incoerenza. Star sui coglioni a tutti come sono stati i profeti innanzi e dopo Cristo. Rendersi antipatici noiosi odiosi insopportabili a tutti quelli che non vogliono aprire gli occhi sulla luce. E splendenti e attraenti solo per quelli che hanno Grazia sufficiente da gustare altri valori che non siano quelli del mondo».
Non c’è che un solo modo per vivere la sua passione per don Milani.
Ed è ciò che chiarisce un piccolo bilancio: «Cosa ve ne fate di quel consenso di simpatia? Cosa volete che resti? Non ha sconvolto i sonni, l’appetito a nessuno. Bisogna far lavorare la grazia. Io al mio popolo gli ho tolto la pace. Non ho seminato che contrasti, discussioni, contrapposti di pensiero».
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