Religione

Se un giorno ti invitano a un incontro di “fede spettacolo”

17 Settembre 2016

“Oh mamma mia Francesca tu sei veramente coraggiosa a venire qui in Irlanda del Nord da sola per un mese a imparare la lingua. Domani ti aspettiamo alla nostra conferenza alle cinque”. “Veramente io sono cattolica romana”. “Non fa niente. Dio è uno solo”.
Già, Dio è uno solo, ma le diverse manifestazioni con cui l’uomo di oggi cerca di esprimere ricerca, vicinanza e magari anche rifiuto sono ormai molteplici. Qualche giorno fa sono capitata in una chiesa presbiteriana a Bangor, piccolo centro a venti minuti da Belfast. Ed ho trascorso un pomeriggio prendendo parte a una conferenza della Global Awakening.

L’esperienza, che è finita con non poca perplessità mi ha fatto capire una cosa in maniera molto chiara: la Chiesa cattolica, tanto bistrattata, disprezzata, da molti abbandonata anche per più che giustificati motivi rimane, rispetto a tante derive di una fede fai da te, un porto sicuro. Al quale è ora di chiedere, proprio ora con la grande occasione di apertura che ci sta offrendo il Papato di Francesco, di avvicinarsi alle persone che hanno dei “sussulti inesprimibili” invece di allontanarle come spesso succede per paura di perdere il poco che in molte strutture parrocchiali e’rimasto. Perché al contrario rischiamo di consegnare gente in buona fede nelle braccia di personaggi come quelli che sto per raccontare.

Il predicatore. Si chiama Paul Martini ed è americano di origine italiana. Sa parlare. E’un giovanotto in camicia che dal pulpito alterna brevi ed efficaci citazioni del Nuovo testamento (il “vecchio” qui e’bandito) con ammiccanti aneddoti sulla sua vita personale. Dice di aver visto il soffio dello Spirito Santo nella sofferenza. Retorica del dolorismo. Retorica a piene mani. La gente, arrivata da tutto il mondo, applaude ride e commenta. Fin qui tutto abbastanza normale.

D’improvviso il rito di rinascita. A un certo punto il predicatore invita tutti ad alzarsi in piedi. Lo faccio anche io. Un altro predicatore inizia a cantare una canzone composta da una sola strofa ripetuta all’infinito. Immaginate Damien Rice tra 40 anni e ve lo vedrete davanti. Tutta la sala alza le mani al cielo e anche qui le cose si mantengono abbastanza nella norma. Ma dopo una decina di minuti di musica sempre più in crescendo con il giovanotto e altri due predicatori che urlano “more Good, more Good! Come on Holy Spirit, Come on Holy Spirit” (più Dio, più Dio, forza Spirito Santo, forza Spirito Santo) la gente comincia a urlare e piangere. Davanti a me una signora cade per terra in preda a convulsioni e il mio primo istinto sarebbe quello di dirle “tutto bene? L’aiuto a rialzarsi” ma nessuno aiuta nessuno anzi i predicatori incitano la folla affinché la maggior parte di loro abbia di queste reazioni”. La lascio per terra e mentre danno una pacchetta sulla testa anche a me, senza ricevere la reazione che si aspettano – ma qui le persone non contano, sono numeri – cerco di trovare la via d’uscita. Devo raggiungerla e andarmene.

A mente fredda. Finalmente, dopo essere passata davanti a gente che si abbracciava e piangeva con l’imbarazzo di chi non c’entra niente, corpi urlanti distesi a terra, segni evidenti di un dolore represso per il quale sono riuscita a tenere una posizione di rispetto, cerco di tirare le conclusioni di quello a cui ho assistito.
Fondamentalmente si tratta di persone sole. Che cercano un conforto. E allora si lasciano abbindolare – perché per entrare alla Conferenza hanno pagato, io sono stata invitata, chiaramente, perché ero quella da convertire – comprano libri Cd ed alimentano il culto personale di protagonisti del pulpito di cui ho la certezza che di loro non gliene importi nulla. Sono dei clienti. Proprio oggi Papa Francesco ha messo  in guardia dal protagonismo dei pastori in un bel discorso.

Però uscendo da qui penso a tutte le cose che non mi sono piaciute nei miei 40 anni di vita da cattolica romana a partire dalla catechista antipatica, zitella e sorella del prete del Paese, che teneva a bada la classe di catechismo dei “reietti”, una classe speciale creata con chi per un motivo o un altro non avrebbe fatto la Prima comunione nell’anno in corso – io venivo dal nord e avevo perso una stagione – Ho pensato a tutte le volte che ho vissuto un momento di buio, agli ultimi anni, alle parrocchie che si fanno troppo da fare perché troppo industrie di servizi e troppo poco luoghi di accoglienza dell’umanità, ho pensato all’abominio degli abusi, da quelli verbali a quelli sessuali.

Ma ho pensato anche alla fede trasmessami da mia madre, ai sacerdoti che co hanno fatto del bene nei momenti più impensabili senza che chiedessimo nulla, all’anniversario di matrimonio celebrato nella piccola e calda chiesetta di Viserbella. Ho pensato a don Guido che pregava per me quando ero malata e mi ha regalato la devozione per Lazzati, a don Franco che mi ha aiutato a non perderla la fede anche quando non pregavo più, a tutte le persone non praticanti che mi hanno regalato bene, confidenze e la possibilità di vedere Dio nelle cose dell’uomo perché si sono sentite capite da me e mi sono detta che ancora vale la pena di credere in una Chiesa migliore. Perché questa roba qui, come molte altre che sono in giro, con Gesù Cristo non c’entra niente.

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