Relazioni
Se ti fa venir il mal di testa, probabilmente non è amore
L’amore è non sapere di cosa si sta parlando.
Lucy van Pelt (Peanuts)
Gli antichi miti greci spesso esprimono, in maniera velata, attraverso la poesia, le paure e i desideri degli uomini.
La dea Atena, per esempio, sarebbe nata già adulta dalla testa di Zeus: chissà se dietro questa immagine non ci sia l’illusione di evitare la fatica di allevare un figlio piccolo. Atena è, infatti, il prodotto della testa di Zeus, delle sue convinzioni, dei suoi ragionamenti. Molte volte i genitori proiettano sui figli le proprie aspettative e li vorrebbero così come li pensano.
Cominciamo così a vedere che spesso l’amore umano nasconde il narcisismo dell’io. Così come Atena è il prodotto della testa di Zeus, così anche noi cerchiamo nell’altro la realizzazione del nostro progetto mentale.
A chiarire meglio le cose, il mito ci dice anche che Atena viene generata nella paura: Zeus aveva infatti giaciuto con Meti, dea della saggezza e della prudenza. La paura dunque divora, simbolicamente, la prudenza. Allarmato, infatti, da una profezia, secondo cui i figli di Meti sarebbero stati superiori a qualunque uomo, Zeus pensa bene di divorare Meti. Anche questa immagine dice molto delle nostre relazioni fusionali: quando nella relazione siamo interessati solo a noi stessi, per paura di perderci arriviamo a divorare l’altro.
Non sopportiamo la competizione e soprattutto non tolleriamo le conseguenze dell’amore. Zeus, come molti uomini, impone a Meti di lasciarsi divorare: la costringe a diventare una goccia (o, secondo altre varianti del mito, una mosca o una cicala) e la ingoia.
In questo mito, generare diventa il modo per liberarsi da un problema: Meti infatti aveva già concepito Atena e, secondo il mito, una volta mangiata da Zeus, comincia a tessere le vesti di Atena e a modellarne l’elmo. Per liberarsi dal suo mal di testa, provocato dai colpi di martello con cui Meti forgiava l’elmo di Atena, Zeus si fa aprire la testa da Esculapio, permettendo ad Atena di venir fuori con le sue sembianze di donna. La generazione di Atena non è quindi voluta, ma accade come una necessità per il benessere del padre.
Questo è l’amore umano, fatto di UNO che cerca se stesso o al più di DUE, cioè di una relazione duale, in cui uno divora l’altro. Per lo più l’amore umano è così. A noi il Vangelo propone un racconto diverso dell’amore, un amore trinitario, l’amore divino, che può essere anche il nostro modo di amare, di amare veramente.
Il Padre e il Figlio sono due persone distinte, così la nostra fede ci insegna. Non si tratta di una relazione fusionale. Il Figlio è generato, non creato, cioè è voluto e amato da sempre, non è un accidente che accade in un momento contingente. Il Figlio è l’eterno desiderio del Padre. Tra il Padre e il Figlio c’è un legame che non si spezza mai, eppure il Figlio è inviato, esce dalla casa del Padre, vive l’esperienza della solitudine e del silenzio, si dona ad altri.
L’amore vero non può mai essere una relazione chiusa, perché diventerebbe un amore incapace di generare. La Genesi ce ne parla attraverso il racconto di Abramo e Sara, chiusi nella loro tenda e isolati nella loro delusione. Proprio loro due saranno visitati da tre viandanti alle querce di Mamre e quei viandanti, tirandoli fuori dalla solitudine della loro tenda, la tenda di un amore fusionale, annunceranno ad Abramo e Sara che anche per loro c’è la possibilità di generare.
Proprio per questo il nostro Dio, che è l’Amore, non può essere né UNO né DUE, ma un Dio in tre persone, un Dio che è amore vero, amore cioè che genera. Lo Spirito è l’amore tra il Padre e il Figlio, l’amore che si dona, che esce dalla relazione e si rende presente, è l’amore che feconda, che non chiude, ma apre continuamente all’altro. Lo Spirito è la relazione tra il Padre e il Figlio che accoglie, che ospita, che non esaurisce.
L’amore o è trinitario o non è. Se il nostro amore non genera, ma produce emicranie, probabilmente non è amore.
Se l’uno divora l’altro fino a farlo scomparire, allora non è amore. Sempre il libro della Genesi ci metteva in guardia davanti a un amore in cui l’altro diventa possesso, ossessione che non fa vedere più nient’altro. È la storia di Abramo, che si fissa talmente tanto sul figlio Isacco al punto da non vedere più nulla. Si dimentica persino di Colui che gli ha donato il figlio. Abramo sarà chiamato a mettere ordine nel suo cuore, ovvero a prendere le distanze dal figlio, affinché la loro relazione non sia più fusionale, ma diventi generativa.
Trinità è dunque il vero nome dell’amore: l’amore che non è né ripiegamento sull’Io né distruzione dell’altro, ma amore che genera. Molto spesso i nostri conti con l’amore evidenziano la nostra incapacità di contare oltre il due!
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