Relazioni

Se stai cercando da dove viene il male inserisci l’indirizzo della tua coscienza

27 Febbraio 2016

Querebam unde malum et non erat exitus

Agostino, Confessioni

Vangelo di Luca, 13, 1-9

Da dove viene il male? È la domanda che ci assilla, soprattutto quando ci sentiamo attaccati ingiustamente, quando la vita ci costringe a stare davanti alla sofferenza, quando siamo vittime della cattiveria umana o quando ci interroghiamo davanti al dolore innocente.

Ma c’è un’esperienza forse ancor più drammatica del male.

È il male che incontriamo dentro di noi, quando scendiamo nei nostri abissi (o sarebbe meglio dire scivoliamo in essi) e la vita ci costringe a guardare i nostri mostri interiori, il male che ci portiamo dentro. È il male oscuro, la perdita di senso, la violenza gratuita contro sé e contro la vita, l’indifferenza, il rifiuto del mondo. Il male prende forme a cui solo noi siamo capaci di dare un nome.

Come le persone che interrogano Gesù in questo testo del Vangelo, così anche noi siamo più propensi a cercare fuori di noi il senso del male, ci avventiamo con violenza contro la degenerazione inspiegabile del mondo, contro la cattiveria umana (Pilato aveva massacrato alcuni Galilei) o contro l’irrazionalità della natura (il crollo di una torre), ma siamo molto più prudenti nel domandarci il senso del male che noi stessi ci portiamo dentro. Eppure è proprio il male che ci abita dentro che ci porta alla morte eterna, al vuoto interiore che non finisce mai.

Gesù parte da questi avvenimenti di morte per parlare di un’altra morte. Non è stato il peccato a causare la tragedia del gruppo di Galilei o delle persone morte nel crollo della torre, ma è il peccato (il male che ci abita) a impedirci di trovare la vita. È questo il male contro cui dobbiamo lottare.

Il male che ci portiamo dentro toglie la vita, ci rende sterili, proprio come il fico piantato nella vigna che non dà più frutti.

Nella Bibbia la vigna è spesso l’immagine di Israele, ma proprio per questo è anche l’immagine di ogni figlio di Dio. In questa vigna, Dio ha piantato un fico, simbolo della Legge donata al popolo di Israele, e dunque a ogni uomo. Ora, questa Legge piantata nel nostro cuore non porta più frutto. La Legge è la Parola che il seminatore ha gettato in noi, ma che noi continuiamo a soffocare: sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero.

Gesù non si stanca di venire a cercare frutti di bene nella nostra vita. I tre anni sono una possibile allusione al suo ministero, così come quell’anno in più che il vignaiolo-Gesù chiede al Padrone della Vigna è l’anno di grazia che Gesù aveva annunciato nella sinagoga di Nazaret (Lc 4,19).

Noi abitiamo in questo dialogo: tra il dono del Padre che ha piantato la vigna e l’azione del Figlio che con pazienza si prende cura dell’albero. Il desiderio di Dio è che la nostra vita possa fiorire. Quando? Non si sa: vedremo se porterà frutti per l’avvenire. Il vignaiolo aveva chiesto un anno, il padrone della vigna concede l’eternità.

 

 

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