Relazioni

Se solo fossi venuto a cercarmi! Si possono guarire le relazioni spezzate?

9 Settembre 2016

L’amore infantile segue il principio: amo perché sono amato.
L’amore maturo segue il principio: sono amato perché amo.
E. Fromm

Da Omero a Cappuccetto rosso, la vita non ha mai smesso di sembrarci un viaggio in cui ci si può perdere.

A volte, in realtà, avremmo solo bisogno di essere cercati. Spaventati e stanchi, ci mettiamo a gridare perché qualcuno ci senta e si accorga, finalmente, che siamo vivi, proprio come quella pecora smarrita di cui parla Gesù. Ma a volte siamo stati semplicemente dimenticati e non possiamo fare altro che aspettare che qualcuno desideri ritrovarci, proprio come quella moneta che non ha colpa e non ha neppure voce.

E ci cono poi relazioni nelle quali ci siamo perduti, perché abbiamo deciso di andarcene o magari, anche se siamo rimasti, avevamo in verità il cuore altrove. Sono quelle relazioni nelle quali solo noi possiamo decidere di ritornare. Proprio come i due figli della parabola. Una parabola, che non a caso non si conclude, ma rimane aperta, come aspettando la nostra decisione.

Forse ce ne siamo andati da una relazione perché ci sentivamo intrappolati. L’amore è esigente, ci scomoda. Come la bambolina di sale che vuole conoscere il mare: imparerà che non è possibile amare ed essere amati senza sciogliersi e senza lasciar andare un po’ di sé. Chi vuole possedere se stesso, chi vive nell’idolatria del proprio io, non accetterà mai di amare.

Il figlio minore non vuole un padre, è il bambino ribelle che abita in ciascuno di noi e che rivendica la propria autonomia. Vive nell’illusione di poter godere dell’amore senza vincolo. È l’uomo contemporaneo che vuole l’affetto senza impegno. Il figlio minore impara a sue spese che il suo bisogno di amare si realizza solo nel vincolo all’altro.

Abbiamo fame di affetto e perciò rischiamo di attaccarci al primo cibo che troviamo: il figlio minore si incollò a un padrone. Come il figlio minore, anche noi talvolta continuiamo a riproporre il nostro schema: il figlio minore pensa infatti che in una relazione ci si possa stare solo da schiavo. Non era il padre a tenerlo schiavo, ma la sua convinzione che si possa amare solo perdendo la libertà. È questa la malattia da cui deve guarire. E da questa malattia si guarisce solo quando si incontra qualcuno che è pronto a celebrare la nostra vita, qualcuno che ci ama non per possederci.

Il Padre ha vissuto nell’attesa di questo incontro: lo vede da lontano, perché da quando è partito non ha mai smesso di cercarlo nei suoi pensieri.

Il padre cura il figlio con la terapia della libertà: lo riveste di nuovo, gli ridà dignità, non indugia nella sua debolezza. Come Dio che riveste Adamo ed Eva dopo il peccato, quasi con uno sguardo pudico che non vuole vedere la nudità dell’altro; gli rimette l’anello al dito, quell’anello che porta il sigillo delle proprietà, quasi come se fosse ancora disposto a essere ingannato, come se volesse rassicurarlo sul fatto che si fida ancora di lui; gli fa indossare i calzari, perché in quella relazione ci deve stare da persona libera, non da schiavo. Ma soprattutto il padre prepara un banchetto per il figlio, celebra la sua vita: sono contento che tu esisti, sono felice che tu sei con me, rendo lodo per la tua vita!

Tornare in una relazione, quando ci si è persi, è addirittura più difficile quando abbiamo solo fatto finta di rimanere. Il figlio maggiore ricorda tanto il bambino adattato che spesso vive dentro di noi. Quando non abbiamo il coraggio di andarcene, cerchiamo un compromesso. Soffriamo silenziosamente, fino a quando giunge l’occasione che tira fuori la verità. Come il fratello maggiore, anche noi siamo rimasti fuori dalla casa: in quella relazione forse non ci siamo mai entrati.

Il figlio maggiore si porta dentro tanta rabbia, talmente tanta da non riuscire più a vedere come stanno veramente le cose: assolutizziamo, facciamo di tutta l’erba un fascio. Forse una volta non ci sarà stato il capretto, ma, nella rabbia, al figlio maggiore sembra che non ci sia mai stato un capretto per lui. Il figlio maggiore ricorda l’adolescente arrabbiato che spesso abita in noi: è l’adolescente che vive solo di confronti, che fa paragoni, che si misura con gli altri. Arrabbiato e depresso, il figlio maggiore che ci abita non riesce a fare festa per l’altro: tutto quello che è dato al fratello sembra che sia tolto a lui.

Anche il figlio maggiore ha bisogno di riconciliazione. Per questo, il Padre esce anche per lui.

Come si costruisce la riconciliazione? Come si curano le relazioni spezzate?

Il Padre non richiama il figlio maggiore al suo senso del dovere, non banalizza la sua rabbia, non ironizza sulla sua mania di confronto. Il padre si mostra vulnerabile: se al figlio minore il padre aveva dato il vestito, l’anello, i calzari e l’agnello, al figlio maggiore dona il proprio cuore! Sì, perché non si può costruire la riconciliazione senza donare all’altro qualcosa di prezioso di sé. La riconciliazione non è né un’idea né solo una parola, la riconciliazione si fa nella carne.

Nessuno può costringerti a tornare. Tornare in una relazione è sempre una decisione da prendere, una decisione tua nella quale nessuno può sostituirti. Ecco perché la parabola si conclude con quella porta aperta, perché tu possa decidere se entrare o rimanere fuori.

*

Testo 

Lc 15,1-32

Leggersi dentro

  • Pecora, moneta, figli…diversi modi di perdersi: ti ritrovi in qualcuna di queste immagini?
  • Ci sono percorsi di riconciliazione da intraprendere o da offrire in questo momento della tua vita?
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