Religione

Il segreto movimento del rimanere. Come resistere alla voglia di fuggire

27 Aprile 2018

«Per distrarsi si perdeva a sognare che, una volta o l’altra, se ne sarebbe andato via; via di nascosto; via per sempre, senza ritornare a casa mai più».
Pirandello, Fuga

Chi di noi non ha sperimentato quello spasimo di fuggire via e lasciare tutto, come il Signor Bareggi, protagonista della novella di Pirandello, che salta sul cavallo del lattaio e inizia quella folle corsa oltre il nomentano fino ad essere sbalzato via dal cavallo col quale aveva finito per identificarsi nella sua folle corsa verso il nulla?

Forse per questo, l’appello così appassionato di Gesù a rimanere, espresso in questo passo del Vangelo, mi fa pensare che già nella prima comunità cristiana fosse cominciata quell’emorragia che porta le persone a desiderare di andarsene via.

Ce ne vogliamo andare quando siamo delusi, quando vediamo che le cose non vanno come ci aspettiamo. Ce ne vogliamo andare quando ci sentiamo esclusi, quando ci sembra di non avere più nulla da dare. Ce ne vogliamo andare quando siamo arrabbiati, quando ci troviamo davanti all’ingiustizia.

Il nostro tempo, come quello di Gesù, sembra offrire molti spunti per non rimanere: la confusione politica, l’arroganza al potere, l’intolleranza nelle relazioni, l’incapacità di chi governa di ascoltare e valorizzare le persone.

È un tempo nel quale lo spirito sembra essersi ritirato dalla terra. Nella mia preghiera, mi ritorna spesso un’immagine: è come se Gesù mi avesse lasciato in mano i ferri del mestiere e si fosse allontanato.

Proprio in questo tempo di Pasqua, anche l’evangelista Luca ci ha presentato questa dinamica di delusione e di fuga: i due discepoli di Emmaus, dopo tre giorni, una volta che si sono resi conto che le cose non sono andate secondo le loro attese, hanno deciso di andarsene.

Davanti alla delusione e alla rabbia, siamo spinti a spezzare le relazioni e senza rendercene conto ci spezziamo. A ben guardare infatti, l’invito di Gesù non è un appello a rimanere passivi là dove siamo, ma a rimanere legati. Talvolta si può rimanere in una situazione, ma isolati. L’amore non è l’ostinazione a non cambiare, ma l’apertura che permette alla linfa di circolare. Il tralcio può anche rimanere apparentemente innestato nella vite, ma senza permettere alla linfa di circolare.

Gesù non ci invita a rimanere in un’ostinazione passiva e testarda, ma ci chiede di rimanere in lui e lasciare che lui rimanga in noi. C’è un passaggio, c’è una vita, c’è una comunicazione. Gesù ci invita a restare in una relazione: «senza di me non potete far nulla». Con una piccola forzatura alla sintassi latina, J. Martain traduceva quest’espressione «senza di me potete fare il nulla». Senza Gesù la nostra vita viene rapita in un vortice di non senso, che poi ci sforziamo inutilmente di riempire.

Certo, la vita passa anche attraverso le potature. Gesù non ci illude, presentandoci una fioritura indolore. Guardando indietro la nostra storia, possiamo riconoscere come i momenti di sofferenza e di dolore ci hanno aiutato a crescere. Oggi viviamo in una cultura che esorcizza le potature, e proprio per questo le giovani generazioni rischiano di non fiorire. Gli adulti, genitori o educatori, hanno paura di tagliare, di accorciare, di sfrondare. La fioritura passa attraverso un tempo di spogliazione, dove la pianta appare nuda e inerme. Ma senza le potature, la pianta si indebolisce. E il rischio è proprio questo: stiamo formando una generazione di uomini e donne fragili, schiacciati dal peso della vita.

Chissà che l’agricoltore, impietosito da questa vigna disastrosa, non si muova per venire a darci una mano!

*

Testo 

Gv 15,1-8

Leggersi dentro

  • Quali sono i motivi che oggi ti spingono alla fuga?
  • In che modo il Signore ti sta potando affinché tu possa portare più frutto?
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