Relazioni
Quello che si aspettano da me. Come smettere di vivere le attese di nostra madre
Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie.
Benedetto XVI
Uno dei classici insegnamenti che le mamme ci consegnano da bambini è pensa a te, bada a te stesso, guardati le tue cose. E così cresciamo con la convinzione che per accontentare la mamma che continuiamo a portare dentro di noi dobbiamo fare di tutto per non distogliere l’attenzione da noi stessi. Di conseguenza lottiamo strenuamente contro la paura che qualcuno ci possa fregare. A volte non perché siamo interessati veramente alla posta in gioco, ma semplicemente per non deludere l’immagine della mamma che si è sedimentata in noi. In ogni situazione, soprattutto nelle situazioni di pericolo, scatta immediatamente il comando interiore: salva te stesso! Pensa prima a te!
Spesso ironizziamo sui sogni delle bambine che fin da piccole immaginano di diventare regine: loro, almeno, hanno il coraggio di confessarlo! Senza dirlo, invece, i maschi si convincono da subito di essere i padroni non solo della propria vita, ma anche di quella degli altri.
È proprio così che diventiamo preda dell’angoscia: non solo siamo ossessionati dalla custodia del nostro io, dalla difesa del nostro privilegio, dalla cura paranoica della nostra immagine, ma ci accorgiamo anche che per quanto ci sforziamo non siamo mai padroni di noi stessi. Persino Freud ci aveva avvertito: non siamo padroni neppure a casa nostra, perché la nostra interiorità è abitata da ospiti che non abbiamo invitato e che spesso prendono decisioni al posto nostro.
La tentazione di salvare me stesso, di pensare prima di tutto a me, percorre tutta la nostra vita e ritorna soprattutto nei momenti in cui siamo più deboli. Non a caso proprio questa tentazione accompagna tutta la vita di Gesù e ritorna nei momenti di debolezza. Questo passo del Vangelo può essere compreso infatti solo alla luce del capitolo quarto di Luca, dove Gesù è spinto dallo Spirito nel deserto per restarvi quaranta giorni.
È l’immagine di un tempo in cui Gesù deve decidere di se stesso. Questo tempo nel deserto è collocato da Luca immediatamente dopo il battesimo, dopo cioè che Gesù ha accettato la missione che il Padre gli affida. Ma prima di iniziare il suo ministero, Gesù deve mettersi davanti a se stesso e decidere che tipo di Messia vuole essere, anche rispetto alle diverse attese presenti in quel tempo intorno alla figura del Messia.
Proprio lì Gesù viene tentato di pensare prima di tutto a se stesso: perché spendere la vita per gli altri? perché rischiare di morire per chi non lo capisce? Potrebbe trasformare le pietre in pane, ha fame, nessuno lo vedrebbe, ne è capace, perché non farlo? Perché non pensare prima alla sua fame e poi a quella degli altri?
Gesù decide invece di non pensare prima a se stesso, mangerà quando mangeranno gli altri, insieme a loro. Ma proprio perché quella tentazione accompagna tutta la nostra vita, il tentatore dice che tornerà al momento opportuno. E il momento opportuno è quando siamo più deboli. Nell’orto degli Ulivi e poi sulla croce, la tentazione di salvarsi ritorna.
Ed è il modo comune di pensare: tutti gli dicono di pensare a lui. Salva te stesso è il buon senso, è quello che tutti si aspettano da te. Il popolo, i capi politici, i soldati sono le fonti del nostro riconoscimento, sono le attese degli altri a cui ci sforziamo di rispondere, credendo di essere liberi, è la mamma che ci portiamo dentro.
E così il mondo che continuiamo a costruire è un mondo di individui che pensano a salvare ciascuno se stesso.
Il messaggio di Gesù terrorizza le mamme e inquieta la mamma che abbiamo interiorizzato in noi: solo chi perde la propria vita…come il chicco di grano che muore per dare vita…come il sale che scompare e la luce che si consuma.
Si diventa Re della propria vita solo quando si è capaci di vincere la paura di morire, si diventa Re solo quando non siamo più schiavi del nostro io, si diventa Re solo quando non dobbiamo per forza salvare prima di tutto noi stessi.
In questo testo del Vangelo Gesù non salva se stesso, ma salva un altro: oggi sarai con me in Paradiso. Solo la cura per un altro ci salva dalla schiavitù del nostro Io e ci fa diventare veramente Re. Gesù è Re in questo atto di misericordia in cui riesce a mettere l’altro prima della preoccupazione per se stesso. L’altro è un mal-fattore: ma chi di noi non lo è? Chi di noi non è colui che fa il male? Ma io sono anche l’altro mal-fattore che talvolta ancora si rifiuta di essere salvato, pensando di potercela fare da solo.
*
Testo
Leggersi dentro
- È ancora vivo quell’invito a pensare prima a te stesso?
- Cosa vuol dire per te essere padrone della tua vita?
Devi fare login per commentare
Accedi