Religione
Putin e il complesso di Giona
“I gay pride sono progettati per dimostrare che il peccato è una delle variabili del comportamento umano. Ciò significa che si vuole imporre con la forza un peccato condannato dalla legge di Dio, e quindi imporre con la forza alle persone la negazione di Dio e della sua verità. […]. Intorno a questo argomento oggi c’è una vera guerra. Stiamo parlando di qualcosa di diverso e molto più importante della politica. Stiamo parlando della salvezza umana, di come finirà l’umanità, da quale parte, a destra o sinistra, di Dio Salvatore che viene nel mondo come Giudice […]. Quanto affermato indica che siamo entrati in una lotta che non ha un senso fisico, ma un significato metafisico”.
Sono le parole di Kirill, patriarca ortodosso di Mosca, pronunciata nella cattedrale la domenica 6 marzo, prima domenica di quaresima.
Il nemico è evocato con chiarezza: l’occidente che impone peccati. Contro di lui va posta una lotta di significato metafisico, non di meno.
Sono parole molto simili ad analoghe pronunciate da cattolici tradizionalisti, evangelical pentecostali e, per paradosso, musulmani estremisti.
Tutti riuniti in quello spazio per cui vale la definizione di “ecumenismo dell’odio”[1].
C’è ancora uno spazio oggi perché le religioni possano essere vettori di pace?
L’immagine di Putin a Pasqua, in chiesa, durante la veglia pasquale con una candela accesa in mano, vale come un’icona potentissima dell’eroe di questa lotta.
E’ il complesso di Giona: la calcificazione totalitaria della divisione del mondo in amici e nemici, buoni e cattivi.
Giona è il profeta inviato da Dio a predicare nella città di Ninive.
C’è un odio profondo e radicato tra Israele e questa città.
Ninive è la capitale di un regno sanguinario e feroce che in un determinato momento della sua storia, sotto il re Tiglat Pileser III (774-727 a.C.) ha coltivato il sogno di costruire un vero e proprio impero universale. Anche il regno del nord di Israele ne fece le spese, conobbe l’amaro pane dell’invasione e della deportazione dei suoi abitanti.
Ebbene proprio a questo popolo, Giona viene inviato da Dio a portare un avviso di distruzione.
Minaccia che sarà revocata perché tutti gli abitanti di Ninive a partire dal re fino a tutti i suoi animali faranno penitenza, digiuno e preghiera.
Il nemico di Israele non è più solo oggetto predestinato di una volontà di morte.
Giona vive tutto il suo disappunto in termini di complesso: depresso fino a chiedere a Dio di morire perché disorientato nel suo ruolo di difensore dell’identità nazionale contro il nemico pagano.
Dio perdona Ninive e varca un confine: quello della distinzione tra “noi” e “voi”, gli eletti e i reietti.
Le statue pietrificate della contrapposizione tra figli e ripudiati sono da Dio distrutte.
E in questo la fede in Dio svela tutto il suo potenziale di riconciliazione.
“Nella sua autonomia il piano religioso costituisce un terreno specifico in cui è possibile un dialogo che non si riduce alla contrapposizione di interessi politici ed economici che si nascondono dietro ogni guerra. Non è cosa da poco. Soprattutto se non si dimentica che la guerra è la degenerazione di un conflitto, di una tensione tra due parti che, ad un certo punto, smettono di parlarsi…Guardando la realtà da un punto di vista diverso –che è quello di Dio- la guerra non ha mai giustificazione. Ed è proprio da quel punto di vista terzo che i conflitti che si nascondo dietro ogni guerra possono essere ricondotti a una portata più gestibile. E’ quando si muovono sul loro proprio piano, che non è puramente storico e di potere, che le religioni possono andare a ritrovare ciò che in tempo di guerra sembra inafferrabile: la pace”[2].
[1] http://www.settimananews.it/informazione-internazionale/i-due-ecumenismi/
[2] Mauro Magatti, Il totalitarismo della guerra, Avvenire 26 aprile 2022
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