Geopolitica

Papa Francesco ai giovani: questa terza guerra mondiale chiama misericordia

29 Luglio 2016

Sono stati giorni difficili, anche dentro la Chiesa, quelli da lunedì scorso in poi. Perché il brutale assassinio di Rouen è come se avesse tracciato un solco. Umanamente inaccettabile il gesto di profanare il sacro spazio della liturgia cattolica con la violenza più bestiale, gesto che in me da cattolico ha provocato un notevole livore. Anzi, appena appresa la notizia di quella barbara uccisione, credo di aver provato le seguenti sensazioni nell’ordine: sdegno, riflessione, compassione per le vittime, odio per gli assassini, voglia di riconciliazione, poi di nuovo odio e poi, alla fine del processo, una muta ma significativa rassegnazione.

Livore che ho riservato in un articolo poi pubblicato su queste pagine web e successivamente da me ritirato, semplicemente perché mi sono reso conto che stavo cedendo alla provocazione: quella di alimentare l’odio con l’odio. Figurarsi che ero arrivato ad avanzare l’ipotesi che i killer di Sant-Etienne-du-Rouvray potessero essere definiti dei ‘mai stati bambini’, perché non è sufficiente descrivere un bambino con una semplice indicazione anagrafica, ma occorrono tutta una serie di condizioni a contorno che lo rendano davvero tale. Condizioni che si dovrebbero generare nel contesto all’interno del quale quel bambino crescerà, continuavo ad annotare. E stavo davvero chiudendo le porte alla speranza.

Nel momento in cui ho deciso di ritirare quel mio pezzo meditato per due giorni, era come se stessero risuonando dentro di me le parole che Papa Francesco stava pronunciando ai ragazzi della Giornata Mondiale della Gioventù in corso, proprio ieri, in quel momento a Cracovia. Stava dicendo: “Quando Gesù tocca il cuore di un giovane, di una giovane, questi sono capaci di azioni veramente grandiose. È stimolante, sentirli condividere i loro sogni, le loro domande e il loro desiderio di opporsi a tutti coloro che dicono che le cose non possono cambiare. Quelli che io chiamo i “quietisti”: “Nulla si può cambiare”. No, i giovani hanno la forza di opporsi a questi!”.

GMG Cracovia

Lo stava dicendo con quell’entusiasmo di una fede giovane che ho sempre ammirato sia in lui che nei suoi due ultimi predecessori. Ed io con quel mio articolo poi auto-censurato forse stavo proprio dicendo “nulla si può cambiare”. Da buon quietista. O meglio, stavo dicendo che se è vero che nella situazione in cui siamo non è possibile proteggere tutti i luoghi dall’esterno, è invece possibile provare a farlo dall’interno. Perché occorre una forte e plateale presa di posizione dell’intera comunità mussulmana nei confronti di Daesh e dei suoi carnefici. Una sollevazione di massa. Occorre reagire.

Il mio era un ragionamento ovviamente lecito. Richiamava anche alla correzione fraterna, categoria valida evangelicamente, ma consigliabile per tutte le comunità religiose, mussulmani compresi. Ma a tutto quel ragionamento, mi sono reso conto che mancava un pezzo. Perché nel frattempo avevo chiuso ermeticamente ciascuna comunità religiosa al suo interno a vigilare sull’operato dei suoi stessi proseliti. Ed ho provato ad immaginare come avrebbe potuto commentare Papa Francesco quella mia impostazione del discorso. Perché definire come ‘mai stati bambini’ i due killer di Padre Jacques era un attacco frontale alla speranza, era togliere valore e vigore alla fanciullezza, era definire irrecuperabile un uomo. Era quanto di peggio di potesse dire. Era chiudere le porte al dialogo. Era mancare di un cuore misericordioso.

E Papa Francesco stava dicendo: “Perché un cuore misericordioso ha il coraggio di lasciare le comodità; un cuore misericordioso sa andare incontro agli altri, riesce ad abbracciare tutti. Un cuore misericordioso sa essere un rifugio per chi non ha mai avuto una casa o l’ha perduta, sa creare un ambiente di casa e di famiglia per chi ha dovuto emigrare, è capace di tenerezza e di compassione. Un cuore misericordioso sa condividere il pane con chi ha fame, un cuore misericordioso si apre per ricevere il profugo e il migrante. Dire misericordia insieme a voi, è dire opportunità, è dire domani, è dire impegno, è dire fiducia, è dire apertura, ospitalità, compassione. E’ dire sogni”.

E continuava così rivolgendosi ai giovani di Cracovia che lo stavano accogliendo: “Ma voi siete capaci di sognare?”. Dentro di me ho pensato che in fondo anche io sono sempre stato capace di sognare. Forse, quando non lo faccio, divento troppo umano e perdo le coordinate di quella grande palestra della fede che si nutre anche dell’entusiasmo delle GMG e delle parole vive di un Papa che ammiro prodondamento. E continuava Papa Francesco: “E quando il cuore è aperto e capace di sognare c’è posto per la misericordia, c’è posto per carezzare quelli che soffrono, c’è posto per mettersi accanto a quelli che non hanno pace nel cuore o mancano del necessario per vivere, o mancano della cosa più bella: la fede”. Ho ascoltato queste parole tirando un grande sospiro. E non ho avuto altro da aggiungere.

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