Religione

Non si può rimanere attaccati per sempre al seno della mamma

1 Agosto 2015

Ci mettiamo a cercare perché siamo affamati. La fame che ci spinge a cercare è la fame di affetto, la fame di conoscenza, la fame di sicurezza. La fame è una mancanza, un bisogno, che a volte ci fa impazzire, a volte ci entusiasma, nella strenua ricerca di trovare cibo. Da bambini siamo stati nutriti, non eravamo capaci di darci la vita da soli. Poi pian piano la vita ci ha obbligati a cavarcela da soli, a decidere da soli come preferivamo rispondere alla nostra fame. È stato l’inizio dell’esperienza della nostra libertà. Per il neonato una delle esperienze più affascinanti è la ricerca di un seno che lo nutra: ci attacchiamo laddove troviamo una risposta alla nostra fame. Ma altrettanto drammatica è l’esperienza del neonato che deve imparare a staccarsi da quel seno. A volte, quando ha fame, il neonato non trova subito il seno della mamma, a volte la mamma sembra scomparsa, a volte sembra non arrivare mai, e il pianto del bambino esprime tutta l’intensità di questo dramma.

In realtà per tutta la vita continuiamo poi a sperimentare questa dinamica fondamentale di attaccamento e di distacco: cerchiamo un seno che ci nutra, ma siamo anche costretti continuamente a staccarci, a sperimentare l’assenza o l’abbandono. E, se ci pensiamo, è un po’ questa l’esperienza della folla del Vangelo che è stata sfamata e che poi si mette a cercare Gesù perché si è accorta, in modo drammatico, della sua assenza. La fame e la paura di essere abbandonati ci accompagnano per tutta la vita, forse per questo a volte insistiamo a rimanere attaccati a seni che non posso più nutrirci: preferiamo diventare frustrati e arrabbiati, piuttosto che avere il coraggio di staccarci.

La folla del Vangelo è come il bambino inquieto che cerca la mamma perché ha fame, ma in questa ricerca c’è tanta ambiguità. Come questa folla, anche noi sperimentiamo un’assenza e ci mettiamo a cercare. Ma è un’assenza inevitabilmente piena di ambiguità, perché non sappiamo neppure noi esattamente cosa cerchiamo, non sappiamo cosa effettivamente possa nutrire la nostra fame. Forse per questo Gesù parte da lì, da questa fame ambigua, senza giudicarla: “Che cercate?”, diceva all’inizio del Vangelo di Giovanni, “di cosa avete fame?”, dice adesso. Gesù sta prendendo sul serio questa domanda fondamentale e antica dell’uomo di ogni tempo. Gesù prova a sciogliere l’ambiguità del cuore umano.

È l’ambiguità con la quale cerchiamo di rispondere goffamente da soli alla nostra fame: è la bulimia del desiderio con la quale proviamo a stordirci senza arrivare mai ad essere sazi, o è l’anoressia del desiderio con la quale continuiamo a punirci nella convinzione di non meritare l’amore. È la vita che ci sfama, fin dall’inizio. Pian piano ce ne dimentichiamo e continuiamo ad illuderci e pretendere di essere noi stessi a nutrirci da soli, in modo autosufficiente. Il mondo ci inganna e ci impone di essere noi stessi a fabbricare il nostro cibo. E invece c’è una vita, che in tutta la sua ricchezza è lì, come una madre, per continuare a nutrirci. Non a caso la folla del Vangelo chiede a Gesù quali opere compiere, cosa fare, e Gesù risponde semplicemente di credere che c’è un Padre che nutre.

 La fame molte volte ci acceca: a volte ci accontentiamo di quello che troviamo pur di sfamarci, a volte non riusciamo a vedere che il pane vero è davanti a noi, proprio come accade alla folla del Vangelo, che è davanti al pane, ma non lo vede…Io sono il pane della vita. Gesù non disprezza la nostra fame, anzi parte proprio da lì, dal nostro desiderio di essere voluti bene, dal nostro bisogno di attaccarci a qualcuno, per aiutarci a scegliere il cibo che riempie veramente il nostro vuoto.

Giovanni 6, 24-35

 

(In copertina, Giorgione, La nuda che allatta)

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