Religione

“Nella setta” ci sono 4 milioni di italiani: il libro di Gazzanni e Piccinni

11 Dicembre 2018

L’inchiesta “Nella Setta” firmata da Flavia Piccinni e Carmine Gazzanni, ed edito da Fandango, indaga quel mondo oscuro che ruota intorno all’occulto italiano e si muove fra potere, politica e business. Un mondo che coinvolge quattro milioni di italiani, e che gode della mancanza del reato di manipolazione mentale. Per raccontarlo, Flavia Piccinni e Carmine Gazzanni hanno viaggiato lungo tutta l’Italia. Si sono infiltrati in alcune comunità, hanno incontrato adepti ed ex membri, parlato con esperti e indagato i gangli politici ed economici che rendono queste organizzazioni così potenti e aggressive. Dal libro, presentato qualche giorno fa alla Camera dei Deputati, emerge un quadro sconvolgente e inaspettato, che attraverso documenti inediti e ricerche investigative puntuali mostra tutti gli abusi a cui gli adepti sono sottoposti. Esattamente come nel caso dell’Archeosofia – organizzazione mai raccontata prima – rispetto alla quale la Squadra Anti-Sette della Polizia di Stato, partendo dal libro, ha aperto un’inchiesta.

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Lucia, Milena e Virginia fanno parte di un’organizzazione mai balzata all’onore della cronaca che ha la sua sede principale in Toscana, a Pistoia, ma lambisce tutta Italia.

Incontriamo Lucia per la prima volta in un fast food di domenica e, mentre famiglie numerose consumano pasti ipercalorici, inizia a raccontarci. “Mi ero da poco trasferita e non avevo amici. Un giorno ho visto una locandina che proponeva un incontro, in centro, e così sono andata. Poi ho preso parte a una seconda, a una terza, a una quarta conferenza. I temi erano i più disparati, ma tutti tenuti insieme da un interesse spirituale. Ho cominciato a leggere il materiale informativo, e a stringere amicizia con gli organizzatori.

Tutto era straordinariamente semplice, loro sembravano lì per accogliermi.” Lucia continua a seguire le attività, le viene domandato di associarsi e decide di farlo. Poi, un giorno, le viene chiesto se non fosse, forse, interessata a sapere qualcosa di più. “Fu un’emozione bellissima. Mi sentii vista. Mi sentii scelta. Mi pareva che, finalmente, qualcuno avesse capito il mio valore.” A Lucia viene vagamente presentata la possibilità di diventare un punto di riferimento in loco. Lei però non ci fa molto caso, presa com’è da quel miraggio che va a battesimo come iniziazione. Davanti, le si è spalancato un mondo segreto. Tutto ruota – o, meglio, ruotava – intorno alla controversa gura di Tommaso Palamidessi, “un esoterista eclettico capace di attingere da numerose discipline occulte per farne una sintesi originale sotto il segno del cristianesimo”. Nella sua vita Palamidessi è “astrologo, medium, teosofo, direttore di una scuola di yoga, nonché fondatore di un ordine iniziatico nella Torino degli anni Quaranta”.

Nel 1953 si trasferisce a Roma, dove nel 1968 fonda l’Archeosofia, che nella presentazione vergata dallo stesso Palamidessi viene definita “una scuola esoterica”. Alla sua morte, a occuparsi dell’Archeosofia a è il discepolo Alessandro Benassai. Un uomo che ama la musica e comparire in pubblico, meno negli statuti di aziende e associazioni. Nato a Firenze nel 1940, vive a Pistoia. Oltre che ne studioso, è presidente dell’Accademia di Musica Sacra e Direttore del Coro Santa Cecilia. Un genio autodidatta, lo definiscono i suoi, ma soprattutto un genio poliedrico che si esercita nella creazione di quadri, di gioielli, nonché nell’organizzare mostre, eventi e naturalmente conferenze. Con Benassai, l’Archeosofia prospera in tutta Italia: sedi dell’organizzazione – tutte molto attive – si ritrovano da Roma a La Spezia, arrivando fino in Germania.

“Avevo incontrato alcune volte Benassai – prosegue Lucia –, ma adesso tutto prendeva una nuova luce. Le regole che precedevano l’iniziazione erano ferree: dovevo essere sempre pronta a partire, e ad assentarmi per tre giorni, senza dire niente a nessuno. Neanche a mio marito. Dovevo portare 1200 euro in contanti. E soprattutto dovevo studiare.” Tutto va in scena durante il 21 giugno, il solstizio d’estate. “Mi chiamarono il giorno prima, e mi vennero a prendere in macchina. C’erano altre quindici persone, non ci fecero vedere dove stavamo andando, e poi una volta arrivati ci ritrovammo in una casa di campagna. Consegnai i soldi, in una busta chiusa.” Soltanto dopo molto tempo Lucia scoprirà – come ci confermano anche Milena e Virginia – che in realtà quello non era un punto d’arrivo, ma di partenza. “Viene ben nascosto che gli stadi sono dodici, in un crescendo di responsabilità e di scoperte. Lo omettono perché, ogni volta, bisogna portare tanti soldi. In contanti. Soldi di cui, naturalmente, nessuno ti fa la ricevuta.

Esattamente come avviene per le spese mensili: per anni ho pagato 60 euro per l’associazione all’Archeosofia e 50 euro destinati al sostentamento del guru.” Medesima cifra, e medesimo trattamento, per le già citate Milena e Virginia che non solo ci confermano la tariffa fissa destinata a Benassai, ma ci aiutano a fare un conto: considerati circa 500 adepti dell’Archeosofia – unico ordine di questo tipo che accoglie anche le donne –, ogni mese il guru percepisce a nero 25mila euro, 300mila euro l’anno cui si vanno ad aggiungere le vendite dei quadri, i compensi dei concerti, dei seminari, degli eventi. E poi, ancora, la vendita dei quaderni di Palamidessi e tutto l’armamentario richiesto per le cerimonie, dal mantello ai guanti. Domandiamo se non ci sia forse un modo per dimostrare queste elargizioni o per attestare che fossero realmente destinate a Benassai. “No. Venivano raccolte e consegnate al tesoriere, mentre le quote soci si versavano sui conti intestati ai capi-sede che gestivano in tutto e per tutto (dall’affitto alle utenze) gli spazi locati con contratti a loro nome.” Dunque, non ci sono prove: è la parola di queste donne contro Benassai. Ma torniamo all’iniziazione.

“I riti – continua Lucia – si svolgono in un luogo segreto. Per la preparazione preliminare è previsto un ritiro ascetico dove si è sottoposti a lunghe ore di meditazione, semidigiuno e pochissime ore di sonno. Nessuno dei neofiti conosce nulla di ciò che potrà accadere. In realtà, ma questo l’ho scoperto dopo, i rituali sono pressoché copiati da quelli della massoneria. Si viene legati e incappucciati e spintonati in un tempio. Dentro, per essere accolti, si è sottoposti a una sorta di interrogatorio, sempre bendati e legati. La prima volta, mi sono sentita disorientata. Si viene obbligati a leggere un testo mai visto prima. E ci si impegna solennemente a rispettarlo.” Lucia si ferma, ci guarda: “Dimmi se non è manipolato uno che subisce cose del genere!”, esclama.

“Dopo aver pronunciato il giuramento – prosegue – si è parte dell’ordine e inizia la vera prigionia. Al primo grado di iniziazione scopri che ne seguono altri e che dovrai ancora studiare, fare ascesi, purificarti e privarti della tua vita e poi pagare di nuovo 1200 euro. E di nuovo 1200 euro. E di nuovo 1200 euro. Sempre in contanti.” I riti – ci spiegano le tre adepte – sono simili, anche se le richieste si fanno più stringenti man mano che si sale di grado. Da Milena, che è arrivata al sesto grado, scopriamo che: “La regola era non parlare mai di quello che accadeva e non rivelare agli altri i segreti che si erano appresi nel proprio grado. Era una forma di segretezza nella segretezza”.

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