Costume
Natale, oggi: mentre tutti si dicono “spirituali”, e (quasi) nessuno cristiano
Ne scriveva Claude Lévi-Strauss in un sapido libretto, “Babbo Natale giustiziato”. Nel Natale del 1951 in Francia esplose la polemica. Sia la Chiesa cattolica sia quella protestante si indignarono per il successo commerciale e culturale di un bizzarro personaggio giunto da Oltreoceano: Babbo Natale. «Veniva denunciata – scriveva il grande antropologo – una ‘paganizzazione’ inquietante della festa della Natività, che deviava lo spirito collettivo dal significato propriamente cristiano di tale celebrazione». La polemica divampava. E il 23 dicembre, sul sagrato della Cattedrale di Digione, un fantoccio di Babbo Natale venne addirittura bruciato, in quanto usurpatore ed eretico; il comunicato diramato dopo il rogo parlava di “olocausto” e sentenziava: «Per noi cristiani la festa del Natale deve rimanere la ricorrenza che celebra la nascita del Salvatore».
Sono trascorsi oltre sessant’anni dal rogo di Babbo Natale in terra di Borgogna, ma il Natale resta campo di battaglie politiche e culturali. A cominciare dalla solita querelle sull’opportunità del presepe a scuola. Per milioni di cattolici italiani, la Natività continua a essere una festività fondamentale. Ma che festa è diventata?
A Ferrara come a Trento, a Roma come a Brescia, sui cattolici di ogni orientamento ed età l’assedio materialista si fa sentire. Tutti concordano su una cosa: il Natale di oggi è troppo consumista, troppo incentrato sulla corsa ai regali, troppo pieno di abbuffate. In alcuni dei loro discorsi sembrano addirittura echeggiare le critiche di gruppi (anche cristiani, come i mennoniti del Canada) che reclamano un Buy Nothing Christmas (BND): un Natale senza acquisti. Un bel paradosso, in un’epoca di shopping forzato, specie a dicembre.
«La festa del Natale è sempre stata una testimone dei tempi», spiega Umberto Mazzone, professore di Storia del Cristianesimo e delle Chiese presso l’Università di Bologna. «Essa ha influenzato i comportamenti sociali e ne è stata influenzata». Se nella tarda antichità il Natale serviva «a combattere le eresie cristologiche (esprimendo che Cristo è vero Dio e vero Uomo) e a mutare segno a tradizioni pagane molto radicate, quali i Saturnalia e il Sol Invictus», nel XVIII secolo lo sviluppo dell’arte del presepe «scatenò, in città come Genova e Napoli, una vera e propria competizione fra famiglie su chi possedeva il presepe più bello e sfarzoso: i nobili impegnavano per l’allestimento intere camere delle loro case e facevano abbigliare le statue con tessuti pregiati e gioielli autentici». Per Mazzone, in ogni caso, «la festa del Natale si è da tempo profondamente modificata. Oramai emerge ben poco di spirituale e di sacro in questo tempo dell’anno. Una mutazione che ha colpito meno la Pasqua, ma che per il Natale è stata fortissima. Si è perso il tempo dell’attesa, dell’avvento. È svanita tutta la preparazione all’accogliere Dio che si fa uomo».
La secolarizzazione e il disincanto hanno impoverito anche il tempo natalizio, evidenzia Luigi Berzano, sacerdote e ordinario di Sociologia in pensione dell’Università di Torino: «Direi che il Natale è, anche per molti che lo celebrano, una festa orfana. Orfana perché non nasce più dai racconti e dalle esperienze che l’hanno formata in passato. Direi un Natale senza Dio». Berzano però non vuole “squalificare” il Natale dei non-credenti. «Il Natale è ormai di tutti, quasi un archetipo dei popoli. Quando porta bontà, serenità, rapporti più benevoli, voglia di più vita, è sempre lo stesso Natale».
Natale che i cattolici declinano comunque in modi diversi. C’è il Natale di silenzio, preghiera e riflessione di suore e monaci. Una suora che ha chiesto l’anonimato racconta: «Il nostro sarà un Natale di silenzio. Vede, con il nostro silenzio vogliamo mandare un messaggio sul fatto che in una società come la nostra ciò che conta non sono le parole, spesso vuote, ma il silenzio. E pertanto vogliamo lanciare un appello al silenzio, alla profondità della vita, e del pensiero: prima di tutto umano e poi religioso».
E poi c’è il Natale classico di milioni di cattolici. Che si esplicita, dice Rita Bichi, ordinaria di Sociologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, «in pratiche come la partecipazione ai riti dell’Avvento, fino alla messa di mezzanotte o a quella del giorno di Natale. C’è la preparazione del presepe, pratica tradizionale realizzata abbastanza di frequente, e dell’albero di Natale, che pure non è una pratica legata alla religione…»
Si stima che circa un terzo della popolazione italiana si rechi a messa a Natale (e a Pasqua): una percentuale doppia rispetto a quella dei praticanti nel resto dell’anno. Certo, le domeniche dell’Avvento non riscuotono lo stesso successo. Osserva monsignor Marino Poggi, direttore della Caritas diocesana di Genova: «Se vedo una maggior affluenza nel periodo natalizio? Non tanto. A Natale forse ancora, ma non durante le settimane dell’avvento. Purtroppo l’attesa del Signore è stata messa molto in ombra da altre idee: l’idea della prosperità, del comprare, del vedere le luci. È proprio un’altra mentalità». Per Bichi, che è anche membro del consiglio scientifico dell’Osservatorio giovani dell’Istituto Toniolo, «le cifre ci dicono che la frequenza ai riti è molto diminuita, la religiosità ha un posto molto poco importante per le persone in generale, e per i giovani in particolare».
Ma se in chiesa ci va sempre meno gente, la sete di spiritualità invece cresce. Ed è senz’altro un segno dei tempi che navigando nel web ci si possa imbattere in consigli yoga per un Natale di gioia, o in esperienze di mindfulness natalizie: un sincretismo che lambisce pure i credenti. È la post-secolarizzazione che avanza. Nota Massimo Introvigne, sociologo e direttore del Centro Studi sulle Nuove Religioni: «La maggioranza degli italiani si dichiara “spirituale”, ma non è in contatto regolare (e per una buona metà della popolazione neppure occasionale) con alcuna religione». I sociologi inglesi, continua, «chiamano il fenomeno SBNR, spiritual but not religious, spirituale ma non religioso. Ma cosa significhi “spirituale” per ognuno non è facile da determinare».
Ci sono poi i cattolici che vivono il Natale come un’opportunità per «riscoprire Dio in una veste diversa. Per capire cosa significa veramente un Dio fatto di carne e sangue». Racconta Maura Fabbri, responsabile del centro di ascolto della Caritas di Bologna: «Da tre anni con una mia collega conduciamo uno spazio di ascolto che abbiamo chiamato “Il tè delle tre” perché lo facciamo nel pomeriggio con un tè e una ciambella, rigorosamente fatta in casa. A questi incontri possono partecipare tutti: uomini, donne, cattolici e non, italiani e non, senza fissa dimora o in difficoltà economiche; tutti, è un gruppo di confronto». L’anno scorso, a inizio dicembre, uno di questi “tè delle tre” è stato dedicato proprio al Natale: «Abbiamo potuto parlare di Natali diversi. C’è chi ci ha detto: il Natale era Natale finché avevo una famiglia, adesso che vivo per strada e non ho più la famiglia e il Natale è un giorno brutto».
Fabbri racconta poi della signora marocchina, incinta di otto mesi e con due figlie piccole, che si ritrova per strada nei giorni di Natale. E la vicenda dell’italiana con problemi di salute mentale rimasta incinta senza essere sposata: allontanata dalla famiglia, finisce per strada e partorisce proprio alla fine del 2017. «Quando il bambino è nato lei lo ha baciato e lo ha lasciato in ospedale, perché altrimenti avrebbe dovuto portarlo a dormire sotto un ponte con lei. Il bambino è stato dato in adozione».
Il Natale può essere «l’occasione per ascoltare delle storie che hanno molto in comune con quella della famiglia di Gesù». E questo, secondo Fabbri, è un grandissimo privilegio.
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Immagine in copertina: Pixabay
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