Religione

Nascondersi o uscire? Il dilemma dell’uomo fragile

8 Giugno 2018

«Se Dio ha creato tutte le cose, da dove viene il male?»
Agostino

Quando ci sentiamo inadeguati, fragili o in colpa, andiamo subito a cercare qualcosa dietro cui nasconderci. Ci vergogniamo della nostra nudità. Non vogliamo essere visti. È una sensazione ricorrente nella nostra vita, una sensazione con la quale tutti dobbiamo fare i conti.

Siamo tutti come l’uomo di Magritte, che si nasconde dietro una mela, nel suo famoso dipinto intitolato “Il Figlio dell’Uomo” (1964). L’intenzione di Magritte era quella di dipingere un suo autoritratto, un autoritratto però mai concluso per sopraggiunti problemi di coscienza, come egli stesso dirà.

Magritte non riesce a vedersi. Non riesce a stare di fronte alla sua immagine. È quella sensazione di profonda inadeguatezza che di tanto in tanto ci accompagna. Forse non a caso, Magritte si è ritratto con un vestito molto formale, con la cravatta e la bombetta in testa, mentre si trova accanto al mare. Un abito fuori luogo, come la sensazione che a volte ci attraversa, la sensazione di essere sempre nel posto sbagliato.

E anche sul corpo di quest’uomo anonimo ci sono i segni dell’imperfezione: un bottone della giacca non terminato o il gomito sinistro inadatto nel contesto dell’intera figura. Proprio il volto, che rivela l’identità di ciascuno, è coperto poi da una mela. Mi sembra di rivedere anche l’uomo di oggi che sprofonda la propria faccia dentro uno schermo nel tentativo di scomparire senza mostrare la propria inadeguatezza. Quando non sappiamo stare con noi stessi, ci nascondiamo dietro l’alibi di un cellulare.

Questo figlio dell’uomo, con il volto nascosto da una mela, ci rimanda all’inizio del libro della Genesi, anche lì c’era infatti un uomo che si nascondeva perché si vergognava: Adamo si nasconde perché si vergogna di essere nudo. Ci sentiamo nudi quando ci sentiamo spogliati della nostra dignità. Quando siamo nudi, ci sembra di essere indifesi. Il vestito è una sorta di protezione, una corazza. Non possiamo mai liberarci dai nostri limiti e dalla nostra debolezza. Continuiamo a indossare ruoli, che ci danno l’illusione di nascondere per un po’ il peso della fragilità.

Ma quando incontriamo la nostra debolezza, come Adamo, ci chiudiamo in un angolo, spezziamo le relazioni, ci isoliamo, e ci lamentiamo per la sventura che ci è piombata addosso. Adamo è un uomo ripiegato su di sé, incapace di prendersi le sue responsabilità. Accusa gli altri: accusa la donna, ma in fondo accusa Dio, perché è stato Lui a mettergliela accanto. Cerchiamo sempre un capro espiatorio, qualcuno a cui attribuire la colpa della nostra nudità.

Se lo sguardo dell’uomo fosse rimasto su Dio, se avesse continuato a contemplare i doni ricevuti, se avesse continuato a ricordarsi di non essere l’origine di se stesso, di essere creatura amata da qualcuno, allora non avrebbe dato occasione alla fragilità di piombargli addosso come un macigno.

Adamo si ritira in un angolo a piangere sulla sua vergogna, ma Dio non rimane indifferente. Dio esce da sé e gli va incontro. È il primo gesto di tenerezza di Dio: il suo cuore non rimane indifferente. Dio confeziona per l’uomo tuniche di pelle, il vestito che lo copre e gli ridona dignità nonostante il peccato, l’abito che non lo lascerà indifeso sulla strada faticosa della vita umana.

Come Magritte dipinge un figlio dell’uomo che si copre, Batoni dipinge, nel Sacro cuore, il Figlio dell’uomo che è completamente proteso verso chi lo guarda al punto da donargli il cuore. Gesù è il contrario di Adamo perché si espone completamente, senza trattenere nulla per sé. Forse possiamo intendere così l’espressione del Vangelo: «dicevano, infatti, è fuori di sé». Sì, Gesù è completamente fuori dal suo Io, pienamente donato a chi gli sta davanti e gli chiede un po’ d’amore.

Ed è così che Gesù ci insegna l’amore: spostare quello sguardo che troppo spesso teniamo puntato sulla nostra nudità. Lasciamoci guardare da lui nella nostra debolezza piuttosto che fissarci noi stessi sulla nostra fragilità! Amare è consegnarsi senza dare troppo peso alle proprie ferite.

Chi si mette davanti al quadro del Sacro cuore del Batoni, alla fine si domanderà: ma di chi è quel cuore che Gesù ha tra le mani? È di Gesù? Certo, ma forse c’è un cammino da fare, fino a quando quel cuore tra le mani del Signore diventerà il cuore nostro pienamente consegnato a lui. È il cammino che abbiamo davanti, perché l’amore è essere fuori di sé, avere un cuore pienamente consegnato.

Sia l’inizio della Genesi che le parole di Gesù in questo passo del Vangelo ci aiutano a riconoscere il segno per eccellenza dell’amore: quando Adamo si preoccupa solo di se stesso, le relazioni di spezzano, quando il Nemico opera nella nostra vita, dice Gesù, suscita divisione. L’amore crea comunione, il male genera separazione. Quando ci accorgiamo che la strada che stiamo percorrendo è quella del conflitto, dell’accusa, della contrapposizione, allora sarà il segno che lì non c’è amore. La divisione è il segno di un cuore chiuso in se stesso.

Se abbiamo il volto coperto per la vergogna o il cuore chiuso per il rancore, lasciamoci avvolgere dall’abito di tenerezza che Dio ci ha preparato, lasciamoci sconvolgere dal cuore di Cristo strappato da sé e consegnato a noi.

*

Testo

Gen 3,9-15; Mc 3,20-35

Leggersi dentro

  • Stai cercando anche tu qualcosa dietro cui nasconderti?
  • Ti senti più ripiegato su di te o più attento agli altri?

 

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