Religione
Maria, io esco! Vado a buttare via il copione dell’infelicità
L’uomo civile
ha barattato una parte della sua possibilità di felicità
per un po’ di sicurezza.
S. Freud
«Io sono carico di dolore perché mi manca un confidente», non è l’intervento struggente dell’ennesimo giovane disperato di un programma di Maria De Filippi, ma la confessione di un’anima, poco prima del suicidio, contenuta in un antico papiro egizio (Berlino 7024).
Il dolore ce lo portiamo dentro e a volte perdiamo pure la segreta speranza di trovare qualcuno con cui condividerlo. «A chi parlerò oggi?», si chiedeva quell’anima, e forse, come ha scritto Galimberti, l’infelicità comincia proprio nei paraggi di quei deserti dove non si trova risposta a questa domanda.
A volte per cercare la felicità andiamo lontano, pensiamo che la soluzione sia partire, abbandonare, tagliare, come il protagonista del film Into the wild, il quale si accorge però, alla fine, che «la felicità è reale solo se condivisa».
Siamo lacerati dentro, in questo conflitto tra la testa e il cuore. Non riusciamo a capire cosa sentiamo o, tante volte, non capiamo cosa farcene di quello che sentiamo.
Possiamo fingere quanto vogliamo, ma il vero problema della vita rimane questo: vogliamo essere felici. Siamo depressi e spenti perché abbiamo smesso di credere di poter essere felici.
È strano che la gente di oggi, e soprattutto i giovani, che vivono in maniera così tormentata questa ricerca della felicità, non si siano accorti che la prima parola di Gesù, il suo primo discorso, la prima lezione del suo corso Vi ho chiamato amici – la De Filippi deve aver copiato da qui anche il titolo del suo programma -, riguarda proprio la felicità! E non ne parla con pesanti teorie filosofiche astratte, ma canta la felicità in una maniera molto pop, con una serie di ripetizioni, come il ritornello di una canzone, facile da memorizzare.
Certo, noi, come Maria De Filippi, siamo acuti studiosi di Aristotele e per questo rimaniamo sconvolti dal linguaggio e dalle immagini di Gesù. Come per Aristotele, anche noi abbiamo un’idea teleo-logica della felicità. No, Maria, non vuol dire che la felicità va messa in scena in tele-visione…vuol dire che la felicità, per Aristotele e in genere anche per noi, è un fine da raggiungere, una meta a volte lontana, un obiettivo che sembra irraggiungibile. E perciò, cara Maria, i tuoi ragazzi diventano spesso frustrati e depressi, perché tu metti davanti a loro una tele-camera che non saranno mai capaci di raggiungere e la cercheranno per tutta la vita, condannandosi all’infelicità.
Ecco, vedi, Gesù non usa la parola con cui Aristotele parla della felicità. Te ne sarai accorta, immagino. Gesù non usa la parola eudaimonia, ma usa l’aggettivo makarios, sì, proprio come l’attore di cabaret di quand’eri piccola. Per Gesù infatti noi siamo già felici, adesso. Quando ti accorgi di essere amato, sei già felice: certo arriveranno anche segni che confermeranno quell’amore, ma non ne hai bisogno continuamente. Beati quelli che…è il presente della fiducia. Poi verrà il futuro della storia che mostrerà che avevi ragione a fidarti e a essere felice.
Come ti dicevo, Gesù racconta la felicità con questa specie di canzone che sembra avere due strofe: nella prima ci sono quattro situazioni in cui possiamo riconoscere che siamo felici. Tieniti forte, Maria!
Siamo felici quando non abbiamo nessuna sicurezza, come i poveri di Javhè, gli anawim, quelli che avevano Dio come loro unica ricchezza.
Siamo felici quando riconosciamo di aver bisogno di essere consolati e non facciamo finta di essere sempre tutti d’un pezzo, quando non ci costruiamo noi le nostre consolazioni, ma abbiamo l’umiltà di lasciarci asciugare il volto.
Siamo felici quando deponiamo le armi dell’arroganza e quando non pretendiamo di avere sempre ragione.
Siamo felici quando abbiamo fame e sete di giustizia, quando cioè non copriamo la verità per il nostro interesse.
Ecco, vedi, bisogna riconoscere che non abbiamo tutto per essere felici. Quando siamo pieni, saturi, quando ci crediamo arrivati e superiori agli altri, allora abbiamo scritto il copione della nostra infelicità!
Ma poi c’è la seconda strofa, perché Gesù è convinto che la felicità non sia mai un affare personale e solitario.
Siamo felici quando ci prendiamo cura degli altri, quando li guardiamo con misericordia, pensando a tutte le volte che Dio ha avuto misericordia di noi, quando guardiamo gli altri con uno sguardo puro, onesto, quando cerchiamo di vedere gli altri per quello che sono veramente e non attraverso la lente delle nostre attese o dei nostri pregiudizi. Siamo felici quando costruiamo la giustizia, quando cioè non restiamo semplicemente a fare teorie e discorsi, ma quando ci rimbocchiamo le maniche per rimettere le cose al posto giusto. Siamo felici quando accettiamo le umiliazioni, quando siamo disposti a non ricevere quel riconoscimento a cui avremmo diritto.
Sei svenuta, cara Maria?
Non preoccuparti, Dio ci tiene in braccio. Vedi, in queste otto beatitudini, all’inizio e alla fine, Gesù parla del Regno dei cieli, è una metonimia: sai cos’è? È una figura retorica, non quella dei tuoi programmi, ma una modo per parlare di qualcuno usando il luogo in cui abita. Regno dei cieli sta al posto di Dio. Dio ci circonda: quando siamo in queste otto situazioni, e in tutte quelle simili, siamo in Dio, lui ci avvolge.
Ora puoi fare un piccolo esercizio: prova a vedere come reagisci quando sei nelle situazioni che Gesù considera come il luogo della felicità. Forse ti accorgerai che in quelle situazioni ti metti a correre per fuggire o chiudi gli occhi per non vedere. E allora capirai come mai la felicità ci sfugge benché sia così vicina.
*
Testo
Leggersi dentro
- Qual è la tua idea di felicità?
- Quali persone rappresentano per te il modello della felicità?
Devi fare login per commentare
Accedi