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Ma quale crisi, oggi di religione ce n’è pure troppa…
Ormai è una litania che si ripete continuamente: «non c’è più religione», «non esistono più i valori», «si è perso il senso del sacro», «i valori spirituali sono in crisi». Dalle discussioni al bar ai salotti televisivi alle opinioni dei (soliti) maestri del senso comune è una lamentela continua. E anche, va detto, decisamente stucchevole.
Eppure, dalla pubblicità, dove abbondano angeli e figure sacre d’ogni tipo, alle icone pop del mondo dello spettacolo, la nostra società iper secolarizzata continua a strizzare continuamente l’occhio al sacro sfornando miti per tutti i gusti. Da Lady Gaga all’iPhone 6, dal culto di Maradona a quello di Michael Jackson, solo per fare qualche esempio. Come pure nei discorsi dai toni quasi messianici di tanti leader politici di religione ce n’è ovunque, anzi pure troppa, e non di rado assume un certo volto selvaggio. Altro che assenza di valori spirituali e religiosi come denunciano certi ingenui e superficiali!
Prendiamo, per fare un esempio, l’esaltazione sacrale di Steve Jobs dopo la sua morte. Sui media era tutto un proliferare di titoli come questi: «genio immortale», «l’uomo che ha cambiato il mondo», «l’uomo che ci ha cambiato la vita». Fino all’apoteosi: «È morto. È vivo. Così bravo a vendere le sue visioni che quando pronuncia la parola business tutti sentono la parola amore» (Wired). E le file lunghissime di persone che si mettono in attesa anche per due giorni per poter entrare in un Apple store e “toccare” per primi il nuovo modello di iPhone non sono forse la moderna riedizione delle antiche processioni? Toccare, appunto. Come i pellegrini con le reliquie dei santi. In un bel volume, Apple come esperienza religiosa (Mimesis), Antonio Guerrieri, studioso di etica e storia delle religioni, indaga con profondità ma anche con equilibrio e buon senso la figura e l’operato di Steve Jobs, assurto a “guru” e “profeta”, e la devozione degli utenti verso Macintosh, iPhone e altri prodotti della famiglia Apple sottolineando – ecco il punto – che si può parlare di esperienza religiosa, ritrovandone tutti gli elementi tipici, anche in campi diversi, come quello della tecnologia ad esempio, da quelli tradizionali del culto e delle religioni istituzionali. Nulla di particolarmente strano, in fondo. Da che l’uomo esiste, è sempre stato così. Esso, per fortuna, non è certo riducibile all’aspetto materiale o a un aggregato di cellule e organi ma ha bisogno di creare miti, eternare quello che vive (pensiamo all’arte), fare memoria, tramandare ricordi, interrogarsi sul senso dell’esistenza e del tempo che passa. Solo che oggi il sacro è sempre più utilizzato, in maniera quasi nauseante, per linguaggi, contesti, esperienze che sacri non sono. Nella Bibbia tutto questo si chiama idolatria. Essa, va detto, è una struttura del soggetto umano e non riguarda certamente soltanto i cosiddetti “credenti”. A differenza dei mille surrogati messi a disposizione dalla società dei consumi e dello spettacolo, le religioni, anziché scimmiottare, prendono sul serio questa sete di spirituale, cercando anche di “amministrarla” in luoghi precisi ed entro riti e gesti. La parola religione, d’altra parte, deriva da “re-ligo”, ossia “metto insieme, unisco”. Come notava con grande acume l’antropologo francese Roger Bastide: «Usciamo da un periodo – quello che i sociologi chiamano della “secolarizzazione” – in cui la religione non era certo morta, però si nascondeva dietro sostituti mutuati dal mondo profano; il culto delle stelle dello spettacolo prende il posto del culto dei santi, le nuove mitologie dei mass media si sostituiscono a quelle delle Chiese antiche (Karl Marx ne aveva già preso coscienza, benché al suo tempo esistesse soltanto il mondo dei giornali); oppure si dissimulava dietro la valorizzazione dell’eroe sacrilego (Prometeo, Icaro, Axion e, con la psicanalisi, Edipo), ma, naturalmente, non c’è sacrilegio senza postulare al contempo un sacro contro cui si lotta. Oggi tuttavia tutti questi surrogati di religione elaborati dalla società dei consumi o dalla psicoterapia analgesica fanno l’oggetto di una contestazione crescente. Allora permettetemi di vedere in queste esperienze di sacro selvaggio, anche se ancora maldestre, la volontà di riprendere il gesto di Mose quando colpiva con la sua verga – anche se in essa gli psicanalisti vogliono vedere soltanto una verga fallica – il suolo arido per farvi scaturire l’acqua che fa rifiorire i deserti». Ecco, meglio di così non si poteva dire. La religiosità è una condizione dell’uomo e quando s’affievolisce il fuoco della religione autentica ogni altra fiamma inevitabilmente attrae.
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