Religione

Ma dici davvero? Perché non crediamo più alle nostre storie

13 Aprile 2018

Dic nobis Marìa,
quid vidìsti in via?
Dalla Sequenza di Pasqua

Si dice che Omero fosse cieco. Non è dato saperlo con certezza, ma possiamo immaginare che quando si cercano le parole dentro di noi, quando ci si immerge nell’esperienza interiore, sia necessario abbandonare la banalità di un presente che distrae. Omero è il poeta che cerca dentro di sé le parole per cantare cose grandi.

Nelle tragedie antiche spesso la verità è conosciuta da chi non vede. Nell’Edipo Re di Sofocle, per esempio, il veggente Tiresia è cieco, ma è l’unico che vede già la verità. Egli sa che Edipo è l’assassino del padre. Per vedere bene, dunque, bisogna essere in qualche modo ciechi.

Spesso siamo così distratti dall’inseguire quello che sta avvenendo che perdiamo di vista l’importanza e il gusto di quello che abbiamo vissuto. Siamo consumatori irrefrenabili di attimi, incapaci di fermarci a riconoscere il sapore dell’esperienza. Dopo aver mangiato, siamo già alla ricerca della prossima locanda.

Questo testo del Vangelo si ferma invece sull’importanza della narrazione, del ricordo e dell’esperienza. Se oggi dovessi narrare quello che è avvenuto nella mia vita, cosa racconterei?

I due discepoli, che stavano scappando verso l’ignoto di Emmaus, verso la città che non c’è, i discepoli delusi che non ne vogliono più sapere della comunità, hanno vissuto un’esperienza che ha cambiato la loro vita. Quella esperienza può essere narrata. Vuol dire che si sono presi il tempo di ripensarla, di provare a comprenderla, hanno cercato le parole per poterla dire. Probabilmente lungo il cammino…

Anch’essi non avevano riconosciuto Gesù fino a quando lo avevano visto, ma quando Gesù scompare dalla loro vista, allora lo riconoscono. Ciò che diamo per scontato, molto spesso occulta la verità più profonda.

Nei racconti di risurrezione si parla spesso di ciò che è avvenuto lungo il cammino. Via e vita si somigliano, e spesso la strada è diventata una metafora della vita. Lungo la strada avvengono incontri, ci sono incroci, c’è una meta. I due di Emmaus incontrano il Risorto sulla via, nello scorrere della loro vita, mentre stanno fuggendo, quando la loro mente sta viaggiando nei pensieri confusi e ingarbugliati della loro delusione. Dio attraversa la loro strada con la sua presenza.

Arriva però anche il momento in cui, con Gesù, ci si ferma, si rilegge l’esperienza, e lì emerge il senso: c’è un riconoscimento, nello spezzare il pane, che dà senso a tutto il cammino che è stato fatto. Si cammina e ci si ferma, si vive un’esperienza e ci si ferma a trovarne il senso.

E i momenti in cui si rilegge l’esperienza sono descritti nei vangeli della risurrezione come momenti in cui si mangia (il pane, il pesce arrostito…), sono cioè momenti in cui si gusta, si assapora…

Quando si prova a capire quello che è successo, emergono anche i dubbi, abbiamo l’impressione di essere precipitosi nelle nostre conclusioni, non ci sembra vero, è troppo bello perché sia successo, abbiamo paura di sbagliarci…e così allontaniamo la realtà e ne facciamo un fantasma.

Anche i discepoli hanno paura di rileggere la loro esperienza, perché quello che hanno vissuto non rientra nei loro schemi. Gesù sembra un fantasma. Fantasma ha la stessa radice di fantasia. Ecco, i discepoli, ma a volte anche noi, pensano che Gesù sia una fantasia, una rappresentazione della loro mente.

Forse avranno pensato che il dolore della perdita, la tristezza per l’esito tragico di quella vicenda, sono così forti da suscitare in loro il senso di una presenza. I discepoli temono di essere loro stessi a generare l’immagine del Risorto.

È una paura che accompagna spesso anche noi, quando per esempio temiamo che nella nostra preghiera stiamo in fondo parlando solo con noi stessi. E allora Dio ci sorprende e ci viene incontro con modi impensati e che non possono dipendere dalla nostra volontà.

Mi ha sempre fatto molta tenerezza quando i bambini cercano di dare da mangiare alle bambole o ai loro supereroi. Ma il cibo rimane lì. Magari i bambini cercano di nasconderlo per illudersi che la bambola abbia davvero mangiato. Potrebbe essere un po’ l’immagine della nostra fede: a volte vogliamo illuderci che qualcosa sia avvenuto nella nostra vita, altre volte faremmo bene a fermarci per capire cosa è veramente avvenuto.

Solo così si diventa testimoni. Penso che spesso la nostra vita non sia capace di dire niente perché non ci siamo mai fermati a comprendere cosa sia veramente accaduto.

*

Testo

Lc 24,35-48

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